CASSAZIONE

La massima

Nel processo con pluralità di parti cui dà luogo la chiamata in causa dell’assicuratore prevista dall’art. 1917, quarto comma, c.p.c., l’evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore determina la sola interruzione del giudizio relativo alla domanda di indennità, ancorché il processo debba essere mantenuto in stato di rinvio sino alla scadenza del termine per la prosecuzione da parte dei successori del chiamato o della riassunzione da parte del chiamante; conseguentemente, l’onere della riassunzione grava sul convenuto che ha eseguito la chiamata in causa e, mancata ad opera di alcuna delle parti attività processuale utile alla prosecuzione del relativo giudizio, il processo si estingue solo per la parte che riguarda la domanda proposta con la chiamata in causa.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

SENTENZA 22 aprile 2013, n.9686

 

Svolgimento del processo

V..R. convenne in giudizio il medico dr. S.A. e la S.p.a. Casa di cura privata (…), proponendo in loro confronto una domanda di condanna al risarcimento del danno da responsabilità professionale medica.
I convenuti si costituirono in giudizio e chiesero di chiamare in causa i loro rispettivi assicuratori della responsabilità civile, le S.p.a. U.A.P. Italiana e Le Assicurazioni d’Italia, che a loro volta si costituirono. Esaurita l’istruzione, nell’udienza del 21.11.203, fissata per la precisazione delle conclusioni, il procuratore costituito per la parte dichiarò che, con atto notificato a tutte le parti il 6-10.2.2003, ai fini dell’art. 300 c.p.c., aveva comunicato che la U.A.P. Italiana s’era fusa per incorporazione nella società AXA Assicurazioni e chiese fosse dichiarata l’avvenuta estinzione del processo per non averne alcuna delle parti provocato la prosecuzione.
Con ordinanza 13.2.2004 il processo venne dichiarato estinto.
R.V. proponeva appello in confronto degli originari convenuti e della società Le Assicurazioni d’Italia, non anche della AXA Assicurazioni. La corte d’appello di Salerno, con sentenza del 4.1.2006, ha accolto l’impugnazione.
Ne ha respinto un’eccezione di inammissibilità, affermando al riguardo che, se il tribunale in composizione monocratica dichiara l’estinzione del processo, l’ordinanza con cui lo fa ha natura di sentenza ed è perciò soggetta al correlativo regime di impugnazione.
Ha altresì considerato integro il contraddittorio davanti a sé siccome, quando una delle parti chiama in causa un terzo, in base all’art. 106 c.p.c., pretendendo d’esserne garantita, la situazione processuale che così si determina non ricade in una delle ipotesi disciplinate dall’art. 331 c.p.c. e quindi non impone di integrare il contraddittorio in confronto delle parti alle quali l’impugnazione non è stata sin dall’inizio notificata, pena in caso contrario l’inammissibilità dell’impugnazione.
Quella situazione processuale ricade invece nell’ambito di applicazione dell’art. 332 c.p.c. e così il processo può proseguire tra le sole parti cui l’impugnazione è stata notificata, una volta che sia trascorso il termine per estendere l’impugnazione alle altre.
Nel caso né l’attrice né il convenuto avevano esteso il contraddittorio alla Axa Assicurazioni, sicché nessuna domanda risultava proposta in secondo grado nei confronti di questa.
La corte d’appello ha quindi accolto l’impugnazione, ha dichiarato che il processo doveva proseguire tra le parti costituite diverse dalla U.A.P. Italiana e le ha rimesse davanti al tribunale.
A..S. ha, allora, proposto ricorso per cassazione, che ha notificato a V..R. , alla Casa di cura privata (…) ed al suo assicuratore la società Le Assicurazioni d’Italia.
V..R. ha resistito con controricorso.
Le parti in occasione della discussione della causa davanti alla terza sezione civile della Corte per l’udienza del 16.3.2011 hanno depositato memoria.
Ulteriore memoria è stata poi depositata dal ricorrente in occasione dell’udienza del 17.1.2012, di cui si da conto più avanti.
La terza sezione civile della Corte, con ordinanza, ha chiesto che il ricorso fosse assegnato alle sezioni unite civili, ravvisando un contrasto nella giurisprudenza della Corte sulle questioni poste nei due motivi di ricorso.
A loro volta, le sezioni unite, davanti alle quali il ricorso è stato chiamato, con ordinanza del 9.2.2012 hanno disposto che il contraddittorio venisse integrato nei confronti della società Axa Assicurazioni.
A tale integrazione ha provveduto la resistente V..R. .

