Esercente di un’attività di esecuzione di lavori sulla pubblica strada e la presunzione di responsabilità

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13579.

La massima estrapolata:

L’esercente di un’attività di esecuzione di lavori sulla pubblica strada – da considerarsi pericolosa, ex art. 2050 c.c. costituendo i lavori stessi fonte di pericolo per gli utenti – è assoggettato alla presunzione di responsabilità di cui alla norma codicistica in relazione ai danni subiti dagli utenti della strada a causa e nello svolgimento dell’attività stessa; presunzione che lo stesso può vincere fornendo la dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in ordine alla scelta delle quali egli dispone di un margine di discrezionalità, fermo restando che tale facoltà di scelta non investe però quelle misure preventive che già la legge impone di adottare, ma è relativa solo a quelle aggiuntive che la situazione del caso concreto e/o i progressi della tecnica consigliano, sicché deve ritenersi non superata la presunzione di responsabilità da parte dell’esercente predetto che abbia adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative (o regolamentari), senza che vi sia alcuna possibilità, in tal caso, di valutarne l’idoneità. (Nel ribadire il principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito che erroneamente aveva posto a carico dei congiunti della vittima di un sinistro mortale la dimostrazione della sussistenza delle condizioni che imponevano all’esercente di istituire un “senso unico alternato” sulla strada, essendo viceversa, a carico del predetto la dimostrazione di aver adottato la misura “de qua” come stabilito dall’art. 42 del d.P.R. n. 495 del 1992).

Ordinanza 21 maggio 2019, n. 13579

Data udienza 12 ottobre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 1889-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) SPA, (gia’ (OMISSIS) SPA), in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al controricorso;
(OMISSIS) Snc (OMISSIS) s.n.c., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore Sig. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
(OMISSIS) SPA, in persona del suo Direttore Legale e Procuratore speciale Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che la rappresenta e difende giusta procura speciale notarile;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1099/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 07/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/10/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. PEPE ALESSANDRO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso di (OMISSIS) piu’ altri con riferimento ai motivi 2 e 5, cassando con rinvio la gravata sentenza della Corte d’Appello di Palermo.

FATTI DI CAUSA

1. (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 1099/16, del 26 aprile 2016, della Corte di Appello di Palermo, che – respingendo il gravame principale dagli stessi esperito contro la sentenza n. 27/11 dal Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata (e, per guanto qui ancora di interesse, accogliendo quello incidentale, in punto di condanna alle spese di lite, della societa’ (OMISSIS) S.n. c. di (OMISSIS)) – ha rigettato la domanda risarcitoria proposta dagli odierni ricorrenti, verso la predetta societa’ (OMISSIS) S.n. c. di (OMISSIS) (d’ora in poi, ” (OMISSIS)”) e l'(OMISSIS), (OMISSIS) S.p.a. (d’ora in poi, “(OMISSIS)”).
2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di aver adito il Tribunale agrigentino per conseguire, nei confronti della societa’ (OMISSIS) e dell'(OMISSIS), il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del proprio congiunto, (OMISSIS).
Deducevano, infatti, in quella sede processuale, che costui mentre percorreva la S.S. n. (OMISSIS), in direzione di marcia (OMISSIS), alla guida del proprio motoveicolo – si scontrava frontalmente con un autocarro, in prossimita’ di una strettoia per lavori in corso, decedendo per effetto dell’impatto.
Gli allora attori ascrivevano la responsabilita’ del sinistro mortale sia all’impresa esecutrice dei lavori, ex articolo 2050 c.c., ovvero la societa’ (OMISSIS), sia all'(OMISSIS), ente proprietario della strada, ex articolo 2051 c.c., nonche’ ad entrambi, ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
Costituitesi in giudizio le convenute, l'(OMISSIS) veniva autorizzata a citare in giudizio, in garanzia, la (OMISSIS) S.p.a.
