Deve ritenersi valido l’accordo denominato come preliminare del preliminare

Corte di Cassazione, sezione sesta (seconda) civile, Ordinanza 20 marzo 2019, n. 7868.

La massima estrapolata:

Deve ritenersi valido e, dunque, produttivo di effetti giuridici l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, purchè emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.

Ordinanza 20 marzo 2019, n. 7868

Data udienza 24 gennaio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE SECONDA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

Dott. BESSO MARCHEIS CHIARA – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 13605-2017 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), e rappresentate e difese dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1839/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 6/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/1/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), davanti al Tribunale di Siracusa Sezione distaccata di Lentini, deducendo di aver stipulato con questi, in data 13 ottobre 1995, un contratto preliminare di compravendita avente a oggetto un immobile, di aver trasferito il possesso di tale immobile ai promissari acquirenti e di aver pattuito con questi ultimi un prezzo di Lire 32.000.000, ricevendo all’atto della stipula del preliminare la somma di Lire 10.000.000, nonche’, in data 30 ottobre 1995, l’ulteriore acconto di Lire 2.000.000. Inoltre deducevano che, sempre in data 30 ottobre 1995, era stata individuata nel 10 novembre 1995, la data della stipula del contratto definitivo, e che, a seguito della mancata stipula, avevano inutilmente diffidato i convenuti a concludere il contratto definitivo con raccomandata del 14 novembre 2002.
Gli attori, previa declaratoria di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare, chiedevano che i convenuti venissero condannati al rilascio dell’immobile e che fossero autorizzati a trattenere le somme ricevute a titolo di caparra e acconto – per complessive Lire 12.000.000 (oggi Euro 6.197,48) – a titolo di maggior danno complessivamente quantificato in Euro 18.592,45, ovvero in subordine, ritenuto legittimo il recesso degli attori e risolto il contratto preliminare per colpa dei promissari acquirenti, dichiarare legittimamente ritenuta la caparra confirmatoria.
Si costituiva in giudizio (OMISSIS) chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice nonche’, in via riconvenzionale, il rimborso delle migliorie apportate all’immobile, per un ammontare di oltre L. 20.000.000. La convenuta sosteneva che i rapporti tra le parti risalivano gia’ al 1992 e che il rinvio della stipula era da imputarsi all’assoggettamento dell’immobile a pignoramento immobiliare. Eccepiva che la scrittura privata dell’ottobre 1995, non andava qualificata come un contratto preliminare in quanto era unicamente diretta a vincolare i proprietari a non cedere l’immobile a terzi, e le somme consegnate avevano unicamente natura di acconti, e non di caparre. Inoltre affermava che gli attori avevano formulato l’invito a procedere alla stipula dell’atto definitivo solo nel novembre 2002.
Si costituiva in giudizio anche (OMISSIS) chiedendo il rigetto delle domande attoree, in quanto la scrittura privata non poteva qualificarsi come contratto preliminare, ne’ sussisteva inadempimento dei convenuti.
Non si costituiva (OMISSIS) nei cui confronti non si perfezionava la notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
A seguito di istruttoria, con sentenza n. 16 del 7 febbraio 2012, il Tribunale rigettava la domanda degli attori e li condannava a pagare le spese di lite in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Avverso tale sentenza proponevano appello (OMISSIS), (OMISSIS), sia in proprio che in qualita’ di procuratore speciale di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Con comparsa depositata il 9 ottobre 2012 si costituiva in giudizio (OMISSIS), chiedendo il rigetto dell’appello. Si costituivano separatamente (OMISSIS) e (OMISSIS) che del pari chiedevano il rigetto dell’appello.
Con sentenza n. 1839/2016 la Corte d’Appello di Catania, in riforma della sentenza impugnata, accoglieva l’appello degli attori.
Preliminarmente la Corte, quanto ai motivi di appello relativi alla censura della sentenza nella parte in cui questa aveva ritenuto inesistente la notifica dell’atto introduttivo di primo grado nei confronti del convenuto (OMISSIS), affermava che erano comunque superati dalla costituzione in appello dello stesso (OMISSIS), sicche’ la mancanza di contraddittorio integro in primo grado era ormai sanata a seguito dell’accettazione da parte del litisconsorte pretermesso della lite nello stato in cui si trovava.
Quanto al merito, secondo la Corte distrettuale la scrittura privata del 13 ottobre 1995 rivestiva la qualita’ di contratto preliminare in quanto con essa le parti non si impegnarono a concludere un successivo contratto di contenuto identico al primo, ma piuttosto costituirono “un preciso rapporto obbligatorio e vincolo negoziale articolato in tre livelli”.
