Detenzione di materiale pedopornografico

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|6 ottobre 2021| n. 36198.

In tema di detenzione di materiale pedopornografico, il giudizio sull’età dei soggetti raffigurati costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimità, se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Sentenza|6 ottobre 2021| n. 36198. Detenzione di materiale pedopornografico

Data udienza 11 giugno 2021

Integrale

Tag – parola: REATI CONTRO LA PERSONA – DELITTI CONTRO LA LIBERTA’ INDIVIDUALE – PORNOGRAFIA MINORILE – Detenzione di materiale pedopornografico

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSI Elisabetta – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
3) (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/11/2017 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelillis Ciro, che ha concluso chiedendo il rigetto di tutti i ricorsi;
uditi i difensori dei ricorrenti: avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), i quali hanno concluso chiedendo l’accoglimento delle conclusioni dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 novembre 2017, la Corte d’appello di Brescia, accogliendo il gravame proposto dal procuratore generale e conseguentemente rideterminano la pena, in parziale riforma della sentenza emessa in primo grado all’esito del giudizio abbreviato, ha condannato, per quanto qui rileva, gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) per il delitto di detenzione di materiale pedopornografico (articolo 600 quater c.p.), cosi’ riqualificando le originarie imputazioni di produzione del medesimo materiale (articolo 600 ter c.p., comma 1, n. 1) per le quali in primo grado era intervenuta assoluzione. Respingendo i gravami proposti da tutti gli imputati con riguardo alle residue imputazioni per le quali gli stessi avevano riportato condanna gia’ in primo grado, la Corte territoriale ha nel resto confermato la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza di appello, a mezzo dei difensori fiduciari, i tre imputati di cui infra hanno proposto ricorso per cassazione.
3. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) si deducono erronea applicazione dell’articolo 600 quater c.p. e vizio di motivazione per essere stato ritenuto integrato il reato in esame. Innanzitutto ci si duole dell’illogicita’ della motivazione nella parte in cui ha indebitamente sovrapposto il consenso del minore alla produzione del materiale rispetto alla condotta di autoproduzione del medesimo. In secondo luogo, si lamenta l’erronea applicazione della legge penale, fatta dalla Corte territoriale con il richiamo ad un precedente di legittimita’ che aveva invece correttamente affermato come l’oggetto materiale del reato sia il medesimo di quello del delitto di cui all’articolo 600 ter c.p., dovendo in entrambi i casi trattarsi di materiale pedopornografico prodotto “utilizzando” persone minorenni. L’autoproduzione da parte di costoro – non coartata, ne’ indotta, e nella specie riconosciuta dai due giudici del merito – esclude, pertanto, sia il reato di produzione, sia quello di detenzione.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso, in relazione all’affermazione della responsabilita’ penale per il delitto di prostituzione minorile, si deducono violazione della legge penale e vizio di motivazione per non essere stato ritenuto l’errore scusabile sulla minore eta’ della persona offesa ai sensi dell’articolo 602 quater c.p., benche’ si trattasse di ragazzo quasi diciassettenne dal ricorrente contattato tramite un sito internet riservato a soli adulti. Si lamenta che, illogicamente svalutando tali circostanze sulla base di un preteso “fatto notorio” circa il mancato controllo sull’effettiva eta’ di chi si registra ai siti in questione, la sentenza abbia ignorato le allegazioni difensive e le dichiarazioni rese dall’imputato nel verbale di interrogatorio.
3.2. Con il terzo motivo di ricorso si deducono l’erronea applicazione dell’articolo 62 c.p., n. 6 ed il vizio di motivazione per non essere stata riconosciuta la circostanza attenuante pur a fronte del risarcimento del danno accettato dalla persona offesa, omettendo di considerare la corresponsabilita’ di quest’ultima nella produzione del pregiudizio ed illogicamente osservando che il profilo risarcitorio era stato gia’ valorizzato per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
3.3. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione dell’articolo 133 c.p. e vizio di motivazione nella determinazione del trattamento sanzionatorio e degli aumenti per la continuazione.
4. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) nei cui confronti e’ stata confermata la responsabilita’ gia’ affermata in primo grado per la detenzione di cinque fotografie riproducenti immagini pornografiche relative a due ragazzi minorenni – si lamentano violazione dell’articolo 600 quater c.p. e totale carenza motivazionale sulla sussistenza di un elemento essenziale di fattispecie, vale a dire che l’autore delle fotografie pornografiche fosse persona diversa dal minore in essere raffigurato, essendosi la sentenza limitata ad osservare, peraltro erroneamente, che non vi erano elementi per poter affermare che si trattasse di autoscatti. Al di la’ di questo profilo di carenza motivazionale, con considerazioni analoghe a quelle esposte supra, sub §. 3 dall’altro ricorrente, si lamenta che la sentenza impugnata abbia errato nell’interpretare la fattispecie incriminatrice e la stessa giurisprudenza di legittimita’ posta a fondamento della decisione, dalla quale invece si ricava come anche per l’articolo 600 quater c.p. sia necessario che la detenzione riguardi materiale non autoprodotto. A ritenere diversamente – si osserva – si punirebbe la meno grave ipotesi della detenzione, laddove non sarebbe invece punibile quella ben piu’ grave di cessione.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione per travisamento della prova documentale fotografica rispetto alla affermata minore eta’ dei due ragazzi ritratti nelle altre fotografie oggetto di contestazione, i quali, secondo l’informativa di polizia, avrebbero avuto un’eta’ compresa tra i 14 e i 17 anni. In assenza di una perizia – si lamenta – la prova della minore eta’ non era certa al di la’ di ogni ragionevole dubbio, non potendo peraltro valorizzarsi la non dirimente assenza di peli pubici e sul viso.