All’esito dell’istruttoria, l’adito Tribunale, pur affermando in capo alle convenute – a dire degli odierni ricorrenti – la sussistenza dei titoli di responsabilita’ invocati dagli attori, rigettava la domanda risarcitoria, sul rilievo che il comportamento di (OMISSIS) si sarebbe posto come causa esclusiva dell’evento lesivo. Al rigetto della domanda risarcitoria conseguiva, peraltro, la compensazione integrale delle spese di lite.
Proposto gravame principale dagli odierni ricorrenti, nonche’ appello incidentale dalla societa’ (OMISSIS) relativamente alla disposta compensazione delle spese di lite, la Corte panormita, rigettando il primo ed accogliendo il secondo, confermava la reiezione della domanda risarcitoria e condannava gli odierni ricorrenti al pagamento, in favore di (OMISSIS), delle spese di lite di primo grado. Per quanto qui ancora di interesse, il giudice di appello poneva a carico degli appellanti principali anche il pagamento delle spese del secondo grado di giudizio, in favore di tutte le convenute.
3. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione gli (OMISSIS)-(OMISSIS), sulla base di sei motivi.
3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c., nonche’ degli articoli 112, 324, 329, 342 e 346 c.p.c.
Si censura la sentenza impugnata sul presupposto che la decisione resa in primo grado avrebbe affermato la sussistenza della responsabilita’ sia di (OMISSIS), qualificando come attivita’ pericolosa l’apertura di cantieri edili su strade aperte al traffico (e ravvisando nel comportamento della stessa violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 16 dicembre 1992, n. 495, articoli 34 e 42), sia di (OMISSIS), a titolo, invece, di omessa custodia.
Pertanto, siffatti temi – in assenza di appello incidentale delle convenute – non avrebbero potuto essere messi in discussione dal giudice di seconde cure, donde la violazione delle norme summenzionate, “concernenti la corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, il principio del “tantum devolutum quantum appellatum” (con conseguente ultrapetizione della pronuncia sul punto), nonche’ di quelle attinenti al giudicato formale e sostanziale”.
3.2. Con il secondo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 42 nonche’ dell’articolo 111 Cost., comma 6, articolo 132 c.p.p., comma 2, n. 4), e articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 1.
In particolare, si censura la sentenza impugnata laddove ha affermato che il predetto articolo 42 del citato decreto (in base al quale, “se la larghezza della strettoia e’ inferiore a mt. 5,60, occorre istituire il transito a senso unico alternato nel tempo”) non troverebbe applicazione nel caso in esame, disattendendo le risultanze della CTU, secondo cui, la misura della carreggiata – nel tratto interessato dal restringimento, nonche’ teatro del sinistro – variava, per larghezza, da mt. 5,30 a mt 6,00.
Orbene, la scelta della Corte territoriale di disattendere la valutazione del proprio ausiliario si fonderebbe su una semplice presunzione, suggerita da parte avversa, secondo cui il rilievo tecnico – effettuato dal consulente d’ufficio circa due anni dopo l’incidente “piu’ che verosimilmente” sarebbe stato compiuto prendendo come riferimento linee di margine modificate nel tempo. In tale prospettiva, il giudice di appello avrebbe valorizzato una fotografia allegata da uno dei tecnici di parte, nella quale si intravede una vecchia linea di margine sbiadita piu’ vicina al ciglio della strada, accanto a quella in bianco, piu’ evidente, usata come riferimento dal consulente tecnico d’ufficio.
Su tali, errate, basi la Corte di Appello avrebbe pertanto escluso l’inosservanza del citato articolo 42, donde la violazione delle altre norme sopra richiamate, finendo, cosi’, con l’ignorare l’incidenza – in termini di efficienza concausale – esercitata da detta inosservanza nell’eziologia del sinistro, dal momento che l’istituzione di un senso unico alternato, imposta dalla norma suddetta, avrebbe costituito misura idonea a scongiurare l’evento mortale, impedendo ai veicoli viaggianti delle opposte direzioni di marcia di occupare contemporaneamente la medesima strettoia e, dunque, di fronteggiarsi e collidere, come avvenuto nel caso di specie.
