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Suprema Corte di Cassazione 

sezione III

sentenza  n. 4777 del 26 febbraio 2013

Svolgimento del processo C.M. ha proposto opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., davanti al Giudice di pace di Barra (NA), alla procedura esecutiva promossa a suo carico dalla s.p.a. Equitalia per la riscossione di tributi per l’importo complessivo di Euro 2.551,99, di cui a varie cartelle esattoriali. L’opponente ha denunciato l’illegittimità dell’iscrizione di ipoteca sui suoi beni immobili: iscrizione di cui ha avuto notizia il 12 novembre 2007. La convenuta ha resistito, eccependo fra l’altro il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.

Con sentenza 12-22 febbraio 2008 n. 769, notificata il 19 giugno 2008, il Giudice di pace, ritenuta la propria giurisdizione, ha dichiarato nulla l’iscrizione ipotecaria, ordinandone la cancellazione, e ha disposto l’annullamento delle cartelle esattoriali. Con atto notificato il 5 agosto 2008 Equitalia propone cinque motivi di ricorso per cassazione. Resiste l’intimata con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Deve essere preliminarmente corretta la qualificazione dell’oggetto della sentenza impugnata, che la ricorrente assume doversi considerare di opposizione all’esecuzione, in virtù del principio dell’apparenza, poichè così il Giudice di pace avrebbe qualificato la domanda dell’opponente. Va rilevato al contrario che il Giudice di pace, nel decidere sulla competenza territoriale, ha affermato che il procedimento proposto è di opposizione agli atti esecutivi (p. 2 della sentenza, ultima riga); qualificazione che è del resto conforme alla natura delle eccezioni sollevate dall’opponente, che attengono ad irregolarità dell’atto di iscrizione ipotecaria ed all’omessa od irrituale notìfica delle cartelle esattoriali. Si tratta, pertanto, sia in assoluto, sia in relazione al principio dell’apparenza, di sentenza emessa in tema di opposizione agli atti esecutivi. La questione è stata posta dal ricorrente al fine di dimostrare l’ammissibilità del ricorso, ma è comunque irrilevante, poichè sia in tema di opposizione all’esecuzione, sia in tema di opposizione agli atti esecutivi, la sentenza che decide il procedimento è inappellabile in base al regime applicabile alla controversia (art. 616 c.p.c., come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14: cfr. Cass. civ. 29 maggio 2008 n. 14179).

2.- Con il primo motivo Equitalia assume che la sentenza impugnata ha erroneamente applicato la L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, all’iscrizione ipotecaria di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 77, circa l’obbligo di comunicare al contribuente, con l’avviso dell’iscrizione, il termine entro il quale può proporre opposizione e l’autorità a cui proporla. La norma sarebbe da ritenere inapplicabile alla riscossione esattoriale, poichè la legge pone il contribuente in posizione di subordinazione all’amministrazione finanziaria, in vista dell’esigenza della pronta realizzazione del credito fiscale (favor fisci). Donde la necessità di assoggettare la procedura ad una disciplina speciale e semplificata.

2.1.- Il motivo non è fondato, e ne è anche dubbia l’ammissibilità, considerata la genericità e l’astrattezza del quesito formulato ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. La L. 7 agosto 1990, n. 241, detta una serie di norme a tutela del cittadino nei rapporti con la pubblica amministrazione e le sue prescrizioni debbono essere ritenute applicabili anche ai rapporti con l’amministrazione finanziaria, nei limiti in cui siano di agevole applicazione e non compromettano nella loro essenza le finalità pubbliche perseguite. Le norme in tema di esecuzione esattoriale contemplano misure che, a garanzia e a tutela dei crediti tributari, possono gravemente compromettere i diritti individuali poichè – oltre che avere introdotto misure quali il c.d. fermo amministrativo di beni mobili registrati e l’iscrizione di ipoteca sugli immobili – introducono modalità estremamente rapide e semplificate di esproprio dei beni. E’ essenziale pertanto che, proprio in tema di esecuzione esattoriale, siano rigorosamente rispettati sia il principio di legalità, tramite la stretta osservanza delle procedure stabilite; sia gli adempimenti di carattere generale diretti allo scopo di permettere all’esecutato di far valere le sue ragioni: soprattutto ove si tratti di adempimenti di agevole esecuzione e poco costosi per l’amministrazione, quali quello di comunicare all’interessato – unitamente alla comunicazione dell’avvenuta iscrizione ipotecaria – i termini e le modalità con cui può proporre opposizione e far valere le sue ragioni. Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile la L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 4, cit. al caso di specie.