4.2. Con il terzo motivo, in via subordinata, laddove l’articolo 600 quater c.p. fosse interpretato nel senso ritenuto dalla sentenza impugnata, se ne eccepisce l’illegittimita’ costituzionale per contrasto con l’articolo 3 Cost., posto che per la meno grave fattispecie della detenzione non si richiederebbe l’elemento dell’utilizzazione del minore, richiesto invece dall’articolo 600 ter c.p. per le piu’ gravi condotte ivi previste.
5. Con i primi tre motivi del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS) si lamenta, con riguardo alla condanna per il reato di cui all’articolo 600 quater c.p., rispettivamente:
– la violazione dell’articolo 521 c.p.p., con conseguente nullita’ della sentenza, perche’ la riqualificazione aveva condotto alla condanna per un fatto ontologicamente diverso da quello originariamente contestato;
– l’erronea applicazione della norma incriminatrice per le medesime ragioni esposte dagli altri due ricorrenti;
– il vizio di motivazione per travisamento della prova laddove si afferma che sarebbe stato l’imputato a chiedere al minore di mandargli delle foto, mentre dalle conversazioni WhatsApp risultava il contrario.
5.1. Con riguardo all’affermazione di penale responsabilita’ per il reato di tentata prostituzione minorile, con i successivi tre motivi di ricorso si lamenta, rispettivamente:
– la manifesta illogicita’ della motivazione per essere stato ritenuto provato il fatto sulla base dei medesimi elementi di prova che avevano invece indotto il tribunale del riesame ad escludere la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e a revocare la misura cautelare custodiale applicata, non essendosi i giudici di merito confrontati con le ragioni di quella pronuncia, che aveva escluso come nei contatti tra l’imputato ed il minore fossero ravvisabili comportamenti concretamente finalizzati ad un atto di prostituzione;
– la nullita’ della sentenza ex articolo 522 c.p.p. per essere stato utilizzato ai fini della decisione un fatto non contestato e successivo alla data di commissione del reato indicata in imputazione (vale a dire la localizzazione del telefono cellulare dell’imputato nei pressi di Verona, con invio della stessa al minore);
– la contraddittorieta’ della motivazione nell’aver ritenuto utile detto elemento a provare la “serieta’ dell’accordo” sulla convenuta prestazione sessuale a pagamento rispetto alla (altrimenti) affermata sufficienza delle comunicazioni intercorse tra i due a provare il reato.
5.2. Con i successivi tre motivi di ricorso si muovono doglianze concernenti il trattamento sanzionatorio, deducendo, rispettivamente:
– la violazione dell’articolo 56 c.p., comma 2, per la mancata applicazione della riduzione di pena per il delitto tentato, nulla essendo stato al proposito precisato in motivazione ed essendo la pena base inflitta quella minima edittale del reato consumato;
– l’assoluta mancanza di motivazione al proposito, con conseguente impossibilita’ di valutare il ragionamento logico-giuridico seguito;
– la carenza di motivazione – meramente apparente – rispetto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, pur a fronte delle puntuali allegazioni difensive.
5.3. Con gli ultimi due motivi di ricorso si deducono, rispettivamente:
– l’inosservanza dell’articolo 539 c.p.p., comma 2, per essere stata liquidata in favore della parte civile una provvisionale pur in difetto di prova del danno;
– la mancanza di motivazione rispetto alla statuizione della provvisoria esecuzione della menzionata provvisionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La comune doglianza proposta da tutti i ricorrenti sull’errata interpretazione dell’articolo 600 quater c.p. fatta dalla sentenza impugnata non e’ fondata, dovendosi affermare i principi di diritto di seguito esposti.
Il Collegio, difatti, condivide il piu’ recente orientamento di questa Corte con cui nessuno dei ricorrenti si confronta – giusta il quale il reato di cessione, con qualsiasi mezzo, anche telematico, di materiale pedo-pornografico, previsto dall’articolo 600 ter c.p., comma 4, e’ configurabile anche nel caso in cui detto materiale sia stato realizzato dallo stesso minore (Sez. 3, n. 5522 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 278091-02). Tale decisione ha convincentemente disatteso il precedente orientamento invocato invece dai ricorrenti, affermato con sent. Sez. 3, n. 11675 del 18/02/2016, S.R. e aa., Rv. 266319 (seguita da Sez. 3, n. 34357 del 11/04/2017, R., Rv. 270719), in effetti non correttamente inteso dalla sentenza impugnata, che l’ha richiamato senza tuttavia farne poi concreta applicazione.
