Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite
sentenza 17 settembre 2015, n. 18214
I fatti e i motivi di ricorso
1. P.I. concesse in locazione un immobile di sua proprietà, sito in Fondi, al padre C. , con facoltà di sublocazione.
1.1. Questi concesse a sua volta in godimento l’appartamento a T.G. e a Co.Si. .
2. La P. ottenne, in data 26 giugno 2006, un provvedimento di convalida di sfratto per morosità nei confronti del padre, che pose in esecuzione estromettendo la Co. dal possesso dell’immobile.
2.1. Nel proporre opposizione all’esecuzione, quest’ultima espose di aver ricevuto in locazione l’appartamento da P.C. fin dal febbraio 2003, verso un canone di locazione pari Euro 100, poi aumentato ad Euro 250 a seguito di alcuni interventi di manutenzione, sostenendo che la convalida di sfratto era effetto di dolo e collusione dei P. ai suoi danni.
2.2. P.C. , con autonomo ricorso, poi riunito al procedimento di opposizione, agì a sua volta per la risoluzione del contratto concluso con T.G. e la convivente Co.Si. , a suo dire morosi nel pagamento dell’indennità mensile di occupazione dal gennaio 2006.
3. Il Tribunale di Latina, riuniti i giudizi, dichiarò che tra Co.Si. e P.C. era stato stipulato, fin dal maggio 2003, un contratto di locazione per il canone mensile di Euro 250.
3.1. In particolare, con riguardo alla mancanza di forma scritta, il giudice di primo grado affermò che l’eventuale nullità del negozio poteva essere fatta valere dalla sola parte conduttrice, trattandosi di una nullità relativa. Ne conseguiva la inefficacia della procedura esecutiva per rilascio proposta da P.I. nei confronti della Co. , potendo quest’ultima vantare un diritto di godimento opponibile a colei che agiva per il rilascio, oltre a quello al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti a causa del trasloco in altra abitazione.
3.2. P.C. e I. furono pertanto condannati a reimmettere la Co. nel possesso dell’immobile, e il solo P.C. anche al risarcimento del danno, mentre le sue domande nei confronti della Co. e del T. furono rigettate.
4. Propose appello P.C. , chiedendo, previa declaratoria di nullità del contratto per mancanza della forma scritta, il rigetto delle domande svolte da Co.Si. e la risoluzione del rapporto intercorso con il T. , oltre alla sua condanna al pagamento dei canoni /indennità di occupazione per dieci mensilità.
5. La Corte d’Appello di Roma, chiamata a decidere sull’appello principale del P. e su quello incidentale del T. , relativo alle sole spese del giudizio, rigettò tutte le domande proposte da C.S. (già Co.Si. ) e dallo stesso P. .
5.1. Ritenne il giudice di secondo grado che il contratto di locazione intercorso tra il C. e la Co. – C. fosse nullo per difetto dell’imprescindibile requisito della forma scritta, richiesta ad substantiam dall’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, con la conseguenza che nessun risarcimento del danno poteva essere accordato alla conduttrice, non legittimata ad opporre un valido titolo di godimento a cagione del rilevato difetto di forma del contratto.
5.2. Specificò la Corte capitolina che, nonostante la forma scritta non fosse espressamente prevista “sotto pena di nullità”, secondo quanto disposto dall’art. 1325 n. 4 cod. civ., un’interpretazione di tipo sistematico induceva a ritenere che la prescrizione del citato art. 1, comma 4, secondo cui “… per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta” imponesse per essi l’adozione di una forma ad substantiam, attesa la regola di qualificazione di cui all’art. 1352 cod. civ., alla stregua della quale, in difetto di univoche prescrizioni, la forma deve intendersi imposta per la validità del contratto, piuttosto che soltanto ad probationem, mentre l’art. 2739, comma 1, in tema di fattispecie sottratte al giuramento, richiamava “il contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta”, con univoco riferimento proprio ai casi nei quali la forma è prevista ad essentiam.