3.- Con il secondo motivo la ricorrente impugna la sentenza del GdP nella parte in cui ha ritenuto applicabili all’iscrizione ipotecaria esattoriale il D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 50 e 76. Assume che l’iscrizione di ipoteca non è atto di esecuzione e pertanto non è soggetta alla preventiva notificazione degli avvisi di cui all’art. 50, comma 2, e neppure ne è preclusa l’iscrizione per i crediti di valore inferiore ad Euro 8.000,00 di cui all’art. 76, avendo essa il solo scopo di precostituire una garanzia del credito. 3.1.- Il motivo è in parte non fondato ed in parte ininfluente. La Corte di cassazione a sezioni unite ha ripetutamente affermato che l’ipoteca prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, pur non essendo atto di esecuzione, è tuttavia strettamente preordinata e strumentale all’espropriazione immobiliare, e pertanto è soggetta agli stessi limiti stabiliti per quest’ultima dall’art. 76 del medesimo D.P.R., come da ultimo modificato dal D.L. n. 203 del 2005, art. 3, conv. in L. n. 248 del 2005. L’ipoteca non può quindi essere iscritta se il debito del contribuente non supera gli ottomila Euro (Cass. civ. S.U. 22 febbraio 2010 n. 4077; Cass. civ. S.U. 12 aprile 2012 n. 5771).

Tanto basta a giustificare il disposto della sentenza impugnata, nella parte in cui ha dichiarato invalida l’iscrizione ipotecaria, anche indipendentemente dalla mancata notificazione di cui all’art. 50, comma 2, cit.. Le ulteriori censure risultano quindi ininfluenti.

4.- Il terzo, il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili sia per l’inidonea formulazione dei quesiti di diritto, sia per difetto di specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. I quesiti sono così formulati: “Si chiede alla Corte di cassazione di pronunciarsi circa le formalità necessarìe al perfezionamento della notifica degli atti destinati al contribuente di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60, lett. e), ed in particolar modo di sancire la necessità o meno dell’invio al destinatario dell’avviso di deposito dell’atto presso la casa comunale a mezzo di raccomandata a/r al fine del perfezionamento di questa modalità di notifica” (terzo quesito); “Si chiede alla Corte di cassazione di pronunciarsi in ordine alla circostanza per la quale, in caso di mancata impugnazione della cartella di pagamento, questa assuma i caratteri del titolo esecutivo incontrovertibile, ciò determinando, in base all’art. 2953 c.c., la trasformazione del termine eventualmente breve di prescrizione…in quello ordinario decennale..” (quarto quesito); “Si chiede alla Corte di cassazione di stabilire, tenuto conto della disciplina contenuta nell’art. 2719 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c., se sia ammissibile o meno disconoscere la conformità della fotocopia di un documento rispetto all’originale nell’atto introduttìvo di un giudizio, prima cioè che avvenga la produzione in quest’ultimo del documento stesso” (quinto quesito). A norma dell’art. 366 bis c.p.c., è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto art. 366 bis (Cass. civ. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420). Il quesito di diritto deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. civ. Sez. 3, 30 settembre 2008 n. 24339 e 9 maggio 2008 n. 11535; Cass. 25 marzo 2009, n. 7197).

4.1.- In secondo luogo non risulta se e tramite quali atti le questioni prospettate nei motivi di ricorso siano state sollevate davanti al giudice di primo grado, considerato che esse non risultano in alcun modo discusse dalla sentenza impugnata; nè la ricorrente dichiara di avere prodotto in questa sede gli atti su cui il ricorso si fonda, indicando come siano contrassegnati e come siano reperibili fra gli altri atti e documenti di causa, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (Cass. civ. 31 ottobre 2007 n. 23019; Cass. civ. Sez. 3, 17 luglio 2008 n. 19766; Cass. civ. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. civ. Sez. Lav., 7 febbraio 2011 n. 2966, fra le tante; e da ultimo Cass. civ. S.U. 3 novembre 2011 n. 22726, quanto alla necessità della specifica indicazione del luogo in cui il documento si trova). Sotto entrambi i profili le censure vanno dichiarate inammissibili per difetto di specificità.

5.- Il ricorso deve essere rigettato.

6.- Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate complessivamente in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.500,00 per compensi, oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.

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