Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 2 ottobre 2017, n. 22983. Divieto di domande nuove in appello ex art. 345 c.p.c.  e deroga operata dalla disposizione di cui all’articolo 1453 c.c., comma 2

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che il secondo profilo di censura va giudicato infondato, in quanto la domanda restitutoria avanzata dall’odierno ricorrente poteva ritenersi ammissibile, ancorche’ proposta per la prima volta in appello, solo in quanto consequenziale alla domanda risolutoria, la quale, a propria volta, poteva essere proposta per la prima volta in appello, in deroga al generale divieto di domande nuove in appello fissato dall’articolo 345 c.p.c., comma 1 in forza dell’espressa disposizione di cui all’articolo 1453 c.c., comma 2; cosicche’ il rigetto della domanda risolutoria proposta in appello ha travolto il presupposto che rendeva ammissibile la proposizione per la prima volta in appello della consequenziale domanda restitutoria;

che la diversa conclusione suggerita dal Procuratore Generale sulla scorta del principio espresso nel precedente di questa Corte n. 19502/15 non appare al Collegio persuasiva;

che al riguardo va evidenziato che il principio espresso nel suddetto precedente (“Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorche’ il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto, sicche’, proposta azione di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia “ultra petita” il giudice che accerti la nullita’ del contratto e condanni il promittente venditore alla restituzione della caparra stessa, producendo, del resto, la risoluzione e la nullita’ effetti diversi quanto alle obbligazioni risarcitorie, ma identici quanto agli obblighi restitutori delle prestazioni”) opera sul piano dell’individuazione dell’oggetto e della causa della domanda (considerando la domanda di condanna alla restituzione della caparra compresa nella domanda di condanna al pagamento del doppio della caparra e considerando equivalenti, ai fini degli effetti restitutori, la pronuncia di risoluzione e la declaratoria di nullita’ del contratto), ma non affronta il tema dell’ammissibilita’ in appello, ex articolo 345 c.p.c., di una domanda restitutoria non consequenziale ad una domanda risolutoria (o consequenziale ad una domanda risolutoria proposta per la prima volta in appello e ivi rigettata);

che infatti la citata sentenza n. 19502/15, disponendo la restituzione della caparra ex articolo 2033 c.c. per effetto della declaratoria di nullita’ del contratto oggetto di domanda risolutoria, ha accolto parzialmente una domanda (restituzione del doppio della caparra) che era stata proposta fin dal primo grado di giudizio, sia pure sulla base di una diversa causa petendi (risoluzione invece che nullita’ del contratto per il quale la caparra era stata versata), mentre, nel caso oggetto del presente giudizio, la domanda restitutoria e’ stata proposta per la prima volta in secondo grado come conseguenza di una domanda di risoluzione pur essa proposta per la prima volta in secondo grado;

che quindi, in definitiva, il motivo va rigettato perche’ la deroga recata al divieto di domande nuove in appello fissato dall’articolo 345 c.p.c. dalla disposizione di cui all’articolo 1453 c.c., comma 2 puo’ essere estesa a domande diverse dalla domanda risolutoria (purche’ a questa consequenziali), solo in caso di accoglimento della domanda stessa, giacche’, in caso contrario, dette domande risultano travolte dal rigetto della domanda risolutoria da cui esse dipendono;

che il quarto motivo, riferito alla violazione delle norme in materia di riparto delle spese processuali, con cui il ricorrente si duole del fatto che la corte messinese ha posto a suo carico i due terzi delle spese del giudizio di appello, invece di condannare alle spese la controparte, va disatteso, avendo la sentenza gravata fatta corretta applicazione del principio victus victori;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza; che deve altresi’ darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, ex articolo 13, comma 1 quater, Decreto Legislativo n. 546 del 1992.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere ai contro ricorrenti le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, Decreto Legislativo n. 546 del 1992 si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, articolo 1 bis.

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