Motivi della decisione

Il ricorso propone due motivi.

1. – Il primo è un motivo di nullità della sentenza per violazione di norme sul procedimento (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione agli artt. 101, 102, 103, 106, 331 e 332 dello stesso codice).

Vi si sostiene che non si sarebbe potuto vietare al terzo chiamato in causa di interloquire in ordine alla dichiarata estinzione dell’intero processo e si considera che, al di là di quella che avrebbe potuto esserne la relativa decisione, la questione che si trattava di decidere (se il processo si fosse e-stinto o no in relazione a tutte le parti del processo) era appunto comune a tutte le parti, anche a quella invece mantenuta estranea al giudizio di appello.

Si aggiunge che ad escludere la figura del litisconsorzio necessario processuale non varrebbe la considerazione che, con l’atto di appello, non si contestava, nei confronti della parte non chiamata nel giudizio di appello, ‘la declaratoria di estinzione’ e che tale contestazione non era neppure mossa dall’appellato, originario convenuto, che pretendeva di essere garantito. Tutto ciò infatti atterrebbe al merito della questione processuale da decidere, non al momento dell’esame dell’integrità del contraddittorio che è logicamente precedente e che si deve valutare sulla base della mera proposizione dell’impugnazione.

Perciò si conclude chiedendo che, previa integrazione del contraddittorio, la Corte rinvii le cause cumulate al giudice di appello.

1.2. Questo motivo è inammissibile.

Il ricorrente non lamenta che il modo di procedere del giudice di appello gli abbia negato il diritto di vedere esaminata la domanda di indennità, da lui proposta contro il terzo, insieme alla domanda principale rivolta contro di lui dall’attrice, così negandogli il diritto, che, riconosciuto dall’art. 1917, comma quarto, cod. civ., era stato predicato operasse sul piano processuale in forza degli artt. 32, 106 e 269 cod. proc. civ., cioè il diritto a vedere esaminata la domanda di indennità insieme a quella di responsabilità.

Lamenta, invece, che sia stato negato al soggetto, subentrato nell’obbligazione di indennità, di interloquire sulla questione di estinzione del processo nei suoi confronti.

Ma a lamentarsi di ciò avrebbe dovuto essere quest’ultimo e avrebbe avuto interesse a farlo se la parte cui era succeduto avesse concluso per il rigetto della domanda principale e la sentenza della corte d’appello avesse totalmente ribaltato quella di primo grado, affermando che anche in suo confronto il processo non era rimasto affatto interrotto né perciò s’era estinto.

2.1. – Il secondo motivo denunzia vizi di violazione e falsa applicazione di norme sul procedimento e di difetto di motivazione, in relazione ai nn. 3, 4 e 5 c.p.c. ed agli artt. 103, 274, 299, 300, 302, 307, 310 c.p.c..

Vi si lamenta che la corte d’appello sia incorsa nella violazione delle norme appena richiamate quando ha considerato che dall’effetto di interruzione sia stato attinto il solo processo relativo alla causa introdotta dal ricorrente contro l’originaria società assicuratrice, la U.A.P. Italiana.

Richiamati i diversi orientamenti all’epoca seguiti dalla giurisprudenza di legittimità a proposito del fenomeno dell’interruzione, il ricorrente considera che avrebbe dovuto essere seguito – perché di maggiore garanzia per gli interessi delle diverse parti del processo – quello che predilige la propagazione della causa interruttiva all’intero processo.

Ciò almeno quando, in presenza d’una domanda rivolta contro una parte, che non lo sia anche rispetto alle altre varie domande riunite in unico processo, il giudice non separi queste dalla prima: in questo caso la mancata riassunzione troverebbe avanti a sé un processo unitario e perciò rifletterebbe il proprio effetto estintivo non su una sola tra le domande, ma sull’intero processo.

2.2. – Intervenuta intanto la sentenza delle S.U. 5 luglio 2007 n. 15142 (orientata ad escludere in linea di principio il fenomeno della propagazione dell’effetto interruttivo, ciò di cui il ricorrente ha preso atto) la terza sezione ha tuttavia rilevato l’esistenza di contrasti interni alla giurisprudenza di legittimità, su un punto in particolare: se lo specifico caso della chiamata dell’assicuratore della responsabilità civile previsto dall’art. 1917, quarto comma, c.c. lo si debba ricondurre all’area della regola od a quella delle eccezioni e perciò anziché all’area dell’art. 332 c.p.c. a quella dell’art. 331 c.p.c..