Ed invero, come efficacemente argomentato dalla prima delle citate decisioni – alla cui motivazione qui integralmente si rinvia – le condotte illecite previste dal codice penale, aventi ad oggetto materiale pedopornografico, diverse da quella di produzione dello stesso, punita dall’articolo 600 ter c.p., comma 1, n. 1, seconda parte, non presuppongono necessariamente la commissione di questo reato. La lettera della legge, anche in relazione alle modifiche apportate alle fattispecie incriminatrici, la ratio delle previsioni penali, l’aderenza alle convenzioni internazionali di cui le stesse sono attuazione depongono nel senso che il riferimento al “materiale pornografico di cui al comma 1”, contenuto nell’articolo 600 ter c.p., commi 2, 3 e 4, cosi’ come al “materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto”, contenuto nell’articolo 600 quater c.p., comma 1, vada inteso con esclusivo riguardo alla oggettiva natura pedopornografica della rappresentazione, nel senso oggi codificato nell’articolo 600 ter c.p., u.c., sicche’ i reati sussistono anche nel caso in cui si tratti di materiale autoprodotto dallo stesso minore.
Deve qui soltanto aggiungersi, quale ulteriore argomento sistematico a sostegno della conclusione, che la repressione penale delle condotte legate al fenomeno della pornografia minorile ed ai documenti che la rappresentano ruota attorno alla oggettiva natura sessualmente esplicita dei materiali, anche a prescindere dalle modalita’ – e dalle eventuali responsabilita’ – connesse alla loro produzione. L’articolo 20, par. 1, della Convenzione di Lanzarote – rubricato reati relativi alla pedopornografia – vincola le parti contraenti ad adottare “le necessarie misure legislative o di altro genere per rendere punibili le seguenti condotte intenzionali tenute senza averne diritto: a) produrre materiale pedopornografico; b) offrire o rendere disponibile materiale pedopornografico; c) diffondere o trasmettere materiale pedopornografico; d) procurarsi o procurare ad altri materiale pedopornografico; e) essere in possesso di materiale pedopornografico; f) accedere consapevolmente a materiale pedopornografico usando tecnologie di comunicazione e d’informazione”. Il successivo par. 2 sancisce che, “ai fini del presente articolo il termine “materiale pedopornografico” definisce ogni tipo di materiale che raffiguri un minore dedito a un comportamento sessualmente esplicito, reale o simulato, o qualsiasi raffigurazione degli organi sessuali di un minore per scopi precipuamente sessuali”. Il par. 3 della disposizione aggiunge che “le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettere a ed e alla produzione e al possesso di materiale pedopornografico: costituito esclusivamente da rappresentazioni simulate o di immagini realistiche di un minore non esistente; raffigurante minori che abbiano raggiunto l’eta’ fissata in applicazione dell’articolo 18 paragrafo 2, se tali immagini sono prodotte o possedute da essi stessi, con il loro consenso ed esclusivamente per loro uso privato”, mentre il successivo par. 4 precisa che “le Parti possono riservarsi il diritto di non applicare, in tutto o in parte, il paragrafo 1 lettera f”.
Come questa Sezione ha di recente osservato – nell’ordinanza con cui e’ stato rimesso alle Sezioni unite un problema interpretativo concernente la fattispecie di produzione di materiale pedopornografico (Sez. 3, ord. n. 25334 del 22/04/2021) – il legislatore nazionale non si e’ avvalso della facolta’ di escludere rilievo penale alle situazioni indicate nell’articolo 20, par. 3, della Convenzione di Lanzarote (sostanzialmente riprodotta nell’articolo 8, par. 3, della direttiva 2011/92/EU) e la possibilita’ di limitare in via interpretativa il campo di applicazione delle fattispecie penali e’ stata dalle Sezioni unite di questa Corte, pur sollecitate dall’ordinanza citata a rivalutare e meglio precisare in senso restrittivo l’ambito della deroga, alle situazioni definite di pedopornografia c.d. “domestica”. Come noto, in una recente decisione, invocata anche dai difensori dei ricorrenti in sede di discussione, le Sezioni unite hanno di recente affermato che, in tema di pornografia minorile, non sussiste l’utilizzazione del minore, che costituisce il presupposto del reato di produzione di materiale pornografico di cui all’articolo 600 ter c.p., comma 1, nel caso di realizzazione di immagini o video che abbiano per oggetto la vita privata sessuale di un minore, che abbia raggiunto l’eta’ del consenso sessuale, nell’ambito di un rapporto che, valutate le circostanze del caso, non sia caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore, sicche’ la stesse siano frutto di una libera scelta e destinate ad un uso strettamente privato (Sez. U, n. 51815 del 31/05/2018, M., Rv. 274087-02).
Al di la’ del fatto se questo principio, costituente mero obiter dictum nella decisione appena citata, sara’ o meno confermato da questa Corte nella sua piu’ autorevole composizione, reputa il Collegio, come piu’ oltre si dira’ analizzando le singole posizioni, che esso non puo’ essere in alcun modo applicato ai casi di specie ed e’ per questa ragione che – in assenza, peraltro, di specifica richiesta delle parti – non si e’ ritenuto di soprassedere alla presente decisione in attesa del nuovo pronunciamento sul punto delle Sezioni unite.
La conclusione qui condivisa non determina, del resto, alcun overruling interpretativo suscettibile d’incidere sul principio di legalita’ e di colpevolezza e sull’applicazione dell’articolo 7 CEDU quale interpretato dalla Corte di Strasburgo, posto che nel caso di specie, all’epoca di commissione dei reati qui sub iudice (gennaio/febbraio 2016), non v’era alcun consolidato orientamento interpretativo che rendesse ragionevolmente prevedibile un’interpretazione della norma incriminatrice diversa da quella qui ritenuta corretta: il c.d. overruling, per contro, impedisce l’irretroattivita’ del mutamento giurisprudenziale sfavorevole che costituisca ribaltamento imprevedibile di un quadro giurisprudenziale consolidato (cfr. Sez. 5, n. 47510 del 09/07/2018, Dilaghi, Rv. 274406; Sez. 5, n. 41846 del 17/05/2018, Postiglione, Rv. 275105).
