Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|24 maggio 2021| n. 20610.

Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo nel quale l’elemento oggettivo del sequestro viene tipizzato dallo scopo di conseguire un profitto ingiusto dal prezzo della liberazione, a nulla rilevando che il perseguimento del prezzo di riscatto trovi la sua fonte in pregressi rapporti illeciti. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto sussistente il reato nel caso di sequestro di un componente di un gruppo criminale dedito al traffico di stupefacenti al fine di ottenere la consegna di una partita di droga già pagata).

Sentenza|24 maggio 2021| n. 20610. Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

Data udienza 9 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Sequestro di persona a scopo di estorsione – Nozione di ingiusto profitto della condotta – Omessa traduzione della sentenza di appello nella lingua nota al reo – Onere di indicazione della lesione subita

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. BRANCACCIO Matilde – rel. Consigliere

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/03/2019 della CORTE d’ASSISE APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BRANCACCIO MATILDE;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale ODELLO LUCIA che ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso.

Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’Assise d’Appello di Roma, con la decisione impugnata, emessa il 5.3.2019, in riforma della sentenza della Corte d’Assise di Roma del 5.7.2017, ha assolto (OMISSIS) dai reati a lui ascritti per non aver commesso il fatto ed ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS) in relazione al reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di (OMISSIS), contestato all’imputato al capo A, individuandola in anni undici e mesi sei di reclusione, riconosciuta l’attenuante prevista dall’articolo 311 c.p., della particolare tenuita’ del danno o del pericolo, estesa al delitto di cui all’articolo 630 c.p. dalla sentenza n. 68 del 2012, nonche’ le circostanze attenuanti generiche.
Il sequestro si inscrive nel perimetro di un traffico di stupefacenti organizzato tra l’Albania e l’Italia, in cui tutti i protagonisti della vicenda erano coinvolti, e, secondo la ricostruzione delle Corti territoriali, e’ stato realizzato il 17.4.2009 ed ha avuto come scopo procurarsi l’ingiusto profitto di una fornitura di stupefacenti costituita da 184 chili di marijuana, fissata come prezzo della liberazione.
Il coimputato (OMISSIS) e’ stato assolto, ai sensi dell’articolo 530 cpv. c.p.p., sia dal concorso nel sequestro di persona, sia dal reato di importazione dall’Albania del carico di droga predetto, commesso in concorso con componenti della famiglia (OMISSIS), compresa la vittima del sequestro, e altri complici albanesi.
2. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato, mediante il difensore avv. (OMISSIS), deducendo tre motivi distinti.
2.1. Il primo argomento di censura eccepisce violazione di legge per omessa motivazione quanto all’identificazione del ricorrente quale autore del delitto, avvenuta sulla base delle indicazioni provenienti dalle intercettazioni effettuate nel corso delle indagini e, soprattutto, tramite il richiamo alla sentenza di primo grado ed alla testimonianza del teste di polizia giudiziaria, il maresciallo (OMISSIS), il quale tuttavia non ha fornito elementi documentali che attestassero tale identificazione.

 

Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

Il richiamo d’appello e la sentenza di primo grado sono entrambi espressione di uno sforzo motivazionale inadeguato e carente; inoltre, e’ palesemente viziato il provvedimento impugnato dal riferimento erroneo ad altro componente di polizia giudiziaria piuttosto che al citato maresciallo (OMISSIS).
2.2. La seconda argomentazione difensiva deduce violazione di legge rispetto alla configurazione giuridica del reato di sequestro di persona, quanto alla sussistenza del dolo specifico del delitto previsto dall’articolo 630 c.p., che costruisce la condotta di strumentalizzazione della persona umana come finalizzata al profitto, costituito da qualsiasi utilita’ anche di natura non patrimoniale. Ed invece, dalla sentenza impugnata, non si evince la prova delle intenzioni dell’imputato di voler conseguire un ingiusto profitto, costituito dall’ottenere da (OMISSIS) il carico di droga dovutogli, mettendogli pressione proprio attraverso il sequestro di (OMISSIS), soggetto del quale non si comprendono a fondo i legami con (OMISSIS) e, di conseguenza, le ragioni in base alle quali il suo sequestro avrebbe dovuto configurare una “pressione” per costui. Inoltre, non vi e’ prova che la partita di droga sia stata mai consegnata, come accertato attraverso le testimonianze degli stessi operanti di polizia giudiziaria.
Si evidenzia, infine, deducendo contrasto di giudicati potenziale, l’approdo cautelare, divenuto definitivo, nei confronti del ricorrente, con cui si era rigettato il ricorso, radicando la competenza dell’autorita’ giudiziaria di Lecce e disattendendo la prospettazione di competenza della DDA di Roma.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto all’omessa traduzione della sentenza in lingua albanese, visto che il ricorrente non conosce l’italiano.
Il ricorso proposto non configura una sanatoria della nullita’ verificatasi poiche’ altrimenti verrebbe irrimediabilmente compresso il diritto di difesa dell’imputato e sarebbero minate le garanzie del giusto processo, entrambi valori destinatari di tutela costituzionale.
L’accertamento in concreto della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’indagato fa scattare il diritto ad avere un interprete e l’obbligo del giudice di nominarlo: nel caso di specie, il ricorrente non conosceva la lingua italiana, tanto che gia’ il giudice di primo grado ha disposto la traduzione in lingua albanese, adempimento invece omesso dalla Corte d’Appello, con conseguente nullita’ della sentenza.
3. Il Sostituto Procuratore Generale ODELLO Lucia ha chiesto l’inammissibilita’ del ricorso con requisitoria scritta.