3.3. Con il terzo motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 34 del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, nonche’ dell’articolo 111 Cost., comma 6, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 1.
La censura investe, in questo caso, l’esclusione della violazione dell’articolo 34 del gia’ citato decreto, che impone, in presenza di una strettoia, il ricorso a “coni” e “delineatori flessibili”, avendo ritenuto, invero, il giudice di appello che, nella specie, fossero state comunque adottate misure parimenti efficaci.
In particolare, secondo la Corte territoriale la societa’ (OMISSIS) avrebbe ottemperato alla norma suddetta, scegliendo di utilizzare delle barriere in cemento – a suo dire piu’ efficaci degli strumenti imposti dalla norma – per delimitare, ai margini della carreggiata, la zona di lavoro.
Deducono i ricorrenti che, in realta’, la violazione della norma “de qua” consisterebbe nel fatto che la ditta esecutrice dei lavori non aveva provveduto a realizzare una separazione provvisoria degli opposti sensi di marcia attraverso il ricorso agli strumenti suindicati, essendosi, cosi’, nuovamente ignorata – da parte della sentenza impugnata – una circostanza che sarebbe stata idonea ad escludere che il sinistro mortale di cui fu vittima l’ (OMISSIS) abbia trovato nella condotta dello stesso la sua causa esclusiva.
3.4. Con il quarto motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, articolo 34 nonche’ del’articolo 111 Cost., comma 6, articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e articolo 118 disp. att. c.p.c., comma 1.
Sulla falsariga delle due censure che precedono, si lamenta, questa volta, l’inosservanza della norma che impone l’adozione di segnaletica orizzontale temporanea e di dispositivi retroriflettenti.
In particolare, si censura la sentenza impugnata in quanto ha ritenuto che la norma “de qua” non dovesse applicarsi al caso di specie, in considerazione della temporaneita’ del cantiere, nel senso che esso sarebbe stato “allestito di giorno in giorno” in relazione al progredire dei lavori.
Si tratterebbe, tuttavia di affermazione smentita dalla stessa difesa della (OMISSIS), giacche’ essa, nella propria comparsa di costituzione in appello, non solo avrebbe confermato la necessita’ di applicare le misure previste dalla norma in questione, ma avrebbe pure attestato che il cantiere non era per nulla mobile ed allestito “di giorno in giorno”, avendo riferito che in occasione del sinistro esso era ancora in fase di allestimento, in quanto i lavori non erano ancora iniziati.
Anche in questo caso, pertanto, l’omissione di (OMISSIS) – secondo i ricorrenti – avrebbe avuto un’incidenza causale decisiva nella verificazione dell’evento mortale. Difatti, il persistere della segnaletica orizzontale di colore bianco sul manto stradale (pur all’esito del gia’ operato restringimento della carreggiata), disegnando ancora l’originale ampiezza delle due corsie di marcia, avrebbe indotto il motociclista a rimanere all’interno della propria corsia di marcia nella convinzione di procedere regolarmente, cio’ che escluderebbe la possibilita’ di ritenere il suo comportamento “imprevedibile ed eccezionale”, e dunque la sola causa del sinistro mortale occorsogli.
Si assume, in sostanza, che l’ (OMISSIS) (anzi, ciascuno dei conducenti dei veicoli scontratisi) sia stato tratto in inganno dalla perdurante presenza della segnaletica orizzontale bianca, la quale, se non addirittura da oscurare, andava sostituita con quella temporanea di colore giallo.
3.5. Con il quinto motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2050 2051 e 2697 c.c.
Si censura, in particolare, il punto della sentenza impugnata nel quale si afferma che gli odierni ricorrenti non avrebbero provato la “sussistenza dell’obbligo della ditta esecutrice dei lavori di predisporre il senso unico alternato”.
