Fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25900.

Fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni

La costituzione di un fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni appartiene al potere discrezionale dell’assemblea e non pregiudica, né l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, né loro il diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma, risultando di tutta evidenza che la disponibilità, da parte dell’amministratore, di una pronta liquidità di cassa gli consente di affrontare con maggiore prontezza e tranquillità l’ordinaria gestione del condominio.

Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25900. Fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni

Data udienza 19 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Amministratore – Attribuzioni – Rendiconto – Approvazione consuntivo – Redazione della contabilità da parte dell’amministratore – Criteri – Funzione – Forme prescritte per i bilanci di società – Osservanza – Necessità – Esclusione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10696/2017 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), e dall’avv. (OMISSIS), con domicilio eletto in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’amministratore p.t.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 782/2016, depositata in data 26.10.2016;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.5.2022 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS) ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari il Condominio (OMISSIS), proponendo opposizione avverso la Delib. Assembleare 3 ottobre 2000, avente ad oggetto l’approvazione della situazione patrimoniale e il bilancio 1999/2000, esponendo che – nella suddetta situazione patrimoniale – erano riportati: a) la voce “fondo riserva portineria”, costituito con l’accantonamento dei canoni pagati dal conduttore, la voce “ricavi da affitto dei parcheggi, costituita dai canoni di locazione per i posti auto di proprieta’ dei condomini e la voce “ricavi da affitto locali portineria” per Lire 5.136.000, senza che fossero indicati gli importi spettanti a ciascun condomino; b) il fondo di riserva ordinario di Lire 3.984.100, senza alcuna indicazione della provenienza di tali disponibilita’.
Secondo la ricorrente, il condominio non poteva trattenere a tempo indeterminato somme che appartenevano ai singoli condomini e, inoltre, occorreva indicare a verbale gli importi esatto dei residui attivi spettanti a ciascun proprietario.
Ha chiesto di annullare la Delib. e di regolare le spese.
In contraddittorio con il Condominio il tribunale ha respinto l’impugnazione, dichiarando tardive anche le domande di annullamento delle delibere del 22.5.1997 e del 3.12.1998, proposte dalla ricorrente nelle memorie ex articolo 183 c.p.c., comma 6.
La sentenza e’ stata confermata in appello.
Ribadita la tardivita’ della domanda di annullamento delle delibere non impugnate con il ricorso introduttivo, la Corte distrettuale ha poi precisato che le uniche contestazioni ancora ammissibili riguardavano la possibilita’ di determinare la quota dei fondi accantonati e di quelli spesi in base a un mero calcolo matematico sulla base dei dati risultanti dalla Delib. e il fatto che fossero stati effettivamente compensati i debiti e i crediti reciproci.
La pronuncia ha evidenziato che gia’ il tribunale aveva chiarito che era possibile individuare gli importi spettanti ai condomini in base al contenuto della Delib., non esistendo alcuna disposizione che prevedesse un obbligo di esatta indicazione numerica dei residui attivi di pertinenza dei singoli, precisando che l’amministratore aveva fornito, nel corso del giudizio di primo grado, i dati relativi alle quote del Fondo riserva portineria e del Fondo di riserva ordinario da ripartire tra i singoli, senza che la (OMISSIS) avesse sollevato contestazioni.
La Delib. non aveva leso i diritti patrimoniali dei condomini, data la prevista compensazione delle somme accantonate con le quote di anticipazione per l’esercizio successivo o dovute a conguaglio, avendo inoltre imposto un vincolo temporaneo, destinato a valere fino al momento dell’effettuazione di eventuali spese nell’interesse comune. Il singolo condomino non poteva infine pretendere secondo la pronuncia – la corresponsione della propria quota o la immediata compensazione con i debiti, non avendo l’amministratore il potere di utilizzare i residui attivi senza l’autorizzazione dell’assemblea.
La cassazione della sentenza e’ chiesta da (OMISSIS) con ricorso in 6 motivi.
Il Condominio (OMISSIS) non ha formulato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo denuncia la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 36, sostenendo che la Delib. impugnata doveva indicare esattamente, a pena di annullabilita’, le somme derivanti da residui attivi spettanti a ciascun condomino, stante l’obbligo di dichiarazione a fini fiscali – gravante su ciascun condomino – degli introiti derivanti dalla locazione dei beni comuni, ove superiori ad Euro 25,00.
Il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 1130 c.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, per aver la sentenza negato che la Delib. dovesse indicare gli importi facenti parte del fondo cassa spettanti a ciascun condomino, non considerando che l’amministratore ha l’obbligo di rendere il conto della sua gestione in modo che siano intellegibili le voci attive e passive della gestione.
I due motivi, che per la loro stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Delib. con cui si approva la situazione patrimoniale del condominio ad una data scadenza deve esporre la situazione delle entrate e delle uscite con i relativi residui attivi o passivi in modo chiaro ed intellegibile.