 

Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ complessivamente infondato e deve essere rigettato.
2. I primi due motivi formulati sono inammissibili perche’ si risolvono in censure in fatto, sottratte al sindacato di legittimita’.
Ed infatti, e’ noto che l’orizzonte di verifica della Corte di cassazione e’ circoscritto alla ricerca di vizi logici ed argomentativi della sentenza, direttamente da essa desumibili nel confronto con i principi dettati dal diritto vivente per l’interpretazione delle norme applicate, mentre sono preclusi al sindacato di legittimita’ profili ricostruttivi della prova e della versione dei fatti articolata dai giudici di merito, in assenza di vizi di manifesta illogicita’ della motivazione ovvero di profili di travisamento della prova (cfr. ex multis Sez. 6, n. 27429 del 4/7/2006, Lobriglio, Rv. 234559; Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 vedi anche Sez. U, n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 6402 del 30/4/1997, Dessimone, Rv. 207944; Sez. 5, n. 39048 del 25/9/2007, Casavola, Rv. 238215; Sez. 2, n. 7380 del 11/1/2007, Messina, Rv. 235716; Sez. 6, n. 25255 del 14/2/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 6, n. 13809 del 17/3/2015, O., Rv. 262965).
2.1. Orbene, deve premettersi che, dalla lettura delle due sentenze di merito – le quali formano un unico apparato motivazionale, secondo lo schema della doppia pronuncia conforme – emerge come siano state acquisite sentenze di condanna irrevocabili, che provano l’esistenza di un’attivita’ di traffico di stupefacenti tra l’Albania e la Puglia, gestito da soggetti albanesi e italiani, traffico che veniva realizzato facendo entrare in Italia la droga, all’interno di pneumatici di rimorchi di camion messi a disposizione dai fratelli (OMISSIS). Nella sentenza n. 80 del 2014 del Tribunale di Lecce vi e’ stata condanna di alcuni degli attuali protagonisti del sequestro di persona per il traffico di 143 kg di marijuana, destinati proprio al ricorrente.
La sentenza n. 863 del 2015 del Tribunale di Lecce ha ad oggetto, invece, proprio i 184 kg di marijuana, il cui “prezzo” era stato gia’ pagato dal ricorrente, mai ritrovati, ma la cui cessione e’ stata ritenuta accertata da tale pronuncia passata in giudicato.
Il reato contestato all’imputato si innesta in tale contesto, a coloritura del quale si evidenzia l’elevata capacita’ criminale del gruppo di trafficanti di stupefacenti cui e’ stato accertato appartenere il ricorrente, attestata anche dal sequestro di ingenti quantitativi di droga nel corso delle indagini: circa 300 kg. di stupefacenti.

 