Se invece questo caso fosse da ricondurre all’ambito del primo degli articoli citati e non del secondo, la terza sezione si è interrogata sul come poi debba essere in particolare regolato il processo in cui la causa interruttiva venga ad incidere su una sola tra le più domande sin lì riunite nell’unitario processo.

2.3. – La Corte osserva che il giudice di primo grado, nel pronunciare l’estinzione dell’intero processo, è mosso da una premessa, che non è stata in seguito messa in discussione da alcuna delle parti in appello né dalla sentenza del giudice di secondo grado né, infine, nei due motivi di ricorso. La premessa è stata questa: la fusione per incorporazione della U.A.P. Italiana nella Axa Assicurazioni ha dato luogo ad un fenomeno riconducibile all’area descritta dall’art. 299 c.p.c. e, per richiamo, disciplinata dall’art. 300, primo comma, c.p.c.; fenomeno capace, secondo l’art. 300 c.p.c., di produrre l’interruzione del processo relativamente alla domanda, che contro la U.A.P. Italiana era stata proposta con la chiamata in causa che della U.A.P. Italiana ne aveva fatto il convenuto ed attuale ricorrente.

Ciò significa che il fenomeno della fusione per incorporazione è stato considerato dal giudice di primo grado assimilabile alla morte della persona fisica e perciò tale da dar luogo ad interruzione.

Questa applicazione dell’art. 300 c.p.c., che è all’origine degli altri problemi ancora aperti, non è stata messa in discussione in appello. Ora, queste sezioni unite, con la sentenza 14 settembre 2010 n. 19509, se da un lato hanno negato valore di norma di interpretazione autentica a quanto disposto dal primo comma del nuovo art. 2504 bis c.c., entrato in vigore in epoca posteriore alla operazione di fusione che si è avuta in questa vicenda, hanno peraltro negato che, agli effetti degli artt. 299 e 300 c.p.c., l’operazione di fusione sia in tutto assimilabile alla morte della persona fisica.

Ma il pregresso svolgimento del processo, cui si è appena fatto riferimento, preclude alla corte di cassazione di procedere di ufficio nel fare dell’art. 300 c.p.c. un’applicazione opposta a quella sulla cui base, incontroversa, si è sviluppato il successivo dibattito sulle conseguenze che da quella premessa dovevano essere fatte derivare.

La decisione intervenuta su questo punto è dunque destinata a rimanere ferma.

2.4. – Orbene, le sezioni unite, nella sentenza 5 luglio 2007 n. 15142, già richiamata, hanno giudicato di un caso in cui più società ed un privato avevano proposto separate opposizioni al decreto d’ingiunzione pronunciato contro di loro, decreto che in qualità di obbligati solidali li aveva condannati al pagamento di una somma unitaria.

Venuto in discussione il punto del se della causa d’interruzione, che si era determinata in capo ad una delle società, fosse stata data valida comunicazione e fatta valere dal creditore la sopravvenuta estinzione, questa era stata dichiarata riguardo all’intero processo.

In sede di impugnazione, le società opponenti avevano investito di critica il punto, se della causa di interruzione fosse stata data valida notizia; oltre a tale questione, l’altra debitrice aveva sollevato quella della propagazione dell’effetto estintivo anche alla propria distinta opposizione.

Le sezioni unite hanno rigettato il ricorso delle società e della parte privata quanto alla questione del se la causa di interruzione fosse stata fatta oggetto di valida comunicazione, giudicando che bene aveva deciso la corte d’appello nel considerare tardivamente opposta la relativa eccezione di nullità; invece hanno accolto l’altro motivo di ricorso proposto dalla parte privata e per questa parte hanno rinviato la causa al giudice di appello.