5.3. La ratio della normativa di cui alla legge del 1998 doveva rinvenirsi, secondo il giudice di appello, nell’esigenza di certezza e trasparenza del rapporto sia tra le parti che nei confronti del fisco, al fine di fronteggiare un mercato caratterizzato da una consolidata prassi di contratti in tutto od in parte simulati, mentre lo stesso fondamento costituzionale di tale limite all’autonomia negoziale doveva individuarsi nell’art. 41, terzo comma, Cost, e nel successivo art. 53 quanto ai conseguenti obblighi tributari. La tesi secondo la quale il difetto della forma scritta avrebbe dato luogo ad una nullità soltanto relativa, suscettibile di essere fatta valere solo dalla parte debole del contratto (i.e. dal conduttore), non trovava quel tassativo riscontro normativo che, ai sensi dell’art. 1421 cod. civ. (“Salve diverse disposizioni di legge,…”), doveva ritenersi imprescindibile per derogare alla regola della nullità assoluta.
5.4. Né appariva utilmente evocabile, a giudizio della Corte territoriale, l’art. 13, comma 5 della citata legge n. 431 del 1998, che abilitava il solo conduttore ad agire per la c.d. “riconduzione del rapporto di fatto”, in quanto la norma non aveva attinenza con la disciplina della validità del contratto, mirando piuttosto a sanzionare la condotta del locatore volta ad imporre alla controparte l’instaurazione di un rapporto di mero fatto (a tacere della circostanza che, nel caso di specie, la domanda di riconduzione non era stata concretamente esperita).
6. La sentenza è stata impugnata con ricorso per cassazione da C.S. , che lo illustra con due motivi.
6.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui alla legge n. 431 del 1998, con riferimento all’art. 360 cod. proc. civ., primo comma, nn. 3 e 5.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3 e 5, anche per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
6.2. Secondo la ricorrente, la mancanza di forma scritta di un contratto di locazione ad uso abitativo comportava una nullità soltanto relativa, con la conseguenza che la violazione del relativo obbligo spiegava effetti sfavorevoli per il solo locatore e non anche per il conduttore, come implicitamente desumibile dal quinto comma dell’art. 13 della legge n. 431 del 1998, che ammetteva espressamente la legittimità della locazione di fatto.
6.2.1. Resiste P.I. sostenendo che la legge n. 431 del 1998 richiede invece tout court la forma scritta ad substantiam, ed evidenziando che la C. non aveva promosso alcuna azione di riconduzione del contratto ex art. 13, comma 5, legge n. 431 del 1998.
7. Resistono ancora con controricorso P.C. e T.G. , proponendo, il primo, ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo, il secondo, ricorso incidentale illustrato da due motivi.
7.1. Il P. denuncia la violazione e falsa applicazione della legge n. 431 del 1998 e dell’art. 1453 c.c., avendo egli già dedotto in sede appello che i conviventi C. e T. erano rimasti morosi nel pagamento del canone, con conseguente richiesta di risoluzione del rapporto per grave inadempimento: anche qualora il contratto di locazione fosse stato ritenuto valido nonostante la mancanza della forma prescritta ad substantiam, la risoluzione avrebbe dovuto essere comunque pronunciata per grave inadempimento della controparte.
7.2. Il T. propone a sua volta due motivi di ricorso incidentale, il primo relativo alla mancata pronuncia sulla domanda di risarcimento danni ex art. 96 cod. proc. civ., il secondo con riferimento alla compensazione delle spese nel giudizio in violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ..
8. Con ordinanza interlocutoria n. 20480 del 2014 la terza sezione di questa Corte, nell’esaminare preliminarmente e congiuntamente i motivi del ricorso principale, osserverà che la Corte di merito aveva ritenuto inapplicabile, nel caso di specie, l’istituto della c.d. nullità di protezione, ritenendo la ratio della legge n. 431 del 1998 non già funzionale a tutelare i diritti del conduttore, ma piuttosto a garantire una posizione di equidistanza tra le parti contraenti.
8.1. Nell’ordinanza di rimessione si evidenza ancora come la giurisprudenza di legittimità (diversamente da quella di merito, non unanime sul punto) non si fosse mai pronunciata sui temi in questione se non marginalmente -affermando che la previsione di nullità per ipotesi determinate prevista dall’art. 13 della stessa legge non si applica agli immobili inclusi nella categoria catastale A/8 (abitazioni in villa) per i quali, non essendo prevista alcuna nullità collegata a limiti di durata del rapporto o di misura del canone, resta esclusa la speciale azione del conduttore di riconduzione del rapporto a condizioni conformi allo schema della valida locazione (Cass. 29 settembre 2004 n. 19568).