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Secondo la ricostruzione della stessa vittima, l’imputato ed altri suoi sodali avevano gia’ pagato per una partita di marijuana il referente albanese (OMISSIS), vera e propria mente organizzatrice del traffico, con il quale “lavoravano” i (OMISSIS) e la stessa vittima del sequestro, utilizzata, dunque, come strumento di pressione su (OMISSIS) al fine di ottenere la consegna della droga gia’ pagata.
La Corte d’Assise d’Appello ha svolto istruttoria ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., riascoltando il teste chiave-persona offesa, che non era piu’ nelle condizioni di avvalersi della facolta’ di non rispondere, essendo stato giudicato definitivamente con le sentenze acquisite dal giudice d’appello, nonche’ uno dei testi principali appartenenti alla polizia giudiziaria, per chiarire alcuni aspetti dell’identificazione del coimputato (OMISSIS), soprattutto, poi assolto.
La vittima ha spiegato di essere stata trattenuta contro la sua volonta’ e portata nella villetta di Lanuvio in cui era poi stata segregata per alcune ore con modalita’ violente: (OMISSIS) aveva legati mani e piedi con nastro adesivo ed era minacciato con una pistola.
Le intercettazioni vengono ripercorse nella loro chiarezza per la prova della sussistenza del reato e del ruolo attivo di (OMISSIS): la vittima e’ stata intercettata nel corso del suo sequestro mentre parlava al fratello (OMISSIS) facendogli chiaramente comprendere quel che stava accadendo. Le stesse intercettazioni collocano il cellulare del ricorrente nel luogo del delitto; il teste di polizia giudiziaria e le ulteriori indagini hanno offerto il contesto di conferma della prova del commesso reato da parte sua, segnalando come l’intera attivita’ iniziale del sequestro e’ stata direttamente osservata dalla polizia giudiziaria, che, grazie alle intercettazioni, era impegnata in un servizio di osservazione e pedinamento ed ha potuto assistere al momento in cui l’auto con a bordo tre persone, tra le quali il ricorrente, si e’ incontrata con la vittima, l’ha fatta salire a bordo e si e’ diretta nel luogo teatro della segregazione.
Un quadro probatorio, come si e’ sintetizzato, che si rivela assolutamente piano e coerente con il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio e dinanzi al quale le ragioni di ricorso sbiadiscono per imprecisione ed apoditticita’, nella ricerca di un’evanescente versione alternativa di quanto accaduto, ipotesi alternativa che in realta’, come era stato puntualizzato gia’ in appello (cfr. pag. 15 del provvedimento impugnato), neppure risulta realmente prospettata.
Ed invece, in sede di legittimita’, perche’ sia ravvisabile la manifesta illogicita’ della motivazione ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e’ necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall’imputato che intenda far valere l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia sostenibile e non cioe’ desunta da elementi meramente ipotetici o congetturali, seppure plausibili (Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237).

 

Il delitto di sequestro di persona è reato plurioffensivo

Cio’ perche’ la regola dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, secondo cui il giudice pronuncia sentenza di condanna solo se e’ possibile escludere ipotesi alternative dotate di razionalita’ e plausibilita’, impone all’imputato che, deducendo il vizio di motivazione della decisione impugnata, intenda prospettare, in sede di legittimita’, attraverso una diversa ricostruzione dei fatti, l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza, di fare riferimento ad elementi sostenibili, cioe’ desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali (Sez. 5, n. 18999 del 19/2/2014, C, Rv. 260409). Evidentemente tali condizioni di valenza favorevole di un’eventuale ricostruzione alternativa presuppone, anzitutto, che una tale ricostruzione sia concretamente esplicitata, cosa che non e’ nella fattispecie, in cui il ricorrente si limiti a proclamarsi estraneo ai fatti, senza neppure provare a contestare specificamente il puntuale edificio probatorio.
2.2. Cio’ posto, il primo argomento di censura, relativo all’incertezza dell’identificazione dell’imputato quale autore delle condotte, e’ anche manifestamente infondato.
Le sentenze di merito danno atto di come il reato sia emerso tramite le intercettazioni telefoniche gia’ in atto per i reati di traffico di stupefacenti e dell’individuazione degli interlocutori compiuta con certezza dagli investigatori nel corso dei mesi di indagine, attraverso riscontri telefonici, elementi documentali, appostamenti e pedinamenti, che lo avevano gia’ reso noto alla polizia giudiziaria operante.
Al momento della registrazione, dunque, delle telefonate dalle quali emerge il delitto imputato al ricorrente, era assolutamente evidente che fosse lui stesso ad essere coinvolto da protagonista nel sequestro di persona, motivato proprio da ragioni di debito-credito collegate all’acquisto di una partita rilevante di droga.
In particolare, si svela inconferente l’eccezione difensiva riferita alla circostanza di un presunto errore del giudice d’appello nell’indicare il sottufficiale di polizia giudiziaria che aveva svolto l’attivita’ di individuazione del ricorrente come autore del reato, essendo evidente che la Corte d’Assise d’Appello ha fatto richiamo alla deposizione del m.llo (OMISSIS) poiche’ e’ costui che ha riportato con precisione la dinamica del sequestro di persona, avendovi direttamente assistito nel corso del servizio di pedinamento ed osservazione gia’ predisposto e in atto, proprio grazie alle intercettazioni ed avendo assistito all’arrivo dell’auto con a bordo l’imputato ed altri complici sulla quale, poi, fu fatta salire la vittima.
Ed e’ principio condiviso quello secondo cui, in tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma puo’ trarre il proprio convincimento da altre circostanze che consentano di risalire con certezza all’identita’ degli interlocutori, e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimita’, se correttamente motivata; tra tali circostanze, si rammentano: i contenuti delle conversazioni intercettate, tenuto conto dei nomi e dei soprannomi delle persone menzionate nel corso dei colloqui; il riconoscimento delle voci da parte del personale di polizia giudiziaria, dopo un’iniziale identificazione; le intestazioni formali delle schede telefoniche che le aveva ascoltate e individuate nel corso di precedenti intercettazioni (cfr. Sez. 6, n. 17619 del 8/1/2008, Gionta, Rv. 239725; Sez. 6, n. 18453 del 28/2/2012, Cataldo, Rv. 252712).