2. Alla luce di quanto sopra osservato – e tenuto anche conto dell’inammissibilita’ della doglianza sulla sussistenza del reato di prostituzione minorile di cui piu’ oltre si dira’ – va dunque ritenuto infondato il primo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS).
Secondo la sentenza impugnata, in fatto e’ provato – e non contestato che l’imputato ha detenuto diverse fotografie di carattere pornografico di un minore con il quale ha intrattenuto rapporti sessuali verso corrispettivo (cio’ che ne ha determinato anche la condanna per il reato di prostituzione minorile), fotografie riprese nel centro estetico gestito dall’imputato ed all’evidenza non prodotte con autoscatto dal minore interessato. Indipendentemente dal consenso da quest’ultimo prestato ad essere fotografato – cio’ che, in via generale, per se’ non esclude il reato di detenzione del materiale oggettivamente pedopornografico – non si puo’ certo qui invocare quel concetto di pedopornografia “domestica” enucleato dalla richiamata sent. S.U. n. 51815/2018 per escludere l’applicazione della disciplina penale sulla pedopornografia. E’ evidente, infatti, che ci si trova davanti – per muoversi nell’ambito del paradigma interpretativo della citata decisione delle Sezioni unite – ad un caso caratterizzato da condizionamenti derivanti dalla posizione dell’autore (l’imputato, che pagava il minore per avere rapporti sessuali), sicche’, in un simile contesto illecito, quand’anche fosse possibile riconoscere in via interpretativa la ricorrenza dei casi disciplinati dall’articolo 20, par. 3, della Convenzione di Lanzarote e 8, par. 3, della Dir. 2011/92/UE (cio’ che le Sezioni unite sono state nuovamente chiamate a rivalutare) si e’ qui certamente fuori da quei presupposti applicativi ed e’, per contro, manifestamente illogico il riferimento all’uso “plausibilmente affettivo, sebbene perverso” delle immagini che il primo giudice ha valorizzato per escludere rilevanza penale anche alla mera detenzione.
3. Il secondo motivo del ricorso proposto dall’imputato (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza e perche’ sottopone a questa Corte non consentite valutazioni di merito.
3.1. In diritto va premesso che, in tema di prostituzione minorile, il fatto tipico scusante previsto dall’articolo 602-quater c.p. in relazione all’ignoranza inevitabile circa l’eta’ della persona offesa e’ configurabile solo se l’agente, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia stato indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne fosse maggiorenne; ne consegue, ad es., che non sono sufficienti, al fine di ritenere fondata la causa di non punibilita’, elementi quali la presenza nel soggetto di tratti fisici di sviluppo tipici di maggiorenni o rassicurazioni verbali circa l’eta’, provenienti dal minore o da terzi, nemmeno se contemporaneamente sussistenti (Sez. 3, n. 775 del 04/04/2017, dep. 2018, V.H., Rv. 271862; Sez. 3, n. 12475 del 18/12/2015, dep. 2016, G., Rv. 266484, nella cui motivazione si legge che l’imputato ha l’onere di provare non solo la non conoscenza dell’eta’ della persona offesa, ma anche di aver fatto tutto il possibile al fine di uniformarsi ai suoi doveri di attenzione, di conoscenza, di informazione e di controllo, attenendosi a uno standard di diligenza direttamente proporzionale alla rilevanza dell’interesse per il libero sviluppo psicofisico dei minori).
3.2. Con doppia decisione conforme sorretta da non illogici argomenti, i giudici di merito hanno escluso che nella specie ricorressero i presupposti dell’ignoranza inevitabile. Ed invero, la sentenza di primo grado (pag. 2) attesta addirittura che la persona offesa aveva riferito che tutti gli imputati sapevano benissimo che egli era minorenne e i giudici di merito hanno non illogicamente considerato inattendibile il fatto che il ragazzo fosse iscritto ad un sito riservato a maggiorenni e reputato che, per gli argomenti, anche scolastici, trattati nelle loro conversazioni in chat e per le caratteristiche fisiche del giovane, l’imputato avrebbe dovuto dubitare della sua minore eta’, cio’ che certamente esclude l’errore inevitabile (cfr. Sez. 3, n. 37837 del 06/05/2014, M. e aa., Rv. 260257).
4. Il terzo motivo del ricorso in esame e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza.
Ancorche’ non condivisibile, va in primo luogo ritenuto irrilevante – poiche’ effettuato ad abundantiam, per sostenere la conclusione in ricorso contestata – il riferimento fatto dalla sentenza impugnata alla circostanza che il risarcimento del danno, gia’ ritenuto insufficiente all’integrale riparazione dal primo giudice, era stato da questi considerato per la concessione delle circostanze attenuanti generiche. La negazione della circostanza attenuante dell’intervenuto risarcimento del danno, infatti, e’ stata da entrambi i giudici di merito legittimamente fondata sull’esiguita’ della somma versata rispetto al danno patito dal minore, essendosi ritenuta al proposito ininfluente l’accettazione della parte civile. La conclusione e’ aderente al consolidato principio giusta il quale, ai fini della configurabilita’ della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 c.p., comma 1, n. 6, il risarcimento del danno deve essere integrale, ossia comprensivo della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che puo’ anche disattendere, con adeguata motivazione, ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 2, n. 51192 del 13/11/2019, C., Rv. 278368-02; Sez. 2, n. 53023 del 23/11/2016, Casti, Rv. 268714; Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508).