Dunque la violazione di tale accordo, con ingiustificata mancata conclusione del contratto definitivo, faceva sorgere in capo agli appellati una responsabilita’ contrattuale da inadempimento, dovendosi quindi dichiarare risolto il contratto preliminare del 13 ottobre 1995, con l’assorbimento di tutte le altre censure formulate avverso la sentenza di primo grado, con il diritto degli appellanti a conseguire il rilascio dell’immobile.
Con riferimento al risarcimento del danno richiesto per la prolungata indisponibilita’ dell’immobile da parte degli appellanti, la Corte quantificava il danno in via equitativa in una somma corrispondente agli acconti complessivamente versati dagli appellati per Euro 6.197,48 e li autorizzava a trattenere tale somma, non gia’ ex articolo 1385 c.c., comma 2, bensi’ a titolo risarcitorio.
Infine, condannava in solido (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Propongono ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di due motivi, mentre gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1351, 1362 ss., 1337 e 1418 c.c., e dell’articolo 1419 c.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Secondo le ricorrenti la sentenza della Corte d’Appello andrebbe cassata, con immediata reviviscenza della sentenza di primo grado, in quanto all’epoca di quest’ultima pronuncia la Cassazione era solita negare la possibilita’ per le parti di stipulare un contratto preliminare diretto alla conclusione di un altro contratto preliminare, e non anche del definitivo. Nel caso di specie, inoltre, non vi sarebbe alcuna traccia di esso, dal momento che le parti non fissarono mai un termine entro il quale si doveva addivenire alla stipula del definitivo, ne’ si sarebbe potuto validamente trasferire il bene oggetto di trattative, poiche’ l’appartamento risultava abusivo.
Invece, la Corte d’Appello ha inteso trasformare il “preliminare di preliminare” in un regolare contratto preliminare senza stabilire esattamente quale sarebbe stato il contenuto del contratto definitivo, posto che mancavano diversi elementi essenziali per la validita’ del successivo contratto definitivo di vendita. Non gioverebbe, in definitiva, l’emersione di un interesse delle parti a predisporre gradualmente il contenuto del contratto, perche’ si sarebbe trattato “di interesse di mero fatto, privo di ogni vestimentum giuridico”, ragion per cui i giudici di secondo grado avrebbero dovuto dichiarare la nullita’ del contratto per mancanza di causa, con l’ulteriore conseguenza che le odierne ricorrenti non avrebbero tenuto un comportamento contrario a buona fede.
Il motivo deve essere rigettato.
Recentemente, in ordine all’ammissibilita’ del cd. contratto preliminare di preliminare sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 4628/2015, richiamata dai giudici d’appello, attraverso la quale e’ stato ricomposto un contrasto da tempo presente in giurisprudenza.
Ad un primo orientamento piu’ restrittivo (cfr. Cass. 8038/2009), che diffidava della configurabilita’ di un momento contrattuale anteriore al preliminare, se ne contrapponeva un secondo, piu’ possibilista, che ammetteva le ipotesi di c.d. “preliminare aperto”, ritenendo possibile una tripartizione delle fasi che conducono alla stipula del definitivo.
Secondo le Sezioni Unite stabilire se la formazione di un accordo che riguardi solo i punti essenziali del contratto di compravendita (Cass. 23949/2008; Cass. n. 2473/2013; Cass. n. 8810/2003; Cass. n. 3856/1983) sia sufficiente a costituire un contratto preliminare suscettibile di esecuzione coattiva ex articolo 2932 c.c., e’ questione di fatto che puo’ risultare di difficile discernimento. Si rinvengono, infatti, non poche massime secondo le quali ai fini della configurabilita’ di un definitivo vincolo contrattuale, e’ necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza la’ dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorche’ riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori (Cass. 14267/2006; Cass. n. 11371/2010). Quindi anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, puo’ risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volonta’ delle medesime di considerare concluso il contratto (Cass. n. 910/2005; Cass. n. 20701/2007).
Al contrario ben puo’ verificarsi l’ipotesi in cui dietro la stipulazione contenente la denominazione di “preliminare del preliminare” (nel senso che la conclusione dell’accordo precede la stipula del contratto preliminare) si ravvisino situazioni fra loro differenti, che delineano figure contrattuali atipiche, ma alle quali corrisponde una “causa concreta” meritevole di tutela.