Al riguardo, si osserva come le fattispecie di cui agli articoli 2050 e 2051 c.c.siano soggette ad un’eccezione rispetto al principio generale secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
In particolare, in caso di responsabilita’ per l’esercizio di attivita’ pericolosa, il danneggiato ha l’onere solo di provare l’esistenza dell’attivita’ stessa e dell’evento dannoso verificatosi, nonche’ il nesso causale tra l’una e l’altra. Per contro, e’ il convenuto che, per esonerarsi da responsabilita’, deve fornire non la prova negativa di non aver commesso alcuna violazione delle norme di legge o di comune prudenza che disciplinano l’attivita’ stessa, bensi’ la prova positiva di avere impiegato ogni cura o misura atta ad impedire l’evento dannoso. E cio’ restando inteso, peraltro, che – in presenza di oggettiva violazione di norme di legge o di regolamento da parte dell’esercente l’attivita’ pericolosa – rimane preclusa anche la possibilita’ di fornire la prova contraria, atteso che la violazione costituisce, di per se’, elemento oggettivamente idoneo a fondare la responsabilita’, non piu’ superabile in modo alcuno (viene citata, in particolare, Cass. Sez. 3, sent. 13 maggio 2003, n. 7298).
3.6. Infine, il sesto motivo – proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentando l’omessa pronuncia circa la responsabilita’ delle convenute appellate, in quanto ipotizzata anche ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
4. Ha resistito l'(OMISSIS), con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ ovvero, in subordine, di infondatezza del ricorso.
L’inammissibilita’ del ricorso discenderebbe, innanzitutto, dalla carenza di interesse ex articolo 100 c.p.c., dal momento che l’impugnazione non avrebbe attinto l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che ha escluso la responsabilita’ delle convenute sul presupposto del difetto di prova della incidenza, rispetto alla produzione dell’evento dannoso, dell’efficacia almeno concausale delle omissioni ad esse addebitate.
Si assume, infatti, che i ricorrenti non avrebbero rivolto alcun specifico motivo di impugnazione in ordine a tale statuizione, probabilmente consci del fatto che l’accertamento del nesso causale tra l’azione e l’evento dannoso costituisce una “quaestio facti” riservata al giudice di merito it sottratta al sindacato di legittimita’ (viene citata Cass. Sez. 3, sent. 25 febbraio 2014, n. 4439).
Quanto, poi ai singoli motivi, si eccepisce l’inammissibilita’ del primo, giacche’ fondato su di un documento, la sentenza di primo grado, che non risulta neppure essere stata depositato in questa sede, ed inoltre perche’ il motivo avrebbe dovuto essere proposto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
In ordine, invece, ai motivi di ricorso secondo, terzo e quarto, si esclude che gli stessi si risolvano nella denuncia di un “errore di sussunzione”, il quale presuppone che i fatti oggetto di causa siano incontroversi, ma ricondotti ad un’errata norma di legge. Per contro, cio’ che si contesterebbe nel caso di specie e’ proprio l’accertamento di fatto svolto dalla Corte territoriale, ormai sindacabile solo nei ristretti limiti dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo novellato dal legislatore del 2012.
Privo di specificita’, invece, sarebbe il quinto motivo, poiche’ la Corte di Appello di Palermo non avrebbe affatto accertato l’applicabilita’ delle “presunzioni di colpa” previste dagli articoli 2050 e 2051 c.c.; conseguentemente, i ricorrenti, per dolersi della asserita inversione dell’onere della prova, avrebbero dovuto previamente impugnare la decisione della Corte territoriale per omessa sussunzione della fattispecie concreta sottoposta al suo esame in taluna delle ipotesi di cui alle norme suddette.
Infine, inammissibile sarebbe anche l’ultimo motivo di ricorso, visto che attraverso di esso non viene affatto lamentato l’omesso esame di un fatto, bensi’ della questione relativa alla supposta applicabilita’, alla fattispecie concreta, dell’articolo 2043 c.c.
5. Anche la societa’ (OMISSIS) ha resistito, con controricorso all’impugnazione principale, chiedendone la declaratoria di inammissibilita’ o il rigetto.
