Obbligo di avvertire l’interessato della facolta’ di avvalersi di un difensore anche nel caso di ricovero per cure mediche

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46438.

La massima estrapolata:

Sussiste l’obbligo di avvertire l’interessato della facolta’ di avvalersi di un difensore anche nel caso di ricovero per cure mediche, laddove il prelievo non sia strettamente necessario alle cure ma sia proposto su richiesta della Polizia Giudiziaria esclusivamente per finalita’ di ricerca della prova. In simili ipotesi, il personale sanitario finisce per agire come vera e propria longa manus della polizia giudiziaria e, anche rispetto a tale accertamento, scattano le garanzie difensive sottese all’avviso di cui all’articolo 114 disp. att. c.p.p. gia’ richiamato.
La lettura unitaria dell’articolo 186 C.d.S., commi 2 e 7 delinea l’ambito di tutela che presiede alle contravvenzioni in esame. Il comma 2 delinea l’appartenenza di tali contravvenzioni alla categoria dei reati di pericolo presunto, in cui la pericolosita’ della condotta e’ tratteggiata in guisa categoriale nel senso che il legislatore individua i comportamenti contrassegnati – alla stregua di informazioni scientifiche o di comune esperienza – dall’attitudine ad aggredire il bene giuridico che si trova sullo sfondo, da individuare nella vita e nell’integrita’ personale. Una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravita’ dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole. In tale ottica si apprezza piu’ nitidamente come il comma 7 di detta disposizione non punisca “una mera ed astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento e’ disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione”.
Ne consegue che, ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilita’ dell’articolo 131 bis cod. pen., occorre accertare che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati. Il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede, dunque, una valutazione complessa in relazione alle modalita’ della condotta e all’esiguita’ del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarita’ del caso concreto.

Sentenza 12 ottobre 2018, n. 46438

Data udienza 28 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente

Dott. MENICHETTI Carla – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea – Consigliere

Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/02/2018 della CORTE APPELLO di MESSINA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa SERRAO EUGENIA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SPINACI SANTE, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Messina, con la sentenza in epigrafe, ha parzialmente riformato, con esclusione della circostanza aggravante prevista dal Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285, articolo 186, comma 2-bis, e dall’articolo 187, comma 1-bis, la pronuncia di condanna emessa il 1/02/2017 dal Tribunale di Messina nei confronti di (OMISSIS) in relazione al reato di cui all’articolo 186 C.d.S., comma 7, (capo a) ed al reato di cui all’articolo 187 C.d.S., comma 8, (capo b) commessi in (OMISSIS), riducendo la pena, gia’ sospesa in primo grado, a mesi cinque di arresto ed Euro 800,00 di ammenda con il beneficio della non menzione.
2. Questa, in sintesi, la vicenda come ricostruita nelle fasi di merito. Il giorno 1 ottobre 2013 agenti di polizia giudiziaria, intervenuti a seguito di segnalazione di un sinistro stradale, avevano identificato la (OMISSIS) quale conducente di una Fiat seicento che aveva urtato due autovetture, una delle quali in sosta e l’altra in fase di sorpasso, provocando notevoli danni ad entrambi i veicoli. In occasione dell’urto i conducenti di entrambi tali veicoli avevano riportato lesioni e la (OMISSIS) era stata accompagnata presso il P.S.G. dell’Ospedale (OMISSIS). Gli operanti avevano, successivamente, appreso che la (OMISSIS) si era rifiutata di sottoporsi agli accertamenti di rito, come da certificazione rilasciata dal Policlinico.
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputata, formulando un primo motivo, con il quale ha dedotto violazione di legge con riferimento all’omesso avviso all’interessata della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia prima del compimento degli atti indicati nell’articolo 356 cod. proc. pen., ed ha richiamato il principio espresso da questa Sezione in una recente pronuncia (Sez. 4 n. 6526 del 24/01/2018, Dordoni, n.m.). In particolare, ha invocato la sussistenza dell’obbligo di avviso ai sensi dell’articolo 114 disp. att. c.p.p.qualora l’esecuzione dell’accertamento non avvenga nell’ambito degli ordinari protocolli sanitari ma sia autonomamente richiesta dalla polizia giudiziaria.
Con un secondo motivo ha dedotto violazione di legge per l’affermata responsabilita’ in carenza dell’elemento soggettivo dei reati. La ricorrente aveva subito un serio trauma fisico ed un forte stato di choc emotivo; era, inoltre, mancato ogni avvertimento dell’obbligatorieta’ di sottoporsi ai test, per cui la (OMISSIS) non aveva compreso la gravita’ della sua condotta. In occasione del grave sinistro aveva riportato un grave stato di choc, tanto da essere rimasta seduta in auto nonostante l’anziano passeggero che trasportava fosse riverso sull’asfalto; riavutasi dal trauma dopo sette giorni, si era recata spontaneamente in ospedale per sottoporsi agli esami.
Con un terzo e quarto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’articolo 131 bis cod. pen., posto che le concrete circostanze della vicenda, segnatamente la circostanza che il sinistro non fosse stato provocato dalla ricorrente, l’incensuratezza della stessa, lo stato di choc ed il mancato avviso circa l’obbligatorieta’ degli accertamenti, la resipiscenza manifestata dalla (OMISSIS) che si era sottoposta successivamente ai test, e la non abitualita’ del fatto ne rivelavano la speciale tenuita’. La motivazione e’ contraddittoria nella parte in cui ha ritenuto sleale, anziche’ elogiarla, la condotta dell’imputata per avere la stessa consegnato spontaneamente le sue analisi alla Polizia sette giorni dopo il sinistro.
Con un quinto motivo deduce vizio di motivazione per incoerenza tra imputazione, in cui si legge che il rifiuto e’ stato opposto all’esito di controllo di Polizia, e motivazione della sentenza, in cui si legge che il rifiuto e’ stato opposto ai sanitari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va accolto nei termini che seguono.
2. La Corte di Appello ha rigettato l’eccezione inerente all’omesso avviso ai sensi dell’articolo 114 disp. att. c.p.p. rilevando che la mancanza dell’avviso fosse rimasta assorbita dalla circostanza che il prelievo ematico era stato proposto nell’ambito di un protocollo sanitario terapeutico, attivato in occasione del ricovero conseguente al sinistro stradale nel quale la (OMISSIS) era rimasta coinvolta. Il giudice di appello, richiamando i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’, ha affermato che il predetto avviso non sarebbe stato, in ogni caso, necessario in caso di rifiuto opposto ai sanitari in occasione del ricovero per cure mediche. Tale punto della motivazione deve essere corretto, seguendo il piu’ recente orientamento della Corte di Cassazione, con la precisazione che sussiste l’obbligo di avvertire l’interessato della facolta’ di avvalersi di un difensore anche nel caso di ricovero per cure mediche, laddove il prelievo non sia strettamente necessario alle cure ma sia proposto su richiesta della Polizia Giudiziaria esclusivamente per finalita’ di ricerca della prova (Sez. 4, n. 6514 del 18/01/2018, Tognini, Rv. 27222501; Sez. 4, n. 51284 del 10/10/2017, Lirussi, Rv. 27193501; Sez. 4, n. 3340 del 22/12/2016, dep. 2017, Tolazzi, Rv. 26888501). In simili ipotesi, il personale sanitario finisce per agire come vera e propria longa manus della polizia giudiziaria e, anche rispetto a tale accertamento, scattano le garanzie difensive sottese all’avviso di cui all’articolo 114 disp. att. c.p.p. gia’ richiamato.
