Corte di Cassazione, civile, Sentenza|16 ottobre 2024| n. 26835.
Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
Massima: In tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, la Suprema Corte non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta a seguito dell’inadempimento della parte promittente alienante di un contratto preliminare di compravendita immobiliare, la Suprema Corte, richiamato l’enunciato principio, ha accolto il ricorso proposto dalla parte promissaria acquirente e cassato con rinvio la decisione gravata, in quanto, nella circostanza, avendo quest’ultima chiesto nell’atto di appello di emettere la sentenza ex articolo 2932 cod. civ., contestando quella resa in primo grado che aveva affermato l’insussistenza delle relative condizioni, aveva implicitamente censurato la pronuncia di risoluzione del contratto, trattandosi di pronunzie tra loro incompatibili, rispetto alla quale la corte del merito aveva invece erroneamente ritenuto essersi ormai formato il giudicato interno). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, ordinanza 15 marzo 2019, n. 7499).
Sentenza|16 ottobre 2024| n. 26835. Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
Data udienza 7 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimento civile – Sentenza – Cosa giudicata – Formazione giudicato interno – Giudizio di legittimità – Poteri della Corte di cassazione – Interpretazione della sentenza di merito e degli atti del procedimento – Ammissibilità – Fattispecie in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare. (Cc, articolo 2909; Cpc, articolo 324)
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere
Dott. CAVALLINO Linalisa – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Relatore
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4755/2022 R.G. proposto da:
Ta.Na., Ta.Na., elettivamente domiciliate in R, V.LE (Omissis), presso lo studio dell’avvocato DI.FA. (Omissis) che le rappresenta e difende unitamente agli avvocati PA.RO. (Omissis), MU.GU. (Omissis);
– ricorrenti –
contro
Sc.Fa., rappresentato e difeso dall’avvocato PU.LE. (Omissis);
– resistente –
In.Ma.
– intimata –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di GENOVA n. 58/2021, depositata il 18/01/2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7/05/2024 dal Consigliere CHIARA BESSO MARCHEIS.
Sentito il Pubblico Ministero – il sostituto procuratore generale Carmelo Celentano – che ha chiesto alla Corte di rigettare il ricorso.
Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
FATTI DELLA CAUSA
1. Nel 2004 Na. e Na.Ta. hanno citato in giudizio davanti al Tribunale di Massa la società Sc. Sas e i suoi soci accomandatari Sc.Fa. e In.Ma. Le attrici deducevano di avere promesso di acquistare dalla società un immobile (un appartamento con cantina) e di avere pagato integralmente il prezzo, che l’atto definitivo non era stato stipulato in quanto l’immobile era gravato da una ipoteca che la promittente venditrice non aveva cancellato, che dopo che era stato conferito l’incarico al notaio per la stipulazione dell’atto avevano appreso che era stata iscritta una ulteriore ipoteca sull’immobile. Le attrici chiedevano quindi di pronunciare sentenza ex art. 2932 c.c., di ordinare ai convenuti di estinguere le ipoteche e di condannarli al risarcimento del danno. Si costituiva Sc.Fa. Nel frattempo, la società veniva dichiarata fallita e, interrottosi il processo, questo veniva riassunto dalle attrici nei confronti della curatela, che non si costituiva e veniva dichiarata contumace.
Con la sentenza n. 411/2016 il Tribunale di Massa ha ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’accoglimento della domanda di cui all’art. 2932 c.c.; ha reputato “acquisita agli atti la prova della incontestabilità dell’inadempimento dei convenuti, atteso che questi non sono stati in grado di concludere il definitivo alla data concordata (..), sicché inevitabile è la declaratoria di risoluzione del contratto preliminare per cui è causa”; ha rigettato la domanda di cancellazione delle ipoteche; ha ritenuto accoglibile la domanda di risarcimento del danno. In dispositivo il Tribunale ha quindi condannato parte convenuta a risarcire alle attrici la somma di Euro 91.141.
2. La sentenza era impugnata da Na. e Na.Ta., che domandavano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, di emettere sentenza ai sensi dell’art. 2932 c.c., deducendo di avere ritualmente e tempestivamente prodotto la documentazione urbanistica necessaria e di avere dichiarato la regolarità urbanistica dell’immobile. Con la sentenza 18 gennaio 2021, n. 58, la Corte d’appello di Genova ha rigettato il gravame, affermando che “è stata del tutto ignorata dalle appellanti la motivazione della sentenza di primo grado laddove, nella parte finale, ha pronunciato la risoluzione del contratto preliminare”, che le appellanti non hanno rivolto alcuna censura in ordine alla pronuncia di risoluzione del contratto, che – in mancanza di impugnazione – è “divenuta irrevocabile e per questo non può essere disposto il trasferimento di proprietà richiesto dalle appellanti”, che hanno d’altra parte chiesto la riforma solo parziale della sentenza impugnata.
Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
3. Avverso la sentenza Na. e Na.Ta. ricorrono per cassazione.
Le ricorrenti hanno depositato due memorie (una prima dell’adunanza della sesta sezione, cui era stato originariamente assegnato il ricorso, e una in prossimità della pubblica udienza), in cui eccepiscono l’inammissibilità del controricorso di Sc.Fa. perché notificato oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c. In realtà, non si tratta di un controricorso, ma di una “memoria difensiva”, con la quale Sc. chiede di rigettare il ricorso perché inammissibile e comunque infondato. Tale memoria è inammissibile, in quanto “nel giudizio davanti la Corte di cassazione è irricevibile la memoria difensiva presentata in prossimità dell’udienza, con la quale la parte che non ha depositato il controricorso spiega, per la prima volta, le ragioni di resistenza al ricorso, perche, in assenza di controricorso, la parte intimata non può presentare memorie” (così Cass. n. 27140/2017).
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. Il ricorso è articolato in due motivi.
1) Il primo motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 112, 183 e 359 c.p.c., violazione del diritto di difesa di cui agli artt. 24 e 111 Cost.”: il Tribunale di Massa, nel dispositivo, si è limitato a condannare controparte a risarcire alle ricorrenti la somma di Euro 91.141, senza fare cenno alla risoluzione del contratto preliminare e anzi ha accolto la domanda risarcitoria; è evidente che le appellanti, se fossero state ritualmente e tempestivamente informate dell’intenzione del giudice di porre a fondamento della sentenza una questione rilevata d’ufficio avrebbero potuto fare valere le loro contrarie ragioni al fine di ottenere una decisione favorevole; la Corte d’appello ha respinto la domanda sul presupposto dell’esistenza di un giudicato interno che ha unilateralmente ricavato da una interpretazione assolutamente inaccettabile della sentenza di primo grado.
2) Il secondo motivo contesta “violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., nullità della sentenza d’appello impugnata per travisamento della sentenza di primo grado”: la Corte d’appello non solo ha violato il principio del contraddittorio, ma ha anche interpretato in modo distorto la decisione di primo grado; non “è dato comprendere come possa sostenersi l’acquiescenza alla ritenuta impossibilità di trasferimento”.
Il primo motivo non può essere accolto. La Corte d’appello, nel sostenere che le ricorrenti non hanno svolto, con l’atto di impugnazione, alcuna censura in ordine alla pronuncia di risoluzione del contratto preliminare, non ha rilevato d’ufficio una questione nuova da sottoporre al contraddittorio delle parti ai sensi dell’art. 101 c.p.c. Per giurisprudenza costante di questa Corte, l’art. 101, comma 2, c.p.c. si riferisce infatti solo alla “rilevazione d’ufficio di circostanze che, modificando il quadro fattuale, comportino nuovi sviluppi della lite non presi in considerazione dalle parti” (così, da ultimo, Cass. n. 11269/2023) e non certo alla interpretazione dell’atto di gravame che rientra tra i compiti propri del giudice d’appello.
Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
È invece fondato, nei limiti delle seguenti precisazioni, il secondo motivo. La Corte d’appello ha errato nel ritenere che l’atto d’appello non contenesse alcuna censura in ordine alla pronuncia di risoluzione del contratto, con conseguente passaggio in giudicato di tale pronuncia e conseguente impossibilità di disporre il trasferimento della proprietà quale adempimento del contratto ormai definitivamente risolto. Va precisato che in tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, questa Corte non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere – dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa (in tal senso cfr. Cass. n. 7499/2019).
Nel caso in esame le ricorrenti, avendo nell’atto di appello chiesto al giudice di emettere la sentenza di cui all’art. 2932 c.c., contestando la sentenza di primo grado che aveva affermato l’insussistenza delle relative condizioni, hanno implicitamente censurato la pronuncia di risoluzione del contratto, trattandosi di pronunzie tra loro incompatibili, così che erroneamente la Corte d’appello ha affermato che sulla risoluzione si era formato il giudicato interno.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Genova, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
Giudicato interno e la verifica dell’avvenuta impugnazione
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 7 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 16 ottobre 2024.
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