Quanto, in particolare, al primo motivo di ricorso, si esclude la presenza nella sentenza di primo grado di una statuizione che abbia attribuito la responsabilita’ dell’occorso ad essa societa’ (OMISSIS). Ne costituirebbe conferma, del resto, la stessa decisione di compensare le spese di lite, nella quale pure vi e’ un riferimento ad una asserita responsabilita’ di (OMISSIS), dal momento che la disposta compensazione viene dichiaratamente assunta “nonostante il rigetto integrale delle pretese attoree”.
Inoltre, anche (OMISSIS) ritiene che i motivi secondo terzo e quarto investano profili di accertamento di fatto, riservati esclusivamente al giudice di merito, sottolineando, invece, con riferimento al quinto motivo, che lo stesso e’ formulato sul presupposto erroneo della riscontrata esistenza di violazioni di legge in capo ad essa contro ricorrente.
Infondato, infine, sarebbe anche l’ultimo motivo di ricorso, atteso che gia’ la sentenza di primo grado ha escluso la ricorrenza, nel caso in esame, della fattispecie della “insidia stradale”.
6. Ha proposto controricorso anche la societa’ (OMISSIS) S.p.a. (gia’ (OMISSIS) S.p.a.), chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ o il rigetto del ricorso, e cio’ sulla base di considerazioni analoghe a quelle svolte dalle altre controricorrenti.
7. Nel presente giudizio e’ intervenuto il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo sostituto, chiedendo accogliersi il ricorso con riferimento ai motivi secondo e quinto.
8. I ricorrenti e l'(OMISSIS) hanno presentato memoria, insistendo nelle rispettive argomentazioni e replicando a quelle avversarie, nonche’ – nel caso di (OMISSIS) – a quelle del Procuratore Generale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

9. Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito precisati.
9.1. Il primo motivo non e’ fondato.
9.1.1. Va, infatti, qui osservato – riproponendo quanto di recente ritenuto da questa Corte – che “sull’accertamento compiuto dal primo giudice ai fini del rigetto della stessa domanda attrice non si e’ formato alcun giudicato, il quale non si determina sul “fatto”” (nel caso che qui occupa, costituito dalla ipotizzata responsabilita’ di (OMISSIS) ed (OMISSIS), ai sensi, rispettivamente degli articoli 2050 e 2051 c.c.), “ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia; con la conseguenza che l’appello (da parte del soccombente, senza alcuna necessita’ di appello incidentale della parte totalmente vittoriosa, come nella specie), motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato” (ovvero, nella specie, la pretesa inidoneita’ della condotta della vittima del sinistro a porsi come causa esclusiva dello stesso) “apre il riesame sull’intera questione che essa identifica ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 16 maggio 2017, n. 12202, Rv. 644289-01).
Pertanto, nessuna violazione, ne’ delle norme sul giudicato, ne’ di quella sull’effetto devolutivo dell’appello, ricorre nel caso di specie.
9.2. I motivi secondo, terzo, quarto e quinto – che data la loro connessione si prestano ad una disamina congiunta – sono, invece, fondati, per quanto di ragione.