In particolare, la contabilita’ predisposta dall’amministratore ed approvata dall’assemblea deve essere idonea a fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, della qualita’ e quantita’ dei frutti percetti e delle somme incassate, dell’entita’ e causale degli esborsi fatti e di tutti gli elementi di fatto che consentano di individuare e vagliare le modalita’ con cui l’incarico e’ stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Cass. 10844/2020; Cass. 1405/2007; Cass. 9099/2000; Cass. 3747/1994).
E’ – tuttavia – orientamento costante di questa Corte (nel regime del condominio, anteriore alle modifiche adottate con L. n. 220 del 2012)
che non e’ necessario, per la validita’ dell’approvazione del consuntivo, che la relativa contabilita’ sia tenuta dall’amministratore con il medesimo rigore richiesto per i bilanci delle societa’, essendo sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; ne’ si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa: rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facolta’ di procedere sinteticamente all’approvazione, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa.
Cio’ posto, pertiene al giudizio di fatto, insindacabile in cassazione, la conclusione cui e’ pervenuto il giudice distrettuale, secondo cui la mancata indicazione dell’esatto ammontare dei residui attivi di spettanza dei singoli non aveva pregiudicato l’intellegibilita’ del rendiconto, essendo possibile determinare tali importi sulla base del contenuto della Delib. e con un mero calcolo matematico.
In tale situazione non occorreva l’espressione in cifre delle somme spettanti a ciascun comproprietario a pena di annullabilita’ della Delib., essendo possibile stabilirne l’entita’ e procedere alle opportune verifiche sulla correttezza della successiva compensazione con le quote condominiali.
D’altro canto, neppure il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 36, impone un obbligo, gravante sull’assemblea, di indicare l’ammontare degli importi spettanti ai singoli aventi diritto, a pena di invalidita’.
Facendo confluire nel reddito imponibile anche i frutti dei beni condominiali, se eccedenti Euro 25,00, la disposizione ha natura tributaria e disciplina esclusivamente gli obblighi di dichiarazione a carico del singolo, cui questi non deve necessariamente ottemperare mediante la Delib. di approvazione del rendiconto, potendosi avvalere – in alternativa – di documentazione fornita dall’amministratore ugualmente idonea a comprovare l’ammontare delle somme percepite.
2. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’articolo 102 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo del giudizio, per aver la sentenza dichiarato erroneamente tardive le domande di annullamento o di nullita’ delle Delib. maggio 1997 e Delib. dicembre 1998. Si sostiene che l’esigenza di richiederne l’annullamento era scaturita dalle difese del condominio e che l’annullabilita’ (o la nullita’) era questione deducibile in via di eccezione o oggetto di una mera difesa proponibile senza alcuna preclusione.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’articolo 183 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per aver la Corte di merito ritenuto tardive le domande di annullamento delle Delib. del 1997 e del 1998, pur se integranti una mera emendatio libelli dell’originaria impugnativa, ritualmente proposta con il ricorso introduttivo.
Il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per non aver la sentenza pronunciato sul terzo motivo di appello riguardante il fatto che la Delib. 3 dicembre 1998, riguardava l’affidamento dei fondi accantonati dall’amministratore e la conferma di altra Delib., istitutiva di un fondo cassa, non individuata, non prodotta in giudizio e di cui era stata contestata la stessa esistenza.
I tre motivi, che vanno esaminati congiuntamente, sono infondati.
Con le domande proposte nelle memorie ex articolo 183 c.p.c., erano state dedotti vizi di annullabilita’ – e non di nullita’ – delle Delib. del 1997 e del 1998, sostenendo che l’assemblea aveva derogato una tantum ai criteri di riparto delle spese in violazione dei quorum deliberativi (cfr. ricorso, pag. 24).
Secondo il recente insegnamento delle S.U., possono ritenersi nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalle legge o dalla convenzione, da valere per il futuro; al contrario, sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni, adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione (poiche’ destinate a valere per la singola decisione collegiale), essendo comunque assunte nell’esercizio delle attribuzioni assembleari (Cass. s.u. 9831/2021).
Parimenti, la violazione dei quorum deliberativi o costitutivi e’ causa di annullamento e non di nullita’ delle delibere (Cass. 13013/2000; Cass. 8981/2003; Cass. 6623/2004; Cass. 4806/2005; Cass. 17014/2010; Cass. s.u. 8939/2021).
L’interesse ad ottenere l’annullamento era scaturito dalle difese del Condominio e quindi l’impugnativa andava proposta al piu’ tardi all’udienza di trattazione, alla luce del disposto dell’articolo 183 c.p.c., comma 4 (nella versione applicabile ratione temporis), fatta salva l’eventuale decadenza per decorso del termine fissato dall’articolo 1137 c.c..
Esaurita l’udienza, era impregiudicata solo la facolta’ di precisare e modificare le domande nelle memorie previste dal comma 5 della disposizione.
