Elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|21 luglio 2022| n. 22846.

Elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato

La valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; pertanto, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo è censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. solo per ciò che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’art. 2094 c.c., mentre è sindacabile nei limiti ammessi dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. allorché si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale.

Ordinanza|21 luglio 2022| n. 22846. Elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato

Data udienza 3 marzo 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Lavoro subordinato – Prestazione elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione – Riferimento alla continuità e durata del rapporto, all’orario di lavoro, alle modalità di erogazione del compenso e ad altri criteri distintivi sussidiari – Valutazione di elementi presuntivi da parte del giudice di merito – Censure di mero fatto – Inammissibilità

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 27098-2016 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE 2022 CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del 777 legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che lo rappresentano e difendono;
– controricorrente –
e contro
– intimati –
e contro
I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA, 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 502/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/05/2016 R.G.N. 534/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/03/2022 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

Elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 24.5.2016, la Corte d’appello di Firenze, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, volta all’accertamento dell’insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) e, conseguentemente, della non debenza dei contributi e dei premi per costoro richiestigli dall’INPS e dall’INAIL;
che avverso tale pronuncia (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memoria;
che l’INAIL ha resistito con controricorso;
che l’INPS ha depositato procura in calce al ricorso notificatogli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2094 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto, difformemente dal primo giudice, che il rapporto precorso con i tre lavoratori anzidetti dovesse qualificarsi in termini di rapporto di lavoro subordinato, sul presupposto che operasse nel caso di specie una presunzione di subordinazione, in ragione della natura esecutiva delle mansioni affidate ai predetti, e che era altresi’ risultato che costoro utilizzassero materiali e strumenti di lavoro di proprieta’ dell’impresa e ricevessero un compenso su base oraria;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere i giudici territoriali considerato che i tre lavoratori si erano sempre dichiarati artigiani autonomi;
che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per non avere i giudici di seconde cure considerato che i tre lavoratori erano titolari di autonome ditte individuali, ancorche’ una di esse fosse tenuta irregolarmente;
che, con il quarto motivo, il ricorrente denuncia omesso esame di un ulteriore fatto decisivo, per non avere i giudici territoriali considerato che i lavoratori asseritamente subordinati svolgevano contestualmente altri lavori a beneficio di terzi;
che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure;
che, al riguardo, va premesso che i giudici territoriali, nel motivare la conclusione in ordine alla natura subordinata del rapporto precorso tra l’odierno ricorrente e i lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), hanno anzitutto evidenziato che i medesimi “svolgevano attivita’ di muratore e imbianchino sulla base delle indicazioni di volta in volta ricevute da (OMISSIS)” e, sul presupposto che non fosse stato nemmeno allegato “che essi operassero in base a contratti di appalto” e in considerazione del “contenuto esecutivo delle mansioni svolte, per loro natura soggette alle disposizioni del titolare dell’impresa edile”, nonche’ del fatto che “i tre lavoratori utilizzavano materiali e strumenti di lavoro forniti dall’impresa (OMISSIS), e ricevevano un compenso su base oraria”, hanno reputato che i rapporti in esame presentassero tutti i tratti della prestazione di lavoro subordinato;
che tali conclusioni appaiono prima facie coerenti con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, qualora la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalita’ di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuita’ e la durata del rapporto, le modalita’ di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro (cosi’, tra le tante, Cass. n. 24561 del 2013, sulla scorta di Cass. nn. 9251 del 2010, 8569 del 2004; nello stesso senso, tra le piu’ recenti, Cass. nn. 22289 del 2014 e 23846 del 2017);