9. Si rammenta ancora, con il provvedimento interlocutorio, come, con una precedente ordinanza (n. 37 del 2014), la stessa terza sezione avesse ravvisato la necessità di rimeditare l’orientamento interpretativo delineato dalla sentenza n. 16089 del 2003 (e seguito da tutta la giurisprudenza successiva) secondo cui, “in tema di locazioni abitative, l’art. 13, primo comma, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, nel prevedere la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (e nel concedere in tal caso al conduttore, al secondo comma, l’azione di ripetizione), non si riferisce all’ipotesi della simulazione relativa del contratto di locazione rispetto alla misura del corrispettivo (né a quella della simulata conclusione di un contratto di godimento a titolo gratuito dissimulante una locazione con corrispettivo), in tal senso deponendo una lettura costituzionalmente orientata della norma. E ciò perché, essendo valido il contratto di locazione scritto ma non registrato (non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell’adempimento fiscale), non può sostenersi che essa abbia voluto sanzionare con la nullità la meno grave ipotesi della sottrazione all’imposizione fiscale di una parte soltanto del corrispettivo (quello eccedente il canone risultante dal contratto scritto e registrato) mediante una pattuizione scritta, ma non registrata. La nullità prevista dal citato art. 13, primo comma, è volta piuttosto a colpire la pattuizione, nel corso di svolgimento del rapporto di locazione, di un canone più elevato rispetto a quello risultante dal contratto originario (scritto, come impone, a pena di nullità, l’art. 1, quarto comma, della medesima legge, e registrato, in conformità della regola della generale sottoposizione a registrazione di tutti i contratti i di locazione indipendentemente dall’ammontare del canone), la norma essendo espressione del principio della invariabilità, per tutto il tempo della durata del rapporto, del canone fissato nel contratto” (la questione è stata oggetto di discussione alla medesima udienza pubblica del 13 gennaio 2015, ed è stata risolta da queste sezioni unite con sentenza depositata in pari data a quella della presente pronuncia).
10. Con l’ordinanza di rimessione, il collegio della terza sezione civile ha pertanto rappresentato l’opportunità – per ragioni di completezza e sistematicità – di trattare anche il problema della portata dell’azione di riconduzione nell’ottica della ricorrenza o meno di una nullità che invalida il rapporto locativo, perché la materia delle locazioni si presenta di rilevante impatto sociale ed una valutazione unitaria dei problemi indicati mira a prevenire potenziali, diverse visioni interpretative fornendo all’interprete un valido e sicuro ausilio per la loro pronta risoluzione.
10.1. La questione rimessa a queste sezioni unite è, pertanto, la seguente:
se, in materia di locazioni abitative, l’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998, nella parte in cui prevede che “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”, prescriva il requisito della forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, e, nel primo caso, se l’eventuale causa di nullità sia riconducibile alla categoria delle nullità di protezione alla luce della disposizione di cui all’art. 13, comma 5 della stessa legge, a mente del quale “Nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
Le ragioni della decisione
1.1 ricorsi, principale e incidentali, proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti.
1.1. Il ricorso principale è infondato.
1.2. Al rigetto del ricorso principale conseguono l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato di P.C. e il rigetto del ricorso di T.G. .
2. All’esame del ricorso principale vanno premesse le considerazioni che seguono.
2.2. La disciplina codicistica della locazione di immobili urbani è stata integrata, negli ultimi decenni, da numerosi interventi di legislazione speciale, concernente in particolare i contratti aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo.
2.3. La materia, come è noto, ha trovato una sua prima disciplina organica nella legge n. 392 del 1978, ispirata all’esigenza di realizzare un meccanismo di determinazione legale del contenuto del contratto – e, in particolare, del canone di locazione -, calcolato sulla base di una serie di parametri oggettivi.