2.1. L’esito della decisione non sarebbe stato comunque diverso, ed in questo senso la censura e’ infondata, in quanto l’eccezione non risulta tempestivamente proposta. Si richiama quanto affermato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Sez. U, n. 5396 del 29/01/2015 Bianchi, Rv. 26302301): la nullita’ conseguente al mancato avvertimento al conducente di un veicolo, da sottoporre all’esame alcolimetrico, della facolta’ di farsi assistere da un difensore di fiducia, in violazione dell’articolo 114 disp. att. c.p.p., puo’ essere tempestivamente dedotta, a norma del combinato disposto dell’articolo 180 c.p.p. e articolo 182 c.p.p., comma 2, secondo periodo, fino al momento della deliberazione della sentenza di primo grado.
2.2. Nel caso concreto, trattandosi di eccezione proposta per la prima volta con l’atto di appello, la Corte avrebbe in ogni caso dovuto rilevarne la tardivita’. Tale rilievo determina, per logica conseguenza, l’irrilevanza della censura svolta nel quinto motivo di ricorso, peraltro ampiamente superata dalla puntuale difesa svolta sul punto.
3. Il secondo motivo e’ inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha evidenziato la piena consapevolezza del rifiuto, a fronte dell’accettazione degli altri accertamenti sanitari. Giova, in ogni caso, richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita’ a proposito dell’elemento soggettivo nei reati contravvenzionali, per i quali la buona fede dev’essere determinata da un fattore positivo esterno che abbia indotto il soggetto in errore incolpevole circa la liceita’ del suo comportamento (Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014, Paris, Rv. 26065701), nonche’ a proposito del comportamento successivo al rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici, che non rileva, dal momento che non esiste una sorta di ravvedimento operoso da parte di chi abbia gia’ consumato il reato con il comportamento di rifiuto (Sez. 4, n. 5909 del 08/01/2013, Giacone, Rv. 25479201).
4. Il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono fondatamente proposti.
4.1. Come gia’ chiarito in altra pronuncia di questa Sezione ((Sez. 4, n. 12233 del 1/02/2018, Satriano, n.m.), la lettura unitaria dell’articolo 186 C.d.S., commi 2 e 7 delinea l’ambito di tutela che presiede alle contravvenzioni in esame. Il comma 2 delinea l’appartenenza di tali contravvenzioni alla categoria dei reati di pericolo presunto, in cui la pericolosita’ della condotta e’ tratteggiata in guisa categoriale nel senso che il legislatore individua i comportamenti contrassegnati – alla stregua di informazioni scientifiche o di comune esperienza – dall’attitudine ad aggredire il bene giuridico che si trova sullo sfondo, da individuare nella vita e nell’integrita’ personale. Una volta accertata la situazione pericolosa tipica e l’offesa ad essa sottesa, resta sempre uno spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato e al solo fine della ponderazione in ordine alla gravita’ dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale nel quale la condotta si inserisce e, di conseguenza, il concreto possibile impatto pregiudizievole. In tale ottica si apprezza piu’ nitidamente come il comma 7 di detta disposizione non punisca “una mera ed astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento e’ disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione”.
4.2. Ne consegue che, ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilita’ dell’articolo 131 bis cod. pen., occorre accertare che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati. Il giudizio sulla tenuita’ del fatto richiede, dunque, una valutazione complessa in relazione alle modalita’ della condotta e all’esiguita’ del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarita’ del caso concreto.
4.3. Considerato che la Corte territoriale ha motivato il diniego circa la sussumibilita’ del fatto nell’ipotesi prevista dall’articolo 131 bis cod. pen. sulla base del “comportamento dell’imputata, non improntato a lealta’ e correttezza, con il pretestuoso test negativo portato alla Polizia a sette giorni di distanza dall’incidente”, il Collegio ritiene tale motivazione non conforme ai criteri che devono assistere il relativo giudizio in rapporto al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice, tanto piu’ ove si osservi che nella stessa pronuncia i giudici di merito hanno ritenuto di escludere la circostanza aggravante prevista dall’articolo 186 C.d.S., comma 2-bis, e dall’articolo 187 C.d.S., comma 1-bis, in difetto di prova certa che il sinistro fosse ascrivibile alla (OMISSIS) ed hanno irrogato la pena in misura pari al minimo edittale.
5. Si impone, pertanto, l’annullamento della decisione impugnata limitatamente al diniego di cui all’articolo 131 bis cod. pen. con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria per un nuovo giudizio sul punto. Il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego di cui all’articolo 131 bis cod. pen.e rinvia alla Corte di Appello di Reggio Calabria per nuovo esame sul punto. Rigetta il ricorso nel resto.