9.2.1. Sul punto, si deve muovere dalla seguente constatazione, ovvero dalla – almeno astratta – riconducibilita’ della fattispecie per cui e’ causa alle norme di cui agli articoli 2050 e 2051 c.c., quanto, rispettivamente, alle posizioni di (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Invero, con specifico riferimento alla posizione del primo di tali soggetti, e’ da accogliere l’impostazione dei ricorrenti secondo cui come osservato gia’ da tempo da questa Corte – la “attivita’ di esecuzione di lavori sulla pubblica strada e’ da considerare pericolosa ai sensi dell’articolo 2050 c.c., costituendo i lavori stessi fonte di pericolo per gli utenti”. Di conseguenza, “l’esercente l’attivita’ in questione e’ assoggettato alla presunzione di responsabilita’ di cui alla predetta norma codicistica in relazione ai danni subiti dagli utenti della strada a causa e nello svolgimento dell’attivita’, presunzione che lo stesso puo’ vincere fornendo la dimostrazione di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”, misure nell’individuazione delle quali “egli dispone di un certo margine di discrezionalita’”, fermo restando che tale facolta’ di scelta “non investe pero’ quelle misure preventive che gia’ la legge impone di adottare, ma e’ relativa solo alle misure aggiuntive, che la situazione del caso concreto e/o i progressi della tecnica consigliano”, sicche’ “deve ritenersi non superata la presunzione di responsabilita’ da parte dell’esercente l’attivita’ pericolosa che abbia adottato misure diverse da quelle prescritte da norme legislative (o regolamentari), senza che vi sia alcuna possibilita’, in tal caso, di valutarne l’idoneita’” (cosi’, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 13 maggio 2003, n. 7298, Rv. 562953-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 24 novembre 2003, n. 17951, Rv. 568395-01).
Gia’ in relazione a tale aspetto, dunque, risulta errata l’affermazione della Corte territoriale, laddove ha posto a carico dei ricorrenti la dimostrazione della sussistenza delle condizioni che imponevano alla societa’ (OMISSIS) di istituire il senso unico alternato, essendo, viceversa, a carico della stessa – per superare la presunzione di responsabilita’ ex articolo 2050 c.c. – la prova di aver adottato la misura “de qua”, legislativamente imposta, e dunque presuntivamente idonea ad evitare il danno.
Sussiste, pertanto, la dedotta violazione anche dell’articolo 2697 c.c., configurabile “nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni” (cfr. da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 maggio 2018, n. 13395, Rv. 649038-01).
9.2.2. Ma vi e’ di piu’.
9.2.2.1. Resta, infatti, inteso che – in caso di “di insussistenza di una o alcune di dette misure idonee ad evitare il danno” – “il fatto del danneggiato” possa comunque “produrre effetti liberatori”, purche’ “per la sua incidenza e rilevanza” sia, pero’, “tale da escludere, in modo certo, il nesso causale tra attivita’ pericolosa e l’evento” (e non gia’ quando costituisca “solo un elemento concorrente nella produzione del danno, inserendosi in una situazione di pericolo che ne avesse reso possibile l’insorgenza a causa dell’inidoneita’ delle misure preventive adottate, da valutarsi, quindi a norma dell’articolo 1227 c.c., comma 1)”, e cio’ in quanto la “disposizione normativa di cui all’articolo 2050 c.c. presume (…) la colpa dell’esercente attivita’ pericolosa per danni cagionati a terzi” (cosi’ Cass. Sez. 3, sent. n. 7298 del 2003, cit.), ammettendo, cosi’, che detta presunzione possa essere vinta.
Analogamente, e quanto alla posizione di (OMISSIS), va richiamato il principio secondo cui “l’ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della stessa e delle sue pertinenze”, restando fermo, tuttavia, “che su tale responsabilita’ puo’ influire la condotta della vittima, la quale, pero’, assume efficacia causale esclusiva soltanto ove sia qualificabile come abnorme, cioe’ estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto, potendo, in caso contrario, rilevare ai fini del concorso causale ai sensi dell’articolo 1227 c.c.” (Cass. Sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, n. 2481, Rv. 647935-01).
Nondimeno, una simile duplice evenienza (ovvero, la possibilita’ che il contegno osservato dalla vittima del sinistro recida, sul piano appunto eziologico, sia il nesso tra l’inosservanza delle misure normativamente prescritte per neutralizzare la situazione di pericolo e l’evento dannoso, sia quello tra custodia della “res” e danno) e’ ipotizzabile, nel primo caso, solo quando “questo comportamento del danneggiato si connoti come imprevedibile ed inevitabile, al momento della predisposizione delle misure cautelative, e tale da costituire una causa sopravvenuta da sola efficiente nella produzione dell’evento ed idonea a recidere ogni nesso di causalita’ con l’attivita’ pericolosa, che assume il ruolo di mera occasione rispetto all’altrui imprudenza e negligenza” (Cass. Sez. 3, sent. n. 7298 del 2003, cit.), ovvero, nel secondo, quando la condotta della vittima, come detto, “sia qualificabile come abnorme, cioe’ estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto” (Cass. Sez. 3, ord. 1 febbraio 2018, n. 2481, Rv. 647935-01).
