Furto e concetto di privata dimora

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 28 gennaio 2019, n. 4009.

La massima estrapolata:

Non e’ sufficiente per ritenere integrata la fattispecie di cui all’articolo 624-bis piuttosto che quella ex articolo 624 c.p., che il sito dove avviene il furto sia un luogo di lavoro, ma e’ necessario, tra l’altro, che la persona offesa lo utilizzi in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne.
E’ indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata, ma che cio’ non e’ sufficiente per affermare che tali siti rientrino nella nozione di privata dimora. Tale conclusione discende dalla constatazione che i luoghi di lavoro, generalmente, sono accessibili ad una pluralita’ di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto e che, quindi, si tratta di siti strutturalmente privi di riservatezza perche’ esposti alla “intrusione” altrui, in cui la fisiologia vede il titolare dello ius excludendi alios interagire con un numero indeterminato di persone, che possono prendere contatto (visivo e materiale) con il luogo senza alcun filtro o controllo. Fanno eccezione – secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite – solo i luoghi di lavoro che abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione perche’ ivi il soggetto passivo compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento).
Ne consegue – calando dette riflessioni nella fattispecie concreta oggi sub iudice – che il cortile esterno del deposito ove l’imputato si sarebbe introdotto per collegare alla presa li’ presente il cavo destinato ad alimentare la sua bancarella non poteva certo avere le caratteristiche individuate dalle Sezioni Unite, essendo evidente che esso non garantiva la riservatezza di chi vi si trovasse, ne’ che costituisse un’area strutturalmente non destinata all’afflusso di terzi.

Sentenza 28 gennaio 2019, n. 4009

Data udienza 19 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MICCOLI Grazia – Presidente

Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/09/2016 della CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere BORRELLI PAOLA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore SECCIA DOMENICO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. (OMISSIS), che si riporta al ricorso ed insiste per l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza oggetto dell’odierno giudizio e’ stata pronunciata dalla Corte di appello di Salerno il 30 settembre 2016 nei confronti di (OMISSIS), condannato dal Giudice monocratico della stessa citta’ per furto in abitazione; il fatto e’ stato ritenuto integrato con riferimento alla sottrazione di un quantitativo di energia elettrica addotto alla sua postazione ambulante (bancarella per la “pesca di abilita’”) grazie ad un cavo collegato con una presa collocata all’interno del cortile di pertinenza del deposito di materiale edile di (OMISSIS).
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, formulando quattro motivi.
2.1. Con il primo, il ricorrente deduce vizio di motivazione quanto alla mancata derubricazione del reato di cui all’articolo 624-bis c.p., in quello ex articolo 624 c.p., con conseguente declaratoria di improcedibilita’ per difetto di querela. Il motivo in discorso fonda sulla lettura delle dichiarazioni della persona offesa e del teste (OMISSIS), sulle cui basi poteva paventarsi la possibilita’ che il cavo volante, gia’ collegato alla presa di erogazione, fosse fuoriuscito dal cancello del deposito ovvero che fosse stato tirato fuori, senza che fosse stato necessario, per il prevenuto, l’ingresso nell’area privata; dal verbale di arresto, inoltre, emergeva l’impossibilita’ che il cancello fosse scavalcato.
2.2. Analoga doglianza in punto di motivazione e’ stata costruita dalla parte avuto riguardo alla natura del deposito ove era avvenuto il furto che, sulla base della sentenza D’Amico delle Sezioni Unite di questa Corte, non poteva ritenersi luogo di privata dimora; tale interpretazione era ripresa e piu’ a lungo sviluppata in un successivo motivo di ricorso, questa volta fondato sul vizio di violazione di legge, in cui era evidentemente caduta la Corte territoriale – sostiene il ricorrente – qualificando abitazione un mero deposito di materiale edile; il ricorrente invoca, quindi, l’improcedibilita’ per mancanza di querela.
2.3. Altri due motivi di ricorso vertono sul trattamento sanzionatorio, a dire del ricorrente del tutto immotivato nonostante apposita censura contenuta nell’atto di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ fondato quanto alla qualificazione del reato commesso ai sensi dell’articolo 624-bis c.p., giacche’ l’assimilazione del cortile di un deposito di materiale edile (tale e’ il luogo dal quale e’ stato collegato il cavo, cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) ad un luogo di privata dimora non e’ in sintonia con la piu’ recente giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte.
Secondo la sentenza n. 31345 del 23/03/2017 (ricorrente D’Amico, Rv. 270076) evocata dal ricorrente non e’, infatti, sufficiente, per ritenere integrata la fattispecie di cui all’articolo 624-bis piuttosto che quella ex articolo 624 c.p., che il sito dove avviene il furto sia un luogo di lavoro, ma e’ necessario, tra l’altro, che la persona offesa lo utilizzi in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne.
In particolare, questa Corte, nel suo massimo consesso, ha precisato che e’ indiscutibile che nei luoghi di lavoro il soggetto compia atti della vita privata, ma che cio’ non e’ sufficiente per affermare che tali siti rientrino nella nozione di privata dimora. Tale conclusione discende dalla constatazione che i luoghi di lavoro, generalmente, sono accessibili ad una pluralita’ di soggetti anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto e che, quindi, si tratta di siti strutturalmente privi di riservatezza perche’ esposti alla “intrusione” altrui, in cui la fisiologia vede il titolare dello ius excludendi alios interagire con un numero indeterminato di persone, che possono prendere contatto (visivo e materiale) con il luogo senza alcun filtro o controllo. Fanno eccezione – secondo la ricostruzione delle Sezioni Unite – solo i luoghi di lavoro che abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione perche’ ivi il soggetto passivo compie atti della vita privata in modo riservato e precludendo l’accesso a terzi (ad esempio, retrobottega, bagni privati o spogliatoi, area riservata di uno studio professionale o di uno stabilimento).
Ne consegue – calando dette riflessioni nella fattispecie concreta oggi sub iudice – che il cortile esterno del deposito ove l’imputato si sarebbe introdotto per collegare alla presa li’ presente il cavo destinato ad alimentare la sua bancarella non poteva certo avere le caratteristiche individuate dalle Sezioni Unite, essendo evidente che esso non garantiva la riservatezza di chi vi si trovasse, ne’ che costituisse un’area strutturalmente non destinata all’afflusso di terzi.
Il reato va, pertanto, diversamente qualificato in quello di cui all’articolo 624 c.p. e, dal momento che nel fascicolo non si rinviene un atto di impulso del procedimento proveniente dalla persona offesa che possegga le caratteristiche di forma e di sostanza per essere reputato querela di parte, la sentenza va annullata senza rinvio per difetto di querela. A questo riguardo, occorre anzi rappresentare che, nel fascicolo trasmesso a questa Corte, e’ presente un verbale di sommarie informazioni testimoniali della parte lesa (OMISSIS), in cui si manifesta la volonta’ di non sporgere querela, salvo l’eventuale accertamento di avere subito un danno di notevole entita’.

P.Q.M.

diversamente qualificato il fatto ai sensi dell’articolo 624 c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata per difetto di querela.

Avv. Renato D’Isa

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