La Corte d’Appello ha esaminato le due scritture del 13 e del 30 ottobre 1995 avendo cura di accertare se quella anteriore fosse solo la prima di diverse pattuizioni obbligatorie progressivamente orientate verso la stipula del definitivo, ovvero se potesse rivestire le qualita’ proprie di un preliminare, e secondo i giudici di merito entrambe le scritture rivestono le qualita’ di un preliminare, in quanto col primo accordo si e’ determinata tra le parti l’intesa contrattuale e l’oggetto della compravendita; col secondo si e’ dato atto dell’ulteriore dazione di una somma in acconto, nonche’ della previsione del momento di ulteriore perfezionamento dell’intesa.
Il ragionamento alla base della sentenza n. 8038/2009, richiamata dall’odierna parte ricorrente, con la quale la Suprema Corte ha negato la validita’ di un accordo ripetitivo, puo’ essere invocato nel caso in cui si ipotizzi che tra il primo e il secondo preliminare vi sia completa identita’: in tal caso, mancando un contenuto nuovo in grado di dar conto dell’interesse delle parti e dell’utilita’ del contratto, il contratto deve ritenersi nullo per mancanza di causa. Al contrario deve escludersi la nullita’ del contratto che contenga la previsione della successiva stipula di un contratto preliminare, allorquando il primo accordo gia’ contenga gli estremi del preliminare, di modo che l’assenza di causa che e’ stata rilevata quando si e’ discusso di “preliminare di preliminare” potrebbe riguardare tutt’al piu’ il secondo, ma non certo il primo contratto.
Per questo, in ultima analisi, le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per cui in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca gia’ esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex articolo 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori, ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. Egli deve ritenere produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilita’ dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la piu’ ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.
A tali principi risultano essersi conformati i giudici d’appello, i quali, previo accertamento in fatto circa il riscontro di un attuale interesse delle parti, meritevole di tutela, alla conclusione di un accordo a carattere preliminare, hanno conseguentemente ravvisato la responsabilita’ contrattuale dei promissari acquirenti e dichiarato la risoluzione del contratto preliminare del 13 ottobre 1995 per inadempimento degli stessi.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. e degli articoli 1351, 1453, 2697 e 1226 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Le domande di condanna al rilascio dell’appartamento ed a trattenere la somma di Lire 20.000.000 ricevuta, non come caparra, ma a titolo di anticipo, sarebbero state tutte decise attraverso una violazione e falsa applicazione di norme di diritto, senza alcuna motivazione o con motivazione contraddittoria.
Il rilascio dell’immobile andava senza dubbio subordinato al pagamento di Lire 20.000.000, in quanto le (OMISSIS) avevano eseguito una serie di opere di conservazione necessarie per rendere l’appartamento abitabile; la Corte avrebbe dovuto decidere in base al principio secondo il quale “alla risoluzione del contratto consegue la restituzione delle reciproche prestazioni”, in modo tale da impedire che una parte avesse potuto conseguire, in danno all’altra, un ingiustificato arricchimento.
Inoltre, riguardo al risarcimento del danno, gli attori avevano chiesto il risarcimento del danno da mancato adempimento, mentre la Corte d’Appello ha ancorato il risarcimento del danno alla prolungata indisponibilita’ dell’immobile, giudicando cosi’ in contrasto con l’articolo 112 c.p.c.
La Corte d’Appello non poteva accordare alcun danno ne’ poteva liquidarlo in via equitativa dal momento che cio’ presupporrebbe la raggiunta prova della sua esistenza e della sua entita’ nel preciso ammontare, sicche’ solo qualora fosse impossibile liquidarlo con precisione il giudice puo’ fare ricorso alla valutazione equitativa.
Infine, a detta della ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato nel far decorrere il dies a quo del diritto al risarcimento dal novembre 2002, ossia dalla data in cui i promittenti venditori manifestarono la volonta’ di procedere alla stipula del definitivo, in quanto, al contrario avrebbe dovuto fissarlo dalla notificazione della citazione, essendo stata chiesta solo in quella data, per la prima volta, la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, con conseguente riduzione dell’ammontare del danno.
Anche il secondo motivo di ricorso deve essere rigettato.
Preliminarmente va precisato che l’esame del motivo di ricorso puo’ essere svolto solo alla stregua dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, mentre la sua proposizione ai sensi del n. 5, e’ inammissibile poiche’ censura la motivazione sulla base della vecchia formulazione della norma, non applicabile ratione temporis.