2.3.1. Come pressoché unanimemente ritenuto dai commentatori della normativa, la scelta del legislatore, di forte stampo dirigistico, ha prodotto risultati estremamente negativi, causando gravi distorsioni del mercato delle abitazioni. I proprietari, – salvo far ricorso alla sistematica pressi dei c.d. affitti in nero – preferirono togliere dal mercato i propri appartamenti, ritenendo oltremodo antieconomico concederli in locazione ad un canone spesso irrisorio, assai lontano dal vero valore di mercato e con alti rischi di perdita della relativa disponibilità per lungo tempo.
2.3.2. Il fenomeno del ritiro del mercato delle locazioni di un considerevole numero di immobili rese così necessario un nuovo intervento del legislatore, dapprima timidamente derogatorio rispetto alla ratio sottesa alla legge del 1978 (il riferimento è all’art. 11 del decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, contenente la normativa dei c.d. “patti in deroga”), e poi del tutto speculare ad essa, a far data dalla legge n. 431 del 1998.
2.3.3. Il primo intervento, del 1992, consentì, nei contratti di locazione ad uso abitativo, la libera pattuizione del corrispettivo, bilanciata da un sostanziale raddoppio della durata del contratto, mentre tutti gli altri aspetti del rapporto contrattuale continuarono ad essere regolati dalla precedente disciplina.
2.4. La legge n. 431 del 1998 ha reso definitiva la scelta del legislatore di abbandonare definitivamente l’idea del canone “equo” imposto per legge, e di fronteggiare, eliminandolo in radice, il fenomeno del c.d. “sommerso”.
2.4.1. Venne così sancita in via definitiva la liberalizzazione del canone delle locazioni ad uso abitativo, bilanciata da una maggiore stabilità del rapporto contrattuale, con espressa previsione dell’obbligo della forma scritta e della registrazione del contratto.
2.4.2. I contratti che ricadono nell’ambito applicativo della legge sono le locazioni di immobili adibiti ad uso abitativo che non abbiano ad oggetto beni vincolati o che non siano costruiti nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica o che non siano alloggi locati per finalità esclusivamente turistiche (art. 1).
2.4.3. La legge prevede due possibili modalità di contrattazione: una prima, libera, una seconda strutturata secondo modelli-tipo, frutto di accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative (art. 2, comma 3).
2.5. Il legislatore detterà pochissime prescrizioni, limitandosi a richiedere la forma scritta e a disciplinare la durata del contratto, che varia a seconda si sia scelto il modello a forma libera oppure quello concordato tra associazioni. Nel primo caso, infatti, è prevista una durata minima di quattro anni rinnovabili per ulteriori quattro, mentre nel secondo la durata minima è di tre anni rinnovabili per altri due.
3. Con specifico riguardo al problema della forma negoziale dei contratti di locazione, va premesso come, nel nostro sistema codicistico, viga, secondo l’opinione dominante (peraltro non condivisa da autorevole dottrina), un principio generale di libertà della forma, in applicazione del quale, in linea generale, la manifestazione di volontà contrattuale non richiederebbe forme particolari, potendo realizzarsi attraverso qualsiasi modalità idonea a manifestarla, ivi compresi comportamenti c.d. concludenti.
3.1. Il (presunto) principio della libertà di forma non è privo di eccezioni. È noto che, per alcuni atti la legge, richiede che la volontà sia manifestata attraverso particolari modalità espressamente stabilite, attraverso la stipula di contratti a forma c.d. vincolata: l’art. 1350 elenca quelli per i quali la forma scritta è prevista a pena di nullità.
3.2. La forma vincolata risponde ad una molteplicità di esigenze: quella di garantire certezza sull’esistenza e sul contenuto del contratto, oltre che sulla stessa volontà delle parti; quella di rendere possibili i controlli sul contenuto contratto previsti nell’interesse pubblico (come per la contrattazione con la pubblica amministrazione); quella di rendere trascrivibile il contratto a fini di pubblicità, per rendere opponibili a terzi i diritti che ne scaturiscono; quella di protezione del contraente che, con l’adozione della forma scritta, viene reso edotto e consapevole delle obbligazioni assunte.