L’unica doglianza che il ricorrente muove alla valutazione fatta dai giudici di merito e’ ictu oculi infondata e pure generica, alla luce del fatto che il ricorrente e’ stato ritenuto innanzitutto responsabile del piu’ grave reato di prostituzione minorile, rispetto al quale non puo’ certo considerarsi quale “concorso di colpa” del danneggiato il consenso prestato dalla vittima: nel delitto di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, il consenso del minore all’atto sessuale rappresenta elemento costitutivo del reato (Sez. 3, n. 40446 del 27/02/2018, F., Rv. 273814) e, pertanto, non ha alcun rilievo attenuante sul disvalore penale del fatto in capo al soggetto agente, con la conseguenza che non puo’ certo parlarsi di un “concorso colposo” rilevante, sul piano civilistico, ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1.
5. L’ultimo motivo del ricorso in esame e’ inammissibile per genericita’ e manifesta infondatezza.
Richiamando i criteri di cui all’articolo 133 c.p., il trattamento sanzionatorio e’ stato determinato, quanto alla pena base per il piu’ grave reato di prostituzione minorile, in termini leggermente superiori al minimo e ben inferiori alla media edittale e gli aumenti per la continuazione sono stati decisamente contenuti rispetto al possibile aumento massimo del triplo. La sentenza impugnata ha peraltro espressamente argomentato la non eccessivita’ della pena, anche in relazione al modesto scostamento dal minimo edittale, tenendo conto del contesto in cui sono avvenuti i rapporti sessuali a pagamento e della tipologia del materiale pedopornografico. La doglianza al proposito mossa e’ dunque inammissibile posto che la determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197), sicche’ puo’ essere censurata in sede di legittimita’ soltanto sul piano del soddisfacimento dell’obbligo di motivazione, per assolvere il quale, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, e’ sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197). Inoltre, come si e’ visto, la sentenza impugnata ha esposto non illogicamente le ragioni per cui ci si era discostati dal minimo edittale e le contestazioni mosse in ricorso sono generiche e sollecitano a questa Corte non consentite valutazioni di merito.
6. Il primo ed il terzo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) – da trattarsi unitariamente in quanto obiettivamente connessi – sono infondati alla luce di quanto sopra osservato sub §. 1.
In diritto, con riguardo agli specifici motivi in esame, deve soltanto aggiungersi come l’interpretazione qui ritenuta corretta circa la non necessita’ che le condotte di detenzione di materiale oggettivamente pedopornografico seguano a fatti illeciti e punibili di produzione vale – lo si e’ detto – anche per le condotte di distribuzione, divulgazione, diffusione, pubblicizzazione, cessione od offerta punite dall’articolo 600 ter c.p., commi 3 e 4, sicche’ sono in radice destituiti di fondamento i rilievi sull’irragionevolezza di una diversa lettura delle norme incriminatrici ed e’ manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale fondata su quell’errato presupposto.
Pertanto, e’ generica ed irrilevante – e, comunque, attinente ad una valutazione di merito qui non sindacabile – la doglianza sul fatto che la sentenza impugnata abbia escluso che potesse ritenersi provato che talune delle fotografie pedopornografiche rinvenute in possesso del ricorrente, quelle relative al ragazzino piu’ giovane, fossero state realizzate dallo stesso minore con autoscatto.
7. Il secondo motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza e perche’ sollecita a questa Corte una non consentita valutazione di merito sulle prove documentali.
Ed invero, con riguardo ai reati in esame, secondo il pacifico orientamento di questa Corte, la valutazione del carattere pedopornografico del materiale compete al giudice il quale puo’ servirsi degli ordinari mezzi di prova previsti dall’ordinamento (articolo 187 c.p.p.), senza dover necessariamente procedere ad un esame diretto del materiale medesimo (Sez. 3, n. 3110 del 20/11/2013, dep. 2014, C., Rv. 259318, la quale ha ritenuto incensurabile la valutazione del giudice territoriale fondata sulla testimonianza di un ufficiale di polizia giudiziaria). Nel caso di specie, da entrambe le sentenze di merito si ricava che i giudici hanno direttamente esaminato le fotografie in questione concludendo – “con certezza”, chiosa la sentenza impugnata – per la minore eta’ dei ragazzini raffigurati nelle fotografie sequestrate all’imputato e cio’ in base alle fattezze dei medesimi ed all’assenza di caratteri sessuali secondari. Si tratta di valutazione non manifestamente illogica e quindi in questa sede non censurabile, dovendosi affermare che, cosi’ come il carattere pornografico o meno di immagini ritraenti un minore (cfr. Sez. 3, n. 38651 del 09/06/2017, R., Rv. 270827), anche il giudizio sull’eta’ dei soggetti raffigurati costituisce apprezzamento di fatto demandato al giudice di merito e, pertanto, sottratto al sindacato di legittimita’ se sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici. Del resto, gia’ si e’ ritenuto che, in tema di detenzione di materiale pornografico, la prova che i soggetti raffigurati nelle immagini riproducono effettivamente ragazzi minori di anni diciotto puo’ essere desunta anche dai connotati fisici degli adolescenti ritratti (Sez. 3, n. 4678 del 28/10/2014, dep. 2015, P., Rv. 261883) e le doglianze proposte dal ricorrente sul punto si limitano a censure di fatto che attengono alla valutazione della prova, non potendo in alcun modo configurarsi l’evocato vizio di travisamento.