In primo luogo va affrontata la questione del pagamento di Euro 10.329,00, a cui, secondo le ricorrenti, andrebbe subordinato il rilascio dell’immobile. In particolare cio’ che va rilevato e’ che tale pretesa fu proposta dalle ricorrenti in sede di comparsa di risposta in primo grado ma deve reputarsi assorbita per effetto della pronuncia della sentenza del Tribunale, che nel rigettare la domanda degli attori, ritenne superfluo pronunciarsi sulla richiesta delle convenute.
Le ricorrenti avrebbero pertanto dovuto riproporre tale richiesta ex articolo 346 c.p.c. al giudice d’appello, cio’ che non e’ avvenuto, e che fa si’ che tale pretesa si debba considerare rinunciata. Come ricordato piu’ volte da questa Corte, una soccombenza soltanto teorica in primo grado – che ha luogo quando la parte, pur vittoriosa, abbia pero’ visto respingere taluna delle sue tesi od eccezioni, ovvero accogliere le sue conclusioni per ragioni diverse da quelle prospettate – da un lato non fa sorgere l’interesse della stessa ad appellare, ma dall’altro, le impone l’onere di manifestare in maniera esplicita e precisa la propria volonta’ di riproporre le domande ed eccezioni respinte o dichiarate assorbite nel giudizio di primo grado, onde superare la presunzione di rinuncia e, quindi, la decadenza di cui all’articolo 346 c.p.c. (conf. Cass. n. 7457/2015, secondo cui l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale e’ tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’articolo 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volonta’ di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione).
In secondo luogo, riguardo alla formulazione della domanda di risarcimento del danno il motivo va rigettato in quanto, la circostanza che l’attore abbia erroneamente qualificato il tipo di pregiudizio non patrimoniale di cui chiede il risarcimento non e’ ostativa all’accoglimento della domanda, se di quel pregiudizio, intrinsecamente connesso alla situazione data, abbia comunque allegato e provato gli elementi costitutivi (Cass. 12236/2012).
Peraltro, il pregiudizio derivante dal mancato godimento del bene anticipatamente consegnato ai promissari acquirenti, costituisce all’evidenza un pregiudizio derivante dalla mancata stipula del definitivo, che deve quindi essere ristorato in caso di risoluzione (cfr. da ultimo Cass. n. 30594/2017, secondo cui il promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, da versarsi prima del definitivo, e provochi la risoluzione del contratto preliminare, e’ tenuto al risarcimento del danno in favore della parte promittente venditrice, atteso che la legittimita’ originaria del possesso viene meno a seguito della risoluzione lasciando che l’occupazione dell’immobile si configuri come “sine titulo”. Ne consegue che tali danni, originati dal lucro cessante per il danneggiato, che non ha potuto trarre frutti ne’ dal pagamento del prezzo ne’ dal godimento dell’immobile, sono legittimamente liquidati dal giudice di merito, con riferimento all’intera durata dell’occupazione e, dunque, non solo a partire dalla domanda giudiziale di risoluzione contrattuale).
Del pari manifestamente infondato e’ il motivo nella parte in cui denuncia la violazione dell’articolo 1226 c.c., in quanto, attesa l’effettiva dimostrazione del danno, va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 20889/2016, Cass. n. 127/2016) l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli articoli 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia dimostrata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo preciso ammontare.
Tuttavia in caso di risoluzione del contratto preliminare imputabile al promissario acquirente di un immobile, che, immesso nel possesso all’atto della firma del preliminare, si renda inadempiente per l’obbligazione del prezzo, l’occupazione dell’immobile che si configura ormai come “sine titulo”, determina (cfr. ex multis Cass. n. 16670/2016), un danno che ben puo’ reputarsi presuntivamente esistente, discendendo dalla perdita della disponibilita’ del bene, la cui natura e’ normalmente fruttifera, e dalla impossibilita’ di conseguire l’utilita’ da esso ricavabile, non potendo essere oggetto di sindacato in sede di legittimita’ l’esercizio del potere discrezionale di quantificazione del danno operata in via equitativa dal giudice di merito.
Da ultimo, con riferimento al dies a quo, il motivo di ricorso e’ da rigettare in quanto, secondo i precedenti di questa Corte, la sua decorrenza non puo’ essere posticipata alla data dell’atto di citazione, come vorrebbe parte ricorrente, ma va in realta’ retrodatato al momento in cui i ricorrenti furono immessi nella detenzione del bene (cfr. Cass. n. 19403/2016; Cass. n. 9367/2012; Cass. n. 30594/2017 cit.; Cass. n. 24510/2011).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nulla a provvedere per le spese atteso il mancato svolgimento di attivita’ difensiva da parte degli intimati. Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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