3.4. Tra le molte teorie elaborate sulla complessa tematica della forma negoziale, va posto l’accento su quelle che ne valorizzano il contenuto, privilegiando il valore funzionale alla forma, da valutarsi in concreto, in relazione alla ratio espressa dallo specifico “tipo” contrattuale. Di qui, l’impredicabilità di una automatica applicazione della disciplina della nullità in mancanza della forma prevista dalla legge ad substantiam, essendo piuttosto necessario procedere ad un’interpretazione assiologicamente orientata, nel rispetto dei valori fondamentali del sistema. Così, il carattere eccezionale o meno della norma sulla forma, ovvero il suo carattere derogabile o inderogabile, non potrà essere definito in astratto e in via generale, ma dovrà risultare da un procedimento interpretativo che dipende dalla collocazione che la norma riceve nel sistema, dalla ratio che esprime, dal valore che per l’ordinamento rappresenta.
3.5. Tali, condivisibili tendenze c.d. “neoformaliste” tendono a favorire l’emersione del rapporto economico sottostante a ciascun atto negoziale, evolvendo verso una vera e propria mutazione genetica del ruolo stesso della forma del contratto, non più soltanto indice di serietà dell’impegno obbligatorio, o mezzo di certezza o idoneità agli effetti pubblicitari, ma strumento che consenta anche di rilevare l’eventuale squilibrio esistente tra i contraenti e di tutelare la parte debole del rapporto (anche se, in senso opposto, altra parte della dottrina continua a ritenere che l’art. 325 n. 4 cod. civ. evochi il requisito della forma, sic et simpliciter, come mero elemento necessario nella struttura del contratto, senza attribuire alcun rilievo all’elemento teleologia), di tal che, sul piano sostanziale, sarebbe preclusa quell’attività ermeneutica – consentita invece dal diritto processuale – volta alla valutazione sull’idoneità dell’atto al raggiungimento dello scopo).
4. Tanto premesso sul piano generale, va ancora ricordato come, in epoca antecedente alla legge n. 431 del 1998, tanto la disciplina codicistica quanto la legge n. 392 del 1978 non imponevano alcuna forma particolare al contratto di locazione, tanto ad uso abitativo quanto per uso diverso (l’unica ipotesi di obbligo di forma scritta era, difatti, quella relativa ai contratti di durata ultranovennale, ex art. 1350 n. 8 cod. civ., interpretato, peraltro, in senso assai restrittivo da questa stessa Corte di legittimità).
4.1. La legge n. 431 del 1998 – funzionale, come già ricordato, all’esigenza di far emergere l’enorme numero di contratti in nero determinatosi a seguito dell’imposizione dell’equo canone, all’art. 1 comma 4 – ha invece previsto, testualmente, che, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, “per la stipula di validi contratti di locazione è richiesta la forma scritta”.
4.2. La necessità della forma scritta apparve, illico et immediate, ispirata a tutte quelle esigenze poc’anzi evidenziate.
4.2.1. In primo luogo, si volle assicurare certezza a rapporti giuridici che coinvolgono un così importante bene della vita.
4.2.2. In secondo luogo, si decise di “stabilizzare” un canone che, seppure liberalizzato, doveva incondizionatamente rimanere quello indicato nel contratto per tutta la durata del rapporto.
4.2.3. Infine, e soprattutto, si volle assicurare la più ampia pubblicità al rapporto, al fine di contrastare l’evasione fiscale.
La prescrizione della forma scritta, difatti, appare volta essenzialmente a tutelare l’intereresse alla trasparenza del mercato delle locazioni in funzione dell’esigenza di un più penetrante controllo fiscale, esigenza avvertita in modo significativo in un settore dove, come poc’anzi ricordato, a causa della precedente disciplina dirigistica il fenomeno dell’evasione era divenuto inarginabile. E proprio il collegamento funzionale (anche se non strutturale) tra forma scritta e registrazione del contratto apparve a tuttora appare particolarmente significativo in tal senso.
