Il divieto di rientro dello straniero

Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 18 giugno 2019, n. 26873.

La massima estrapolata:

Il divieto di rientro dello straniero nel territorio dello Stato in caso di espulsione disposta, ex articolo 16, comma 5, del Dlgs 286/1998, a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, è stabilito per la durata di dieci anni dall’esecuzione del relativo provvedimento, riferendosi il limite di cinque anni alla espulsione ordinata in via amministrativa o alla espulsione disposta come sanzione alternativa alla detenzione, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo.

Sentenza 18 giugno 2019, n. 26873

Data udienza 7 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Mariastefani – Presidente

Dott. SIANI Vincenzo – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Consigliere

Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia;
nel procedimento di esecuzione nell’interesse di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza della Corte di appello di Venezia in data 18/4/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con provvedimento in data 21/9/2011, il Magistrato di sorveglianza di Catanzaro, preso atto che la pena residua che (OMISSIS) doveva espiare in virtu’ del provvedimento di esecuzione di pene concorrenti emesso in data 23/11/2007 dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia era inferiore ai 2 anni, ne aveva disposto l’espulsione ai sensi del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 13, comma 2, lettera b) e articolo 16, commi 5 e 6; espulsione eseguita, in data 31/1/2012, dalla Questura di Brindisi. In data 26/2/2018 i Carabinieri del Comando Stazione di Strada in Chianti avevano fermato (OMISSIS) nel territorio dello Stato; e, per tale motivo, non essendo spirato il termine decennale di estinzione della pena previsto dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, comma 8, la Procura generale di Venezia, in data 27/2/2018, aveva emesso, nei confronti del predetto, ordine di esecuzione per l’espiazione della pena di 1 anno, 2 mesi e 4 giorni di reclusione.
Avverso tale provvedimento aveva proposto incidente di esecuzione lo stesso (OMISSIS), sul presupposto che, non avendo il Magistrato di sorveglianza determinato la durata dell’espulsione, l’originario divieto di rientro dovesse ritenersi fissato in cinque anni, analogamente a quanto previsto all’articolo 16, comma 1 bis, del citato decreto legislativo. E dal momento che (OMISSIS) aveva fatto rientro nel territorio dello Stato nel sesto anno successivo all’espulsione, il reingresso avrebbe dovuto ritenersi legittimo, con conseguente divieto di ripristino dello stato di detenzione di cui ai sensi dell’ultima parte del citato comma 8.
2. Con ordinanza in data 18/4/2018, la Corte di appello di Venezia, in sede di giudizio di esecuzione, dispose nei confronti di (OMISSIS), la revoca dell’ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Venezia in data 27/2/2018 (n. 425/2007 SIEP). Il Collegio, infatti, ritenne infondata la tesi difensiva secondo cui il termine massimo del divieto di reingresso fosse quello di cinque anni decorrenti dall’avvenuta espulsione in base all’articolo 11 della c.d. Direttiva Rimpatri (2008/115/UE), in relazione al quale la sentenza 6/12/2012 della Prima Sezione della Corte di Giustizia di Lussemburgo (causa C-430/11) aveva precisato come gli Stati nazionali non possano applicare una disciplina penale tale da compromettere l’applicazione delle procedure e delle norme comuni sancite dalla richiamata Direttiva. Cio’ in quanto l’articolo 2 della Direttiva prevede espressamente che tale disciplina non e’ necessariamente applicabile alle situazioni in cui l’espulsione sia prevista quale sanzione penale ovvero quale conseguenza di una violazione penale; e in quanto nella causa C430/11 decisa dalla Corte di Giustizia, il soggetto era stato imputato del reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 10 bis, sicche’ i ragionamenti svolti dalla Corte di Giustizia non erano trasponibili automaticamente al diverso caso di uno straniero, illecitamente soggiornante in Italia, condannato per reato diverso dalla mera permanenza illegale.
Nel caso di specie, fermo restando che la causa di estinzione della pena prevista dall’articolo 16, comma 8, del citato decreto matura al decorrere del decimo anno dall’esecuzione dell’espulsione e a condizione che non sopraggiunga nel frattempo un rientro illegale, quello operato dal (OMISSIS) a circa sei anni di distanza dall’espulsione non poteva definirsi come reingresso “illegale”, posto che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza di Catanzaro non aveva indicato la durata della misura e dovendo ritenersi, in assenza di una previsione specifica, che la misura fosse commisurata, nella durata, al minimo legale di cinque anni previsto dall’articolo 16, comma 1 bis, decorsi i quali, dunque, egli avrebbe potuto tranquillamente rientrare in Italia.