Orbene, pronunciandosi in relazione al caso che si è descritto, le sezioni unite hanno affermato il principio di diritto per cui ‘nel caso di trattazione unitaria o di riunione di più procedimenti relativi a cause connesse e scindibili che comporta di regola un litisconsorzio facoltativo tra le parti dei singoli procedimenti confluiti in un unico processo, qualora si verifichi un evento interruttivo che riguardi una delle parti di una o più delle cause connesse, l’interruzione opera di regola solo in riferimento al procedimento di cui è parte il soggetto colpito dall’evento. Nel caso non è necessaria o automatica la contestuale separazione del processo interrotto dagli altri riuniti o trattati unitariamente, che non devono subire una stasi temporanea, salvo sempre il potere attribuito al giudice dall’art. 103, 2 comma, c.p.c., per il quale, in caso di mancata tempestiva riassunzione ovvero quando questa o la ripresa del procedimento interrotto siano avvenute nei termini dell’art. 305 c.p.c., ma vi sia stata, nelle more della quiescenza da interruzione, attività istruttoria rilevante anche per la causa de qua, detto giudice potrà disporre la separazione dagli altri procedimenti di quello colpito dall’evento interruttivo, per il quale sarà necessario, e potranno eventualmente rinnovarsi tutti gli atti assunti senza la partecipazione della parte colpita dall’evento interruttivo’.

2.5. – Ora, la Corte osserva che nella complessiva disciplina dell’interruzione del processo debbono essere tenuti distinti tre aspetti: quello della tutela della parte raggiunta dall’effetto interruttivo, tutela che la legge processuale attua disponendo (art. 304 c.p.c.) che in caso di interruzione del processo si applica l’art. 298 c.p.c., secondo il quale durante la sospensione non possono essere compiuti atti del processo; quello delle modalità della riassunzione, cui, in mancanza di spontanea costituzione ad opera di coloro ai quali spetta proseguirlo nell’interesse della parte raggiunta dall’effetto interruttivo, è legittimata l’altra (artt. 302 e 303, primo comma, c.p.c.); quello dell’effetto estintivo del processo che consegue alla mancanza degli atti precedenti, un tempo da rilevarsi a cura della parte interessata ed ora anche di ufficio (ultimo comma dell’art. 307 c.p.c.).

Una volta che, a proposito del processo nel quale siano state introdotte più domande (artt. 103 a 106 c.p.c.), si accoglie, per le ragioni che sono state esplicitate nella sentenza di queste sezioni unite appena richiamata, l’in-terpretazione per cui, come regola, l’evento interruttivo che coglie la parte di una di tali domande non si propaga ai giudizi riuniti, ciò significa che rispetto agli altri, che si trovano a contraddittorio integro, non si può profilare né la necessità di una loro riassunzione né quella di una loro estinzione per esserne mancate la prosecuzione spontanea o la riassunzione. Non significa ancora che quanto alle altre domande il processo debba in ogni caso proseguire, nel senso che sia possibile quanto ad esse compiere atti istruttori od assumere decisioni, significa solo che non avendo su di esse inciso un effetto interruttivo, perché si arrivi a poter poi provvedere a loro riguardo non sarà necessario che siano compiute da alcuna delle parti di tali cause atti processuali aventi finalità di riassunzione.

Per modo che, se il giudice non ritenga di valersi, dove normativamente possibile, del potere previsto dal secondo comma dell’art. 103 c.p.c., il processo, quanto alle altre cause, dovrà essere governato in modo da continuare sol dopo che riguardo al giudizio raggiunto dall’interruzione si sia determinata la riassunzione o verificata l’estinzione. Del resto, che il giudizio iniziato su una domanda possa segnare il passo, fuori dai casi di sospensione ed interruzione, per esigenze di difesa di una delle parti della stessa domanda è vicenda contemplata dal codice, che, per dare modo al convenuto di chiamare in causa un terzo, prevede all’art. 269 c.p.c. il differimento del giudizio ad altra udienza per consentirgli di attuare la chiamata ed al terzo di difendersi.

2.6. – Si è dunque ricondotti alla questione, di particolare importanza, di cui le sezioni unite sono state investite.

La sentenza impugnata potrebbe in ipotesi essere considerata affetta da violazione delle norme sul procedimento denunziata nel motivo, ove si ritenesse, contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello, che la mancata riassunzione, in primo grado, del giudizio derivato dalla chiamata in causa del terzo assicuratore della responsabilità civile medica, abbia comportato l’estinzione anche del giudizio di responsabilità oltre che di quello d’indennità.

Sia pure sulla base di argomenti diversi da quelli prospettati a sostegno del motivo, la violazione di legge in cui la sentenza sarebbe incorsa, diverrebbe rilevabile di ufficio, una volta che è per la violazione di quelle norme è stata chiesta la cassazione della sentenza.