Orbene, siffatta valutazione e’ stata, nella specie, compiuta dalla Corte territoriale, la quale – proprio con riferimento alla (gia’ in appello) dedotta violazione delle norme di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 – ha escluso che la loro inosservanza “abbia costituito un antecedente (con)causale della collisione tra i mezzi”, per ragioni specificamente individuate, innanzitutto, nella circostanza che entrambi i conducenti (e quindi, per quanto specificamente qui interessa, lo stesso (OMISSIS)), “incuranti del fatto che risultava ampiamente segnalata la presenza di un cantiere, procedevano ad una velocita’ di gran lunga superiore a quella consentita”, ovvero “40 km/h”, avendo, inoltre, il CTU accertato, unitamente a detta circostanza, che la vittima del sinistro “non si trovava sul margine destro della carreggiata (come imposto dall’articolo 143 C.d.S.”) e “non indossava il casco protettivo”, addirittura “ipotizzando” che si trovasse “in fase di soprasso”.
In questo modo, tuttavia, la Corte territoriale e’ incorsa in falsa applicazione degli articoli 2050 e 2051 c.c., se e’ vero che “il cosiddetto vizio di sussunzione, censurabile dal giudice di legittimita’, puo’ consistere” non solo “nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perche’ la fattispecie astratta da essa prevista non e’ idonea a regolarla”, ma anche “nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10320, Rv. 648593-01; in senso sostanzialmente analogo Cass. Sez. Lav., sent. 15 dicembre 2014, n. 26307, Rv. 633859-01; Cass.l Sez. 3, sent. 24 ottobre 2007, n. 22348, Rv. 599791-01).
La seconda di tali evenienze e’, appunto, quella che ricorre nel caso di specie, giacche’ le circostanze del caso concreto valorizzate dalla sentenza impugnata, per ritenere il contegno della vittima del sinistro – come pure, in ipotesi, consentirebbe una corretta interpretazione degli articoli 2050 e 2051 c.c. – idonea a recidere ogni nesso di causalita’ con l’attivita’ pericolosa, o con l’uso della cosa, hanno portato la stessa a trarre dalla norma conseguenze giuridiche che contraddicono tale, pur astrattamente corretta, interpretazione.
Infatti, l’eccesso di velocita’ e la non tenuta del margine destro della strada da parte della vittima del sinistro, erano tutt’altro che “conseguenze imprevedibili ed inevitabili, al momento della predisposizione delle misure cautelative” da adottarsi in occasione del restringimento di carreggiata, ovvero tali da connotare la condotta dell’ (OMISSIS) come “estranea al novero delle possibilita’ fattuali congruamente prevedibili in relazione al contesto”. Queste circostanze, anzi, avrebbero dovuto suggerire come proprio la predisposizione del senso unico alternato, quale misura idonea a neutralizzare la situazione di pericolo insista nell’attivita’ di esecuzione dei lavori su pubblica strada e nell’uso della “res”, fossero idonee (come correttamente osservano i ricorrenti) ad impedire, ai veicoli viaggianti delle opposte direzioni di marcia, di occupare contemporaneamente la medesima strettoia e, dunque, di fronteggiarsi e collidere, come avvenuto nel caso di specie.
9.3. Il sesto motivo resta, invece, assorbito.
9.4. All’accoglimento del ricorso segue la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, perche’ decida nel merito in conformita’ ai principi dianzi enunciati, provvedendo, altresi’, sulle spese di lite, ivi comprese quelle relative al presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, perche’ decida nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.

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