4.2.4. La stessa relazione di accompagnamento della VIII Commissione permanente Ambiente territorio e lavori pubblici (presentata alla Presidenza il 25.11.1998) indica con chiarezza come l’obiettivo della legge n. 431 del 1998 fosse quello di “introdurre misure atte a combattere il fenomeno dell’evasione fiscale che appare particolarmente presente in questo settore”, in aggiunta alla volontà di realizzare una liberalizzazione controllata del mercato locativo.
4.3. Si così osservato che l’interesse generale, di rilevanza pubblicistica, troverebbe ulteriore conferma proprio nella previsione del requisito della forma scritta anche nei casi in cui manchi un’esigenza di protezione del conduttore riconducibile alla stabilità del rapporto di locazione o ad una specifica posizione di debolezza – come nel caso delle locazioni stipulate per finalità esclusivamente turistiche e di quelle che hanno ad oggetto immobili di lusso, espressamente sottratte all’applicazione dell’art. 13, comma 5, della L. n. 431 del 1995.
5. Tale la conclusione cui perviene la pressoché unanime dottrina, che, salvo alcune isolate voci contrarie, ritiene che la legge n. 431 del 1998 richieda per i contratti di locazione ad uso abitativo la forma scritta a pena di nullità.
6. Dal suo canto, la giurisprudenza di merito sembra aver privilegiato quasi unanimamente l’interpretazione secondo la quale la forma scritta del contratto di locazione sia richiesta ad substantiam. La norma speciale, difatti, secondo alcune pronunce, andrebbe letta in combinato disposto con l’art. 1418 cod. civ. – che sanziona con la nullità la mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 1325 cod. civ. ivi compresa la forma del contratto se prevista a pena di nullità -, mentre, secondo altre, andrebbe coniugata con il disposto dell’art. 1350 n. 13 – che contempla, tra gli atti che devono farsi per iscritto a pena di nullità, anche quelli “specificamente indicati dalla legge” -. Un ultimo grippo di sentenze evocano, infine, le norme di cui agli artt. 1352 e 2739 cod. civ. quanto al significato da attribuire al requisito di forma in difetto di univoche prescrizioni.
6.1. Del tutto isolate appaino, per converso, le interpretazioni di segno opposto offerte da altra parte della giurisprudenza di merito, secondo cui la mancanza di una espressa previsione della sanzione della nullità dovrebbe indurre a ritenere che la forma scritta richiesta per il contratto di locazione di immobile ad uso abitativo sia soltanto ad probationem, e non un requisito essenziale del contratto.
6.2. Un terzo filone interpretativo ritiene, infine, necessaria la forma scritta ad essentiam, limitando, peraltro, la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all’art. 13, comma 5 della L. n. 431 del 1998, che gli accorda una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. Il conduttore potrebbe, cioè far valere egli solo la nullità qualora il locatore abbia imposto la forma verbale, abusando della propria posizione dominante all’interno di un rapporto giocoforza asimmetrico.
7. È convincimento di queste sezioni unite che l’ultima delle soluzioni proposte dalla giurisprudenza di merito debba essere condivisa.
7.1. A tale conclusione deve pervenirsi, innanzitutto, sulla base di una interpretazione letterale della disposizione di cui all’art. 13, comma 5 della legge n. 431 del 1998, che limita all’elemento caratterizzante costituito dall’“abuso” del locatore la necessità di un riequilibrio del rapporto mediante l’introduzione di un’ipotesi di nullità relativa: ne consegue, logicamente, che, in mancanza di tale “abuso”, la nullità debba ritenersi assoluta (e, quindi, non sanabile) e rilevabile da entrambe parti, oltre che d’ufficio ex art. 1421 cod. civ..
7.2. Se la forma scritta risponde alla finalità di attribuire alle parti, ed in specie al conduttore, uno status di certezza dei propri diritti e dei propri obblighi, la sua funzione primaria (coerente con la ratio dell’intero dettato normativo di cui alla legge 431) deve comunque ritenersi quella di trarre dall’ombra del sommerso – e della conseguente evasione fiscale – i contratti di locazione.