3. – Il motivo, però, non è fondato.

3.1. – È bene ripartire dalla considerazione che il quesito al quale si deve dare risposta nel presente caso, è se vi sia stata o no interruzione del processo in primo grado e ciò non solo quanto alla domanda di indennità proposta attraverso la chiamata in causa dell’assicuratore della responsabilità civile, ma di riflesso anche quanto alla domanda di responsabilità.

Se la risposta fosse affermativa, essendone mancata affatto la riassunzione, il giudizio avrebbe dovuto nel suo complesso essere dichiarato estinto, come aveva deciso il tribunale e contrariamente a quanto deciso dalla corte d’appello, la cui sentenza andrebbe cassata senza rinvio.

Tuttavia, la risposta al motivo non può essere tratta dall’art. 331 c.p.c., che, dettato per le fasi di impugnazione, assoggetta al regime dell’integrazione del contraddittorio non solo l’impugnazione della sentenza pronunziata in causa inscindibile, ma anche quella pronunziata in cause tra loro dipendenti.

Ed invero, l’appello non ha messo in discussione l’avvenuta estinzione del processo in primo grado quanto all’assicuratore chiamato in causa, ma solo rispetto alle altre parti; queste in secondo grado sono state parti del giudizio, essendo stato a tutte notificato l’appello; per il modo in cui l’appello è stato costruito, il chiamato in causa, se pure l’appello così conformato gli fosse stato notificato, mai avrebbe potuto essere considerato ancora parte del giudizio; d’altro canto neppure il convenuto ha proposto appello incidentale in confronto del chiamato, per far affermare che neanche nei suoi confronti il processo s’era interrotto in primo grado; dunque dalla sua assenza non gli è derivato alcun pregiudizio; inoltre la cassazione della sentenza d’appello perché pronunziata a contraddittorio non integro non potrebbe che sfociare nello stesso risultato davanti al giudice di appello cui la causa andrebbe rinviata, erroneo essendo stato il rinvio al giudice di primo grado disposto dalla corte d’appello, data l’inapplicabilità del secondo comma dell’art. 300 c.p.c., cui invece la corte di appello si è riferita.

Per altro verso, quand’anche il processo di appello – siccome, in ipotesi, regolato quanto alla sua introduzione ed al suo svolgimento dall’art. 331 c.p.c. – si fosse dovuto svolgere anche in contraddittorio dell’assicuratore chiamato in causa dall’attuale ricorrente, la circostanza che ciò non sia avvenuto non avrebbe comportato l’inammissibilità dell’appello, ma solo la violazione del principio del contraddittorio, per non avere la corte d’appello ordinato l’integrazione del contraddittorio, in base all’ultima parte del primo comma dello stesso articolo.

La risposta al quesito deve essere dunque tratta dal considerare se con la chiamata nel processo del terzo dal quale il convenuto pretende d’essere garantito – come sia l’art. 106 c.p.c. sia l’art. 1917, quarto comma, c.c. consentono di fare – ne risulti determinata in primo grado, nel giudizio aperto dalla domanda di responsabilità, una situazione processuale che si atteggi con le stesse caratteristiche del processo a litisconsorzio necessario, tale da non consentire alternativa a che il giudizio termini se non con una decisione che le riguardi entrambe, sia essa a contenuto processuale o sostanziale.

Ed in particolare si tratta di stabilire se, introdotta nel giudizio di primo grado, accanto alla domanda di responsabilità, quella di indennità mediante chiamata in causa dell’assicuratore della responsabilità civile, sia intrinseco alle ragioni che sono alla base della disciplina dell’interruzione del processo, che gli effetti dell’evento interruttivo che si determini riguardo ad una delle parti delle due cause, senza attingere l’altra (cioè che attinga l’attore della prima domanda, il danneggiato, o il convenuto della seconda, cioè l’assicuratore) si propaghino da una causa all’altra, determinando anche di questa la sua interruzione, sì da richiedere rispetto a tutte la prosecuzione o la riassunzione, pena l’estinzione dell’intero processo.