Osserva, al proposito, il Collegio come il ricorrente all’evidenza fraintenda le caratteristiche di tale vizio, che non ricorre quando – come nella specie invece sostenuto – il giudice valuti il contenuto della prova (nella specie, documentale) in modo ritenuto non corretto, ma quando nella motivazione si fa uso di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova decisiva (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 276567; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499). Il vizio, peraltro, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e a., Rv. 258774).
8. Venendo al ricorso proposto da (OMISSIS), il primo motivo e’ infondato.
8.1. Questa Corte ha gia’ chiarito che il delitto di detenzione di materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater c.p. e quello di pornografia minorile ex articolo 600-ter c.p., che incrimina la produzione di detto materiale, non integrano due distinti illeciti ma due diverse modalita’ di realizzazione del medesimo reato, con la conseguenza che non possono concorrere tra loro se riguardano il medesimo materiale (Sez. 3, n. 2252 del 22/10/2020, dep. 2021, C., Rv. 280825-03) e la responsabilita’ per il reato di detenzione di materiale pedopornografico e’ esclusa in capo al soggetto che detto materiale abbia prodotto, sempre che questi sia concretamente punibile per la condotta di produzione (Sez. 3, n. 11997 del 02/02/2011, L., Rv. 249656), essendo lo stesso altrimenti ravvisabile, poiche’ di carattere residuale, laddove si tratti di condotte consistenti nel procurarsi o detenere materiale pornografico fuori delle ipotesi previste dall’articolo 600 ter c.p. (Sez. 3, n. 8285 del 09/12/2009, dep. 2010, R., Rv. 246232).
8.2. Nel capo R) d’imputazione, si addebitava al ricorrente il reato di produzione di due fotografie di carattere pedopornografico per averle l’imputato richieste al minore via Whatsapp, ottenendole, come precisato gia’ nella sentenza di primo grado (pag. 3).
L’accusa, dunque, pur formulata con riguardo al reato di produzione, evocava gia’ sostanzialmente l’ulteriore fatto di procacciamento del materiale pedopornografico (nella primigenia ipotesi d’accusa assorbito nel primo alla luce della consolidata giurisprudenza piu’ sopra citata, e per questo non formalmente addebitato). Come si e’ detto, la condotta dell’essersi l’imputato procurato via Whatsapp fotografie di carattere pedopornografico era stata accertata sin dal primo grado e non ha mai formato oggetto di doglianza da parte della difesa. Il reato di cui all’articolo 600 quater c.p. ritenuto in grado d’appello, dunque, era stato sostanzialmente contestato sin dall’originaria formulazione dell’imputazione e non puo’ pertanto ritenersi diverso, nel senso di cui all’articolo 516 c.p.p., comma 1, e articolo 521 c.p.p., comma 2.
8.3. Difatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perche’, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione e’ del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051). La violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza, invero, si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio e aa., Rv. 265946; Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Colletti, Rv. 256785; Sez. 3, n. 36817 del 14/06/2011, T., Rv. 251081).
8.4 Del resto, anche alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Corte E.D.U., 11 dicembre 2007, Drassich c. Italia; v. anche Corte E.D.U., 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c. Francia), la giurisprudenza di legittimita’ ha avuto modo di ricordare che “l’imputato deve essere messo nelle condizioni di discutere in contraddittorio ogni profilo dell’accusa che gli viene mossa, compresa la qualificazione giuridica dei fatti addebitati. Il diritto ad essere informato dell’accusa e, quindi, dei fatti materiali posti a suo carico e sui quali si fonda l’accusa stessa, implica il diritto dell’imputato a preparare la sua difesa, sicche’ se il giudice ha la possibilita’ di riqualificare i fatti, deve essere assicurata all’imputato la possibilita’ di esercitare il proprio diritto alla difesa in maniera concreta ed effettiva: cio’ presuppone che sia informato, in tempo utile, sia dell’accusa, sia della qualificazione giuridica dei fatti a carico” (cosi’, in motivazione, Sez. 6, n. 20500 del 19/2/2010, Fadda, Rv. 247371, nella cui massima si legge che la garanzia del contraddittorio in ordine alle questioni inerenti alla diversa qualificazione giuridica del fatto deve essere concretamente assicurata all’imputato sin dalla fase di merito in cui si verifica la modifica dell’imputazione).
Sempre in applicazione di tali principi, si e’ ulteriormente chiarito che l’attribuzione in sentenza al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’articolo 521 c.p.p., qualora la nuova definizione del reato appaia come uno dei possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, o, comunque, qualora l’imputato ed il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilita’ di interloquire in ordine alla stessa (Sez. 6, n. 11956 del 15/02/2017, Tronci, Rv. 269655; Sez. 5, n. 48677 del 06/06/2014, Napolitano, Rv. 261356; Sez. 5, n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, Jovanovic e a., Rv. 254649.; v. anche Sez. 1, n. 9091 del 18/2/2010, Di Gati e altri, Rv. 246494).