L’elemento distintivo tra la modifica consentita nelle memorie ex art, 183 e le domande nuove che scaturiscano dalle eccezioni e o dalle riconvenzionali consiste non nel fatto che, nelle prime, le “modifiche” non possono incidere sugli elementi identificativi (petitum e causa petendi), bensi’ nel fatto che le domande modificate non possono essere considerate “nuove” nel senso di “ulteriori” o “aggiuntive”, trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate – eventualmente anche in alcuni elementi fondamentali – o di domande diverse che pero’ non si aggiungono a quelle iniziali (salvo la proposizione in via subordinata), ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternativita’ (cfr., testualmente, Cass. s.u. 12310/2015).
L’azione cosi’ modificata deve essere sempre correlata alla vicenda dedotta in giudizio e deve sostanziare una domanda complanare o incompatibile con quella originariamente proposta, in modo da non compromettere le potenzialita’ difensive della controparte e da non provocare l’allungamento dei tempi del processo (Cass. s.u. 12310/2015; Cass. s.u. 22404/2018; Cass. 4322/2019; Cass. 31078/2019; Cass. 4031/2021).
La ritenuta inammissibilita’ delle azioni proposte nelle memorie ex articolo 183 c.p.c., comma 6, e’ esente dai vizi denunciati: l’impugnativa delle delibere precedenti a quella adottata nel 2000 non presentava quel carattere di alternativita’ rispetto all’azione introdotta inizialmente – essendo evidente l’intento della ricorrente di procurare l’invalidazione di tutte le richiamate deliberazioni – ne’ era riferibile alla medesima vicenda sostanziale dedotta tempestivamente, riguardando decisioni collegiali del tutto diverse da quella ritualmente impugnata.
Non era consentito tener conto delle ragioni di illegittimita’ delle precedenti Delib. come mere difese o eccezioni in senso lato, avendo esse riguardo ad atti deliberativi non oggetto di rituale impugnazione ed essendo dedotti meri vizi di annullabilita’: per privarle di effetti era necessaria la proposizione di un’autonoma domanda giudiziale (nel rispetto del termine ex articolo 1137 c.c.), non potendo il vizio esser fatto valere in via di eccezione, ne’ potendosi procedere alla disapplicazione una tantum delle delibere condominiali (Cass. s.u. 9839/2021).
Era insussistente, quindi, anche la denunciata omissione di pronuncia riguardo alle ragioni d’invalidita’ della Delib. del 1998, dato che la domanda e’ stata definita in rito con statuizione di inammissibilita’.
3. Il sesto motivo deduce la violazione dell’articolo 1135 c.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della causa, lamentando che il fondo cassa – non essendo previsto un termine per il suo impiego – doveva considerarsi impositivo di un vincolo a tempo indeterminato e dunque illegittimo, stante il divieto di previsioni di spesa superiori ad un anno costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimita’.
Il motivo e’ infondato.
Non e’ anzitutto pertinente il richiamo alla pronuncia di questa Corte n. 7076/2016 (riguardante una Delib. impositiva dell’obbligo di continuare a versare le quote relative al fondo di riserva per cinque anni, pari ad una quota condominiale trimestrale per ogni anno): nel caso in esame, come ha puntualizzato il giudice di merito, l’assemblea aveva semplicemente omesso di disporre l’impiego dei residui attivi nell’esercizio di riferimento, senza vincolarli oltre l’esercizio successivo o per periodi ancor piu’ lunghi. In tali ipotesi e’ sufficiente che i residui attivi possano anche solo implicitamente desumersi dal rendiconto, in modo da poter essere rilevati nei conti individuali dei singoli condomini per la conseguente riduzione per compensazione delle quote di anticipazione dovute per l’anno successivo (Cass. 3936/1975; Cass. 8167/1996; Cass. 17035/2016).
La decisione assembleare non violava – dunque – la necessaria dimensione annuale della gestione condominiale mediante la previsione di un fondo cassa alimentato con le anticipazioni da parte dei condomini o con l’accantonamento dei canoni di locazione di un bene comune (cfr. Cass. n. 7706/1996; Cass. n. 20135/2017): la reale finalita’ della Delib. era di assicurare alla collettivita’ condominiale, gestita dall’amministratore, la disponibilita’ di liquidita’ economica per far fronte ai maggiori oneri economici che si sarebbero dovuti affrontare, una volta terminato il periodo in relazione al quale era stato approvato il preventivo (cfr., in proposito, Cass. 12638/2020).
Questa Corte ha inoltre precisato che la costituzione di un fondo cassa per le spese di ordinaria conservazione e manutenzione dei beni comuni appartiene al potere discrezionale dell’assemblea e non pregiudica, ne’ l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, ne’ loro il diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma (Cass. 3936/1975; Cass. 8167/1996; Cass. 17035/2016), risultando di tutta evidenza che la disponibilita’, da parte dell’amministratore, di una pronta liquidita’ di cassa gli consente di affrontare con maggiore prontezza e tranquillita’ l’ordinaria gestione del condominio (Cass. 8167/1997).
Il ricorso e’ – quindi – respinto.
Nulla sulle spese, non avendo il Condominio svolto difese.
Si da’ atto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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