 

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Peraltro, ribadendo l’indirizzo ermeneutico suddetto, si e’ chiarito che, proprio per l’atipicita’ “naturale” di un elemento di prova quale e’ l’individuazione degli interlocutori di conversazioni intercettate, incombe sulla parte che contesti il riconoscimento l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (cosi’, Sez. 6, n. 13085 del 3/10/2013, dep. 2014, Amato, Rv. 259478; Sez. 2, n. 12858 del 27/1/2017, De Cicco, Rv. 269900).
Del resto, indicare gli elementi dissonanti rispetto a quelli utilizzati per l’individuazione fa parte pur sempre dell’obbligo di specificita’ del motivo di ricorso che incombe su chi lo propone.
Ed invece, il ricorrente si limita a sostenere la carenza di motivazione della sentenza di secondo grado, ignorando, peraltro, da un lato, tutti i numerosi elementi di prova riassunti poc’anzi e contenuti in entrambi i provvedimenti decisori di merito e, dall’altri, le mancanze dell’appello proposto in suo favore, tutto concentrato sull’identificazione e la partecipazione al reato del coimputato poi assolto e generica sul tema dell’individuazione di (OMISSIS), tanto che la Corte territoriale neppure ne da’ atto.
Anche per tali ragioni la censura difensiva sfocia nell’inammissibilita’.
2.3. Egualmente inammissibile per manifesta infondatezza, oltre che per le ragioni di logica ed esegesi processuale gia’ esposte, risulta il secondo motivo di ricorso.
La Corte d’Assise d’Appello ha ampiamente dimostrato perche’ le ragioni del sequestro di persona ai danni di (OMISSIS) risiedessero nella volonta’ e finalita’ dell’imputato e dei cuoi complici di esercitare pressione sul gruppo criminale di trafficanti di droga cui faceva capo la vittima, funzionale ad ottenere un accordo con costoro, ed in particolare con il fornitore della partita di stupefacenti gia’ pagata, (OMISSIS), per ottenere la consegna del carico dovuto, pari a 184 kg. di marijuana.
Orbene, ferma la ricostruzione in fatto affidabile di tale movente della condotta di reato (poiche’ gli elementi di prova sono stati gia’ piu’ volte richiamati, in particolare si ribadisce il fondamentale rilievo delle conversazioni intercettate e della testimonianza della stessa persona offesa dal reato), non vi e’ dubbio che una simile motivazione criminale rientri nel fuoco del dolo specifico richiesto per la configurabilita’ del delitto di sequestro di persona previsto dall’articolo 630 c.p.p..
Di illuminante chiarezza e’ il principio affermato da Sez. U, n. 962 del 17/12/2003, dep. 2004, Huang Yunwen, Rv. 226489, secondo cui la condotta criminosa consistente nella privazione della liberta’ di una persona finalizzata a conseguire come prezzo della liberazione una prestazione patrimoniale, un’utilita’, pretesa in esecuzione di un precedente rapporto illecito, integra il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all’articolo 630 c.p. (e non il concorso del delitto di sequestro di persona – articolo 605 – con quello di estorsione, consumata o tentata previsto dagli articoli 629 e 56).
Il delitto di cui all’articolo 630 c.p., infatti, e’ un reato plurioffensivo nel quale l’elemento oggettivo del sequestro viene tipizzato dallo scopo di conseguire un profitto ingiusto dal prezzo della liberazione, a nulla rilevando che il perseguimento del prezzo di riscatto trovi la sua fonte in pregressi rapporti illeciti (Sez. 5, n. 12762 del 22/3/2006, Maiani, Rv. 234553).