che le anzidette conclusioni, ad onta anche della rubrica del primo motivo di censura, sono state avversate non gia’ per avere i giudici territoriali compiuto un qualche errore di interpretazione e/o sussunzione, bensi’ per non aver considerato altre circostanze di fatto concernenti la (supposta) non elementarita’ delle mansioni svolte, la (asserita) mancata dimostrazione della sussistenza di potere gerarchico e disciplinare, la (addotta) saltuarieta’ delle prestazioni, l’avere i presunti lavoratori dichiarato di operare quali artigiani autonomi e l’essere titolari di altrettante ditte individuali merce’ le quali avevano reso prestazioni anche a beneficio di terzi;
che, atteso che il giudizio (di fatto) circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato scaturisce da un ragionamento necessariamente presuntivo, in cui talune circostanze di fatto vengono assunte come indizi tramite i quali risalire al fatto da provare (che ovviamente consiste nella prestazione di lavoro subordinato per come tipizzata dall’articolo 2094 c.c.), la possibilita’ di devolvere a questa Corte di legittimita’ un sindacato su tale accertamento deve reputarsi non dissimile da quella piu’ generale di sindacare il ricorso da parte del giudice di merito al ragionamento presuntivo (cosi’ da ult. Cass. n. 33820 del 2021, sulla scorta di Cass. S.U. n. 379 del 1999);
che e’ precisamente in tale ottica che questa Corte, nella sentenza n. 18692 del 2007 (erroneamente indicata con il n. 18962 nella sentenza impugnata), ha fatto riferimento, in una fattispecie in cui veniva in rilievo una censura di motivazione insufficiente ex articolo 360 c.p.c., n. 5, ad una “presunzione di subordinazione”, non a caso ribadendo in parte motiva che “colui che pretende la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato deve provare l’essenza della subordinazione (secondo i ben noti criteri enunciati da questa Corte), attraverso gli indici sintomatici che conducono al giudizio di sintesi sopra detto e la rendono cosi’ ostensibile nel mondo fenomenico”;
che, con riguardo alla sindacabilita’ per cassazione del ragionamento presuntivo, e’ assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, a seguito della novella apportata all’articolo 360 c.p.c., n. 5, dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, (conv. con L. n. 134 del 2012), il principio secondo cui spetta al giudice di merito individuare i fatti da porre a fondamento dell’inferenza presuntiva e valutarne la rispondenza ai requisiti di cui agli articoli 2727 e 2729 c.c., con un apprezzamento di fatto che e’ intangibile in questa sede di legittimita’, salvo che si sia omesso l’esame di un qualche fatto decisivo (nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014: cosi’, tra le piu’ recenti, Cass. nn. 10253 e 18611 del 2021);
che, piu’ in particolare, si e’ precisato (da ultimo da Cass. n. 22366 del 2021) che la censura ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in ordine all’impiego del ragionamento presuntivo non puo’ limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito e che la mancata valutazione di un elemento indiziario non puo’ di per se’ dare luogo al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, stante che il fatto da provare puo’ considerarsi desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalita’, non potendo l’inferenza logica essere in alcun modo oggettivamente inconfutabile;
che in tale ultimo senso deve ribadirsi che, in questa sede di legittimita’, il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo integra un giudizio censurabile ex articolo 360 c.p.c., n. 3, solo per cio’ che riguarda l’individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, per come tipizzati dall’articolo 2094 c.c., mentre e’ sindacabile solo nei limiti ammessi dall’articolo 360 c.p.c., n. 5, allorche’ si proponga di criticare il ragionamento (necessariamente presuntivo) concernente la scelta e la ponderazione degli elementi di fatto, altrimenti denominati indici o criteri sussidiari di subordinazione, che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale;
che, alla stregua delle suesposte considerazioni, e’ evidente che, nel caso di specie, parte ricorrente, lungi dal denunciare un errore di diritto o l’omesso esame circa un fatto decisivo (ripetesi, nel rigoroso senso delineato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014), domanda sostanzialmente a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno presuntivamente ricondotto le collaborazioni precorse tra l’odierno ricorrente e i lavoratori (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nell’alveo della prestazione di lavoro subordinato; che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimita’ in favore della parte controricorrente, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilita’ del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore della parte controricorrente, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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