7.3. Il comma 5 dispone, difatti, testualmente, che “nei casi di nullità di cui al comma 4 il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, può richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate. Nei medesimi casi il conduttore può altresì richiedere, con azione proponibile dinanzi al pretore, che la locazione venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 ovvero dal comma 3 dell’articolo 2. Tale azione è altresì consentita nei casi in cui il locatore ha preteso l’instaurazione di un rapporto di locazione di fatto, in violazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 4, e nel giudizio che accerta l’esistenza del contratto di locazione il pretore determina il canone dovuto, che non può eccedere quello definito ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero quello definito ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3, nel caso di conduttore che abiti stabilmente l’alloggio per i motivi ivi regolati; nei casi di cui al presente periodo il pretore stabilisce la restituzione delle somme eventualmente eccedenti”.
7.4. La norma opera un espresso riferimento all’art. 1, comma 4, ovvero all’ipotesi di un contratto nullo per mancanza di forma scritta che abbia dato luogo ad un rapporto di locazione di fatto. Si richiede, tuttavia, espressamente, un ulteriore presupposto, ovvero che sia il locatore ad aver preteso l’instaurazione del rapporto di fatto, e che quindi la nullità del contratto sia a lui attribuibile, mentre il conduttore deve averla solo subita. Si disciplina, pertanto, la fattispecie concreta del locatore che ponga in essere una coazione idonea ad influenzare il processo di formazione della volontà del conduttore, condizionando alla forma verbale l’instaurazione del rapporto di locazione in violazione dell’articolo 1, comma 4.
7.5. È in tal caso che il conduttore sarà il (solo) soggetto legittimato a chiedere che la locazione di fatto, nulla per vizio di forma, venga ricondotta a condizioni conformi a quanto previsto in relazione al canone predeterminato in sede di accordi definiti ai sensi del comma 3 dell’articolo 2 ovvero ai sensi dell’articolo 5, commi 2 e 3.
7.6. In deroga ai principi generali della insanabilità del contratto nullo, pertanto, la norma di cui all’art. 13, comma 5, riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa. Ma proprio la portata eccezionalmente derogatoria ad un principio-cardine dell’ordinamento (i.e. la insanabilità del contratto nullo) non consente un’interpretazione della norma diversa da quella rigorosamente letterale.
7.7. Il giudice dovrà pertanto accertare, da un canto, l’esistenza del contratto di locazione stipulato verbalmente in violazione dell’art. 1, comma 4, della L. n.431 del 1998, e, dall’altro, la circostanza che tale forma sia stata imposta da parte del locatore e subita da parte del conduttore contro la sua volontà, così determinando ex tunc il canone dovuto nei limiti di quello definito dagli accordi delle associazioni locali della proprietà e dei conduttori ai sensi del comma 3 dell’articolo 2, con il conseguente diritto del conduttore alla restituzione della eccedenza pagata.
8. Né la innegabile difficoltà probatoria di tale circostanza (gravando il relativo onere sul conduttore, in ossequio alle tradizionali regole del relativo riparto) può condurre a soluzione diversa, non potendo un principio (e una maggior difficoltà) di carattere processuale incidere sulla ricostruzione sostanziale della fattispecie.
8.1. In conformità con la lettera della legge, la nullità di protezione, e le relative conseguenze, sarà pertanto predicabile solo in presenza dell’abuso, da parte del locatore, della sua posizione “dominante”, imponendosi il tal caso, e solo in esso, a causa della eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. In concreto, sarà pertanto necessario che il locatore ponga in essere una inaccettabile pressione (una sorta di violenza morale) sul conduttore al fine di costringerlo a stipulare il contratto in forma verbale, mentre, nel caso in cui tale forma sia stata concordata liberamente tra le parti (o addirittura voluta dal conduttore), torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità. Il locatore potrà agire in giudizio per il rilascio dell’immobile occupato senza alcun titolo, e il conduttore potrà ottenere la (parziale) restituzione delle somme versate a titolo di canone nella misura eccedente quella del canone “concordato” – poiché la restituzione dell’intero canone percepito dal locatore costituirebbe un ingiustificato arricchimento dell’occupante.
8.2. Non può, pertanto darsi seguito alla tesi, pur sostenuta da parte della giurisprudenza di merito e da alcuni autori in dottrina, secondo cui il collegamento tra l’art. 13, comma 5 e l’art. 1, comma 4, della legge n. 431 del 1998 integrerebbe tout court gli estremi della nullità di protezione o relativa anche nel caso l’uso della forma verbale sia stato deciso volontariamente da entrambe le parti contraenti.