Nel solco tracciato dalla sentenza 5 luglio 2007 n. 15142 al quesito è da dare risposta negativa, pur con il correttivo dell’ammettere che la trattazione del processo, quanto alla domanda non attinta dall’evento interruttivo, si presti ad essere semplicemente differita in attesa della prosecuzione dell’altra, come già previsto dall’art. 269, secondi comma, c.p.c. ed ormai per il breve tempo di tre mesi (art. 307, terzo comma, c.p.c., e art. 46 L. 18 giugno 2009, n. 69).

Benché il modo della decisione della prima possa influenzare, quanto al profilo della responsabilità del danneggiante, il modo di decisione della seconda, domande e cause riguardano distinti rapporti e risponde ad una scelta del danneggiante assicurato far convergere la decisione del secondo rapporto nel giudizio introdotto in suo confronto dalla domanda del danneggiato.

Sicché, nel caso in cui l’evento interruttivo non colga la persona parte delle due cause, cioè il danneggiante, l’esigenza di assicurare la difesa in giudizio non riguarda anche la parte dell’altra causa (il convenuto nella domanda principale, se dall’evento interruttivo è colto l’attore, e questi se dall’evento interruttivo è colto il chiamato in causa).

Orbene, questa esigenza di difesa è assicurata già in modo sufficiente ed idoneo se, in caso di morte dell’attore, si accolla ai successori dell’attore l’onere della prosecuzione del giudizio sulla domanda principale, solo lasciando al convenuto la facoltà di riassumerlo se vi abbia interesse; correlativamente, nel caso di morte del chiamato in causa, accollare ai successori del convenuto l’onere della riassunzione della causa dipendente, e lasciare ai successori del chiamato la facoltà di costituirsi per proseguirlo, se vi abbiano interesse.

Mantenendo il processo in fase di rinvio per il tempo necessario.

Fase di rinvio ordinata a consentire la prosecuzione unitaria del processo se le parti che hanno proposto le rispettive domande manifestino l’interesse a proseguirlo, ciascuna nell’ambito proprio; ma fase di rinvio e non di sospensione conseguente all’effetto interruttivo, perché le parti dell’altra causa sono nelle condizioni di difendersi e la relativa causa non richiede perciò oneri di riassunzione o prosecuzione.

La soluzione che si accoglie sembra si lasci preferire da un punto di vista logico.

In primo luogo, a differenza dall’interpretazione delle norme sull’interruzione, che, in riferimento al caso della chiamata in causa per domanda di garanzia, postula la propagazione dell’effetto interruttivo da causa a causa, l’interpretazione appena svolta, onerando le parti, che hanno manifestato inizialmente l’interesse alla decisione, di perseverare nella domanda proposta, ma solo in quella, ha in tale interesse la sua base di logica.

In secondo luogo, l’interpretazione rifiutata, con la pretesa che il processo si interrompa per l’intero, nel caso in cui l’evento interruttivo interessi il chiamato in causa dal convenuto finisce col trasferire sull’attore l’onere di riassumere il processo, quando è il convenuto e non l’attore il solo titolare del diritto verso l’assicuratore.

La correttezza di questa soluzione è dimostrata da ciò che è avvenuto nel presente giudizio, in cui il convenuto chiamante si è astenuto dal riassumere il processo, per poi opporre al suo attore l’estinzione del processo anche riguardo alla domanda proposta contro di lui dall’attore.

3.2. – La sentenza impugnata si rivela dunque conforme a diritto.

In base ai commi primo e quarto dell’art. 384 c.p.c. ne va però corretta la motivazione con l’enunciazione del seguente principio di diritto: Nel processo con pluralità di parti cui dà luogo la chiamata in causa dell’assicuratore prevista dall’art. 1917, quarto comma, c.p.c., l’evento interruttivo che in primo grado colpisca l’assicuratore determina la sola interruzione del giudizio relativo alla domanda di indennità, ancorché il processo debba essere mantenuto in stato di rinvio sino alla scadenza del termine per la prosecuzione da parte dei successori del chiamato o della riassunzione da parte del chiamante; conseguentemente, l’onere della riassunzione grava sul convenuto che ha eseguito la chiamata in causa e, mancata ad opera di alcuna delle parti attività processuale utile alla prosecuzione del relativo giudizio, il processo si estingue solo per la parte che riguarda la domanda proposta con la chiamata in causa.

Il ricorso è, dunque, rigettato.

4. – La complessità della questione consiglia l’intera compensazione tra tutte le parti in causa delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra tutte le parti le spese del giudizio di cassazione.

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