3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Venezia, deducendo due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, commi 5, 6 e 8. Secondo il Procuratore generale impugnante, mentre il Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, commi da 1 a 4, disciplinano l’espulsione del giudice della cognizione quale sanzione sostitutiva della detenzione, prevedendo il comma 1-bis – per i reati diversi da quelli di cui agli articolo 10 bis, e articolo 14, comma 5 ter e quater Decreto Legislativo cit. – un minimo (di cinque anni) ma non un massimo, che spetterebbe al giudice indicare, nel caso dell’articolo 16, commi 5 e 6, relativo alla espulsione disposta dal magistrato di sorveglianza, la norma non prevede espressamente un periodo minimo di durata della misura, il quale, dunque, dovrebbe essere correlato al termine decennale di cui all’articolo 16, comma 8, Decreto Legislativo citato, che prevede il ripristino dello stato detentivo in caso di illegittimo rientro nel territorio dello Stato, non comprendendosi, diversamente, perche’ il legislatore abbia comunque fissato in dieci anni il termine di estinzione della pena sostituita.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), la inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, comma 8, seconda parte. Il Giudice dell’esecuzione avrebbe omesso ogni accertamento teso a verificare la legittimita’ dell’ingresso nel territorio dello Stato da parte di (OMISSIS), esistendo agli atti esclusivamente una sintetica annotazione della Stazione dei Carabinieri. L’assolvimento di tale onere sarebbe stato di estrema rilevanza, non essendo ancora decorso il decennio dall’esecuzione dell’espulsione e potendo la sua condotta illegittima giustificare, comunque, il ripristino dello stato di detenzione.
4. In data 17/1/2019, e’ pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale e’ stato chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato.
2. Secondo il ricorrente, la previsione, da un lato, di un termine minimo di durata del divieto di reingresso del soggetto espulso per il caso in cui essa sia disposta dal giudice della cognizione, individuato in cinque anni dal combinato disposto dei commi 1 e 4 del Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, e l’assenza, dall’altro lato, di un’analoga disposizione per il caso, diverso, in cui l’espulsione sia disposta dal magistrato di sorveglianza ai sensi dello stesso articolo 16, comma 5, condurrebbe a concludere che, in questo secondo caso, il termine in questione coinciderebbe con quello di 10 anni stabilito, dal comma 8, per la estinzione della pena.
Rileva, in proposito, il Collegio, che il Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 16, al comma 1 bis, introdotto dalla L. 30 ottobre 2014, n. 161, articolo 3, comma 1, lettera b), stabilisce che nei casi “di cui al comma 1, la misura dell’espulsione puo’ essere disposta per un periodo non inferiore a cinque anni”. Nel caso, invece, contemplato dal comma 5, qui in rilievo, non e’ stabilito alcun termine. Nondimeno, se il termine di durata del divieto di reingresso fosse effettivamente pari a cinque anni, come sostenuto dalla Corte di appello, non si comprenderebbe per quale ragione l’effetto estintivo dell’espulsione si produca, ai sensi del citato comma 8, soltanto una volta che siano decorsi dieci anni dall’esecuzione della sanzione sostitutiva; ne’ soprattutto, il senso della successiva proposizione normativa, che prevede la revoca dell’espulsione nel caso in cui, prima del termine decennale, il soggetto trasgredisca il divieto di reingresso.
Deve conseguentemente affermarsi, in conclusione, il principio secondo cui il divieto di rientro dello straniero nel territorio dello Stato in caso di espulsione disposta, ex articolo 16, comma 5, del Decreto Legislativo citato, a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione, deve ritenersi stabilito per la durata di dieci anni dall’esecuzione del relativo provvedimento, riferendosi il limite dei cinque anni alla espulsione ordinata in via amministrativa ovvero alla espulsione disposta come sanzione alternativa alla detenzione ai sensi del comma 1 dello stesso articolo (cfr. Sez. 1, n. 13130 del 9/2/2017, Alali, Rv. 269674).
3. Quanto alla ragionevolezza di un differente statuto dell’espulsione quale sanzione alternativa alla detenzione, rispetto all’espulsione quale sanzione sostitutiva della pena, essa deriva dalla differenza dei relativi presupposti; mentre in quest’ultimo caso, l’espulsione viene disposta in luogo di sanzioni detentive di modesta entita’, nel primo caso il limite dei due anni di pena puo’ riguardare anche pene residue di ben maggiori periodi di detenzione, si da giustificare la previsione di un periodo molto piu’ lungo in cui l’ordinamento vuole assicurare l’assenza del soggetto espulso da territorio dello Stato.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, sicche’ l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al Pubblico ministero competente per l’esecuzione.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al P.M. competente per l’esecuzione.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati.

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