 

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Nel concetto di “prestazione patrimoniale”, e cioe’ di “ingiusto profitto” cui deve essere finalizzata la condotta dell’agente, rientra qualsiasi utilita’, anche di natura non patrimoniale, che costituisca un vantaggio per il soggetto attivo del reato o per il terzo nel cui interesse egli abbia agito (Sez. 5, n. 8352 del 13/1/2016, Halilay, Rv. 266066; Sez. 5, n. 21579 del 8/4/2015, B, Rv. 263678), configurandosi in tal modo quella strumentalizzazione e mercificazione della persona umana che il precetto penale intende stigmatizzare.
Nel caso di specie, come si e’ gia’ sottolineato, i giudici d’appello, coerentemente ai principi sopradetti, hanno ritenuto sussistente il reato nella condotta di sequestro di persona commessa ai danni di un componente di un gruppo criminale dedito al traffico di stupefacenti, compiuto per esercitare pressione sul sodalizio al fine di ottenere la consegna di una partita di marijuana gia’ pagata.
Completamente generiche, poi, si rivelano le eccezioni, solo enunciate, relative alla mancata prova della consegna della partita di stupefacente, “prezzo” della liberazione, nonche’ di un possibile contrasto con il “giudicato cautelare” gia’ formatosi.
3. Il terzo argomento di censura e’ infondato.
Un orientamento presente nella giurisprudenza di legittimita’ conferisce rilievo alla censura di mancata traduzione di atti processuali in una lingua comprensibile all’imputato alloglotta solo quando vi siano state concrete lesioni del diritto di difesa di quest’ultimo (per un’ipotesi, cfr. Sez. 5, n. 57740 del 06/11/2017, Ramadan, Rv. 271860; Sez. 2, n. 31643 del 16/3/2017, Afadama, Rv. 270605).
Riecheggia, in tali opzioni, un’ottica di valorizzazione del “pregiudizio effettivo” nella valutazione di talune nullita’, autorevolmente gia’ affermata da alcune pronunce delle Sezioni Unite (cfr. Sez. U, n. 119 del 27/10/2005, dep. 2005, Palumbo, in motivazione; Sez. U, n. 7697 del 24/11/2016, dep. 2017, in motivazione).
E proprio nella ricerca di una effettiva e concreta lesione del diritto di difesa derivata dall’omessa traduzione di un provvedimento, si e’, altresi’, indicata l’esclusiva legittimazione dell’imputato alloglotta che non comprenda la lingua italiana, e non del suo difensore, ad eccepire la violazione dell’obbligo di traduzione della sentenza previsto dall’articolo 143 c.p.p., ricollegandola all’esercizio del suo autonomo potere di impugnazione ex articolo 571 del codice di rito (Sez. 2, n. 32057 del 21/6/2017, Rafik, Rv. 270327).
Orbene, proprio in linea con tale ermeneusi, il Collegio intende ribadire un approdo recente che, in considerazione dell’eliminazione del potere autonomo e personale dell’imputato di impugnare i provvedimenti giurisdizionali mediante ricorso per cassazione, ha affermato che, in tema di traduzione degli atti, in mancanza di elementi specifici indicativi di un pregiudizio in ordine alla completa esplicazione del diritto di difesa, l’omessa traduzione della sentenza di appello in lingua nota all’imputato alloglotta non integra di per se’ causa di nullita’ della stessa, atteso che, dopo la modifica dell’articolo 613 c.p.p., ad opera della L. 23 giugno 2017, n. 103, l’imputato non ha piu’ facolta’ di proporre personalmente ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 15056 del 11/3/2019, Nasim Karima, Rv. 275103; Sez. 5, n. 32878 del 5/2/2019, Molla, Rv. 277111).
Nel caso del ricorrente, non e’ stato dedotta quale sarebbe stata la specifica lesione del diritto di difesa, certamente a lui garantito, subita in seguito alla mancata traduzione della sentenza d’appello, tanto piu’ che difensore di fiducia, l’avv. (OMISSIS), ha assistito (OMISSIS) anche nel giudizio d’appello, tutelando con carattere di continuita’ la sua posizione giuridica di imputato, anche attraverso la successiva proposizione tempestiva del ricorso in cassazione.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali, come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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