8.3. Pur vero che il riconoscimento, in tal caso, di una fattispecie di natura di nullità assoluta avrebbe come conseguenza l’obbligo di restituzione dell’immobile con effetto immediato dalla dichiarazione di nullità del contratto, venendo meno il suo titolo giustificativo (e così determinandosi un indebolimento della posizione del conduttore, esposto all’azione di nullità del locatore che, evitando la forma scritta prescritta dalla legge, avrebbe così un permanente strumento di pressione nei confronti del contraente più debole), va di converso considerato che tale assunto muove da un presupposto infondato in diritto, quello, cioè, dell’assimilabilità della suddetta disposizione con altre che introducono obblighi di forma (nelle varie fasi della formazione del contratto, dalle trattative alla stipulazione definitiva) in funzione di protezione del contraente maggiormente esposto al rischio contrattuale (nei contratti bancari di investimento, ad esempio, la forma scritta è dettata in funzione del superamento di uno squilibrio informativo che caratterizza il rapporto tra le parti ed è diretta a fornire al contraente debole tutte le informazioni necessarie per assumere consapevolezza del rischio cui si espone nell’investimento e per avere la possibilità di verificare la conformità del contratto definitivo con quanto è stato oggetto di informativa preliminare).
8.4. Tali finalità non possono ritenersi predicabili con riguardo al requisito di forma scritta del contratto di locazione. In primo luogo, non può ravvisarsi un collegamento tra prescrizione di forma e obblighi informativi in quanto non vi sono particolari rischi connessi allo svolgimento del contratto e non è dato riscontrare quello squilibrio informativo che tipicamente caratterizza le relazioni che intercorrono tra contraenti deboli e contraenti professionali. In secondo luogo, la prescrizione di forma non è dettata in funzione strumentale del contenuto, il quale, nell’ordinaria modalità di svolgimento delle relazioni contrattuali, risulta agevolmente comprensibile dal conduttore.
8.5. Queste considerazioni, coniugate con la già ricordata esigenza di procedere ad un’interpretazione rigorosamente letterale della norma in esame, sebbene non escludano una più generale intentio legis di tutelare il conduttore – che pur risulta da una pluralità di norme dettate nel suo esclusivo interesse – inducono a ritenere definitivamente esclusa la possibilità di applicazione analogica delle norme che prevedono nullità relative.
9. L’interpretazione letterale della norma in parola non consente, in definitiva, soluzione diversa. Sancire che, per la stipula di validi contratti di locazione, è necessaria la forma scritta, significa a contrario affermare che il contratto di locazione privo di tale requisito è invalido (i.e., nullo). Né vale obiettare che nella categoria dell’invalidità rientra anche il contratto annullabile, perché nel territorio della disciplina positiva non si rinvengono ipotesi di annullabilità per vizio di forma.
10. Non senza osservare ancora, su di un più generale piano etico/costituzionale, e nel rispetto della essenziale ratio della legge del 1998, che la soluzione adottata impedisce che, dinanzi ad una Corte suprema di un Paese Europeo, una parte possa invocare tutela giurisdizionale adducendo apertamente e impunemente la propria qualità di evasore fiscale, volta che l’imposizione e il corretto adempimento degli obblighi tributari, lungi dall’attenere al solo rapporto individuale contribuente-fisco, afferiscono ad interessi ben più generali, in quanto il rispetto di quegli obblighi, da parte di tutti i consociati, si risolve in un miglior funzionamento della stessa macchina statale, nell’interesse superiore dell’intera collettività.
Il ricorso principale è pertanto rigettato, con conseguente rigetto di quello incidentale del T. e con assorbimento di quello condizionato del P. .
Le spese del giudizio di Cassazione possono essere integralmente compensate, attesa la complessità delle questioni trattate, l’assenza di precedenti di legittimità e il contrasto esistente in seno alla giurisprudenza di merito.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta quello principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato del P. , rigetta il ricorso incidentale del T. e compensa le e spese del giudizio di cassazione.
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