Che cio’ sia avvenuto nel caso di specie e’ fuori discussione, posto che la riqualificazione giuridica – non effettuata in primo grado – e’ stata espressamente richiesta nell’appello proposto dal pubblico ministero, sicche’ sul punto l’imputato ha avuto modo di esercitare il pieno contraddittorio gia’ nel giudizio di merito e ha svolto sul punto le proprie difese anche nel presente giudizio di legittimita’ (cfr. Sez. 6, n. 422 del 19/11/2019, dep. 2020, Pettinoni, Rv. 278093).
9. Il secondo motivo del ricorso in esame e’ infondato alla luce dei principi di diritto esposti supra, sub §. 1, e nulla v’e’ da aggiungere alle argomentazioni gia’ svolte.
10. Il terzo motivo di ricorso e’ generico e manifestamente infondato.
Come lo stesso ricorrente. ricorda, la sentenza impugnata (pag. 21) attesta che l’imputato aveva chiesto al minore se gli mandava delle sue foto e nell’ambito della relazione erotica che tra i due si era instaurata via Whatsapp e che poi era sfociata, come piu’ oltre si dira’, in una condotta qualificata come tentata prostituzione minorile – il minore gli aveva mandato fotografie di carattere oggettivamente pedopornografico.
Il fatto che anche il minore avesse richiesto delle foto all’imputato circostanza che pure la sentenza impugnata riconosce (pag. 6) – ovviamente non dimostra il travisamento della prova, trattandosi di circostanze diverse, entrambe attestate in sentenza, che non sono fra loro incompatibili.
Il vizio in parola, difatti, deve risultare dal testo del, provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed e’ ravvisabile ed efficace solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il limite del “devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e l’intangibilita’ della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, del 02/07/2019, S., Rv. 277758; Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, Del Gaudio e a., Rv. 258774).
11. Il quarto motivo del ricorso proposto da (OMISSIS) e’ inammissibile per genericita’, manifesta infondatezza e perche’ sottopone a questa Corte non consentite valutazioni di merito.
11.1. Va innanzitutto disattesa la doglianza secondo cui la sentenza impugnata si sarebbe dovuta confrontare con l’ordinanza con cui il tribunale del riesame – si allega, sulla base degli stessi elementi di prova – aveva ritenuto l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al riconosciuto reato di tentata prostituzione minorile. Posto che la valutazione del giudice del riesame esaurisce i propri effetti nell’ambito del giudizio cautelare, non v’e’ alcun obbligo di “confronto” – o di “motivazione rafforzata” – da parte del giudice della piena cognizione del merito. In sede di discussione, il difensore ha evocato il concetto di “giudicato endoprocessuale”, ma lo stesso vale, appunto, soltanto nell’ambito del medesimo tipo di giudizio, cautelare o di merito (cfr. sez. 6, n. 54045 del 27/09/2017, Cao, Rv. 271734). Va infatti ribadito il risalente principio, affermato da questa Corte nella sua piu’ autorevole composizione, giusta il quale l’efficacia della pronunzia adottata dal tribunale per il riesame in ordine alla carenza dei gravi indizi di responsabilita’ resta circoscritta nell’ambito del procedimento incidentale “de libertate” ed e’ finalizzata soltanto all’eliminazione della misura cautelare; essa non vincola, invece, ne’ l’apprezzamento dell’ufficio del pubblico ministero titolare delle indagini preliminari quanto alla rilevanza degli elementi indiziari acquisiti, ne’ quello del g.i.p. ai fini del rinvio a giudizio, o del giudice del dibattimento (Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Durante, Rv. 195352). La stessa Corte costituzionale, nel dichiarare l’illegittimita’ costituzionale della disposizione di cui all’articolo 405 c.p.p., comma 1-bis, – inserita dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, articolo 3 che aveva previsto l’obbligo del pubblico ministero di formulare richiesta di archiviazione del procedimento quando la Corte di cassazione si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’articolo 273 c.p.p. e non fossero stati acquisiti successivamente ulteriori elementi a carico – ha ribadito l’impermeabilita’ del giudizio di merito rispetto a quello cautelare, condivisibilmente rilevando come non sia invece vero l’opposto (Corte Cost., sent. n. 121 del 24/04/2009). In quest’ultima prospettiva e’ peraltro consolidato il principio che una pronuncia di condanna emessa a seguito di un pronunciamento cautelare favorevole integra addirittura quell’elemento di novita’ che consente di richiedere nuovamente l’applicazione di una misura cautelare personale in precedenza rigettata, venendo in tal caso addirittura meno il c.d. giudicato cautelare (cfr. Sez. 1, n. 13407 del 08/01/2021, Iadonisi, Rv. 281055; Sez. 6, n. 30144 del 06/05/2015, Sansone, Rv. 264997).
11.2. Per altro verso, le doglianze proposte dal ricorrente con il motivo in esame attengono alla mera ricostruzione del fatto, richiamandosi quella operata in sede di riesame – ritenuta maggiormente condivisibile – e senza che il ricorrente si confronti con le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata (pagg. 27 s.). Il ricorrente trascura di considerare che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta’ del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali e senza che sia possibile dedurre nel giudizio di legittimita’ il travisamento del fatto (Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217). Non sono deducibili, in particolare, censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicita’, dalla sua contraddittorieta’ (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicche’ sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasivita’, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualita’, la stessa illogicita’ quando non manifesta, cosi’ come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilita’, della credibilita’, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747). Ed invero, alla Corte di cassazione sono precluse la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507), cosi’ come non e’ sindacabile in sede di legittimita’, salvo il controllo sulla congruita’ e logicita’ della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilita’ delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, D’Ippedico e a., Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
12. Manifestamente infondati sono anche il quinto ed il sesto motivo di ricorso, da esaminarsi unitariamente stante la loro evidente connessione.
La sentenza impugnata – sulla base del contenuto delle conversazioni intercorse tra l’imputato ed il minore – ha ritenuto provato che i due avessero concluso un serio accordo per un incontro finalizzato alla consumazione di un rapporto sessuale verso corrispettivo in danaro, il cui importo era stato parimenti concordato. Posto che non v’e’ prova che l’accordo si sia concretizzato e che vi sia dunque stato compimento di atti sessuali, non puo’ dubitarsi dell’integrazione del reato tentato di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, consumato gia’ alla data, contestata in imputazione, del 30 gennaio 2016. Il riferimento fatto dai giudici di merito alla circostanza che, il successivo 5 febbraio, i due avevano provato ad incontrarsi nei pressi del luogo di residenza del minore (fatto non specificamente contestato in imputazione), non e’ stato in sentenza ritenuto quale ulteriore elemento necessario alla configurazione del gia’ integrato tentativo – sicche’ non v’e’ difetto di correlazione tra accusa e sentenza – ma, espressamente, quale elemento “utile per provare che i rapporti fra i due non si erano interrotti e che il concreto accordo avrebbe potuto essere realizzato in qualunque momento”. La chiosa va pertanto riferita, per un verso, al fatto che non vi fosse stata desistenza rilevante ex articolo 56 c.p., comma 3, e, per altro verso, alla (ulteriore) dimostrazione della idoneita’ e non equivocita’ dell’accordo intercorso. Sotto quest’ultimo profilo, osserva il Collegio come non possa revocarsi in dubbio la legittimita’ dell’utilizzo di un accadimento successivo alla gia’ avvenuta integrazione del reato quale elemento idoneo a dimostrarne la sussistenza, senza – ovviamente – che la formulazione dell’imputazione debba contenere il riferimento agli elementi di prova del fatto-reato.
13. Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso sono generici e manifestamente infondati.
Nel disattendere le identiche doglianze rassegnate con il gravame di merito e qui riproposte senza che il ricorrente si confronti con la corretta e non illogica motivazione della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha ritenuto congrua la pena base detentiva per il reato tentato di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, quantificata dal primo giudice, con espresso richiamo al tentativo, nella misura di un anno, specificando che si trattava di pena compresa nella forbice edittale del reato tentato (che in effetti va da quattro mesi a quattro anni di reclusione) e che la stessa era equa in considerazione delle modalita’ dell’azione e della specifica gravita’ della condotta con riferimento alle pratiche sessuali richieste al minore. I giudici di merito, dunque, hanno effettuato la determinazione della pena con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioe’ senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, che e’ altrettanto legittimo del c.d. metodo bifasico – in cui invece vi e’ scissione dei due momenti indicati – essendo stati nella specie rispettati i limiti di pena previsti e l’obbligo di dar conto in motivazione della scelta commisurativa (cfr. Sez. 5, n. 40020 del 18/06/2019, Halilovic, Rv. 277528; Sez. 5, n. 3526 del 15/10/2013, dep. 2014, Birra e aa., Rv. 258461). Scelta che, non essendo illogicamente motivata e attenendo al merito, non puo’ essere in questa sede sindacata, dovendosi peraltro ricordare come la pena base sia ben inferiore al medio edittale del reato tentato in esame, cio’ che rende addirittura sufficiente il mero richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’articolo 133 c.p. (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, Serratore, Rv. 256197).
14. Inammissibile, per genericita’ e manifesta infondatezza, e’ anche il nono motivo di ricorso.
14.1. In tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, De Cotiis, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Del resto, premesso che in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non puo’ mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Lamin, Rv. 271315), quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimita’ dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante e’ soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460).
14.2. La sentenza impugnata ha valutato le generiche argomentazioni addotte dall’appellante a sostegno delle invocate attenuanti, ritenendole insufficienti: per l’incensuratezza, e’ implicito il richiamo all’articolo 62 bis c.p., comma 3; per l’oggettiva portata della condotta, la sentenza richiama quanto al proposito precisato nelle righe immediatamente precedenti, rendendo del tutto chiaro lo sfavorevole giudizio dato sulla gravita’ del fatto.
15. Ictu oculi inammissibili sono anche gli ultimi due motivi del ricorso proposto da (OMISSIS).
E’ noto che il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non e’ impugnabile per cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 44859 del 17/10/2019, Tuccio, Rv. 277773-02; Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, Saracino, Rv. 277711), mentre la condanna al pagamento della provvisionale e’ esecutiva ex lege (articolo 540 c.p.p., comma 2).
16. I ricorsi, tutti nel complesso infondati con particolare riguardo alla comune questione di diritto di cui sub §. 1, debbono pertanto essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dispone, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 52 che – a tutela dei diritti o della dignita’ degli interessati – sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della sentenza, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati sulla sentenza.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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