Corte di Cassazione

 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

sentenza 15 marzo 2016, n. 5078

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sez. –

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente di Sez. –

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sez. –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26012-2014 proposto da:

VENEZIANA ENERGIA RISORSE IDRICHE TERRITORIO AMBIENTE ESERVIZI –

V.E.R.I.T.A.S. S.P.A., in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-8, presso lo studio dell’avvocato CECCONI MAURIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PASQUALIN ANDREA, CONSOLO CLAUDIO, per delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MASSANO MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CORNELIO ENRICO, per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 574/2014 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata il 14/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2016 dal Consigliere Dott. MARCELLO IACOBELLIS;

uditi gli avvocati Andrea PASQUALIN, Claudio CONSOLO, Enrico CORNELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. Il Giudice di Pace di Venezia, su ricorso di B.G., in data 22/9/2009, ingiunse alla Veneziana Energie Risorse Idriche Ambiente Servizi – V.E.R.I.T.A.S. s.p.a., di seguito Veritas, il pagamento della somma di Euro 67,36, oltre interessi e spese, a titolo di ripetizione di Iva applicata alla Tariffa di Igiene Ambientale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 – cd. Tia- riscossa dalla Veritas, nella qualità di affidataria del servizio di raccolta e di smaltimento rifiuti per il Comune di Venezia, riconoscendo alla Tariffa la natura di tributo e ritenendo alla stessa inapplicabile l’Iva. L’opposizione proposta dalla Veritas venne rigettata con sentenza del 4/7/2011.

2. Il Tribunale di Venezia, adito dalla società, con sentenza del 14/3/2014, n. 574, accolse l’appello limitatamente al regime delle spese processuali, confermando nel resto la decisione di 1 grado. Il tribunale riaffermò la natura tributaria della Tia in quanto mera variante della Tarsu, in conformità alla giurisprudenza della Corte Costituzionale n. 64/2010 e delle successive pronunce di questa Corte; escluse l’assoggettabilità della Tia ad Iva sia per l’assenza di una normativa specifica, sia per essere le relative entrate riconducibili ai diritti, canoni e contributi percepiti nell’esercizio di pubbliche autorità.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi la Veritas; resiste con controricorso B. G.. Con istanza del 29/1/2015 la Veritas ha chiesto la rimessione della questione alle SS.UU., assumendo l’esistenza di un contrasto tra le sezioni civili della Corte, nonchè la particolare importanza della questione. Le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

4. Con primo motivo la ricorrente assume la ” violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1 e 3, art. 4, commi 2, 3 e comma 5, lett. b, D.L. n. 557 del 1993, art. 4, conv. in L. n. 133 del 1994, introduttivo della voce 127 sexiesdecies di cui alla Parte Terza della Tabella A, allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata escluso la soggezione ad Iva della Tia sulla base della erroneamente supposta inesistenza di norme espresse che prevedano l’assoggettamento ad Iva della tariffa disciplinata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, nonchè per avere la sentenza affermato che la prestazione di raccolta e smaltimento dei rifiuti, in assenza di norme impositive espresse (che pur si danno) sarebbe esente dall’imposta sul valore aggiunto”. La modifica alla parte terza della Tab. A del D.P.R. n. 633 del 1972, introdotta dal D.L. 30 dicembre 1997, n. 557, art. 4, con la quale è stato aggiunto il numero: “127- sexiesdecies – prestazioni di smaltimento, previste dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 1, di rifiuti urbani e speciali di cui all’art. 3, commi 1 e 2, dello stesso decreto.”- farebbe appunto riferimento alle prestazioni svolte dalla Veritas. La norma sarebbe stata introdotta a seguito della abrogazione, contenuta nell’art. 2 della stesso d.l., dell’originaria esenzione dall’iva delle prestazione di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti solidi urbani. Nello stesso senso, l’art. 1, comma 1 e art. 2, comma 1 del D.M. 24/19/2000, n. 370, prevederebbero la possibile emissione di bollette che tengono luogo delle fatture, all’esito della prestazione del servizio, con relativa annotazione nel registro previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 24. Erroneo sarebbe inoltre il richiamo del giudice di appello al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 5, lett. b), norma “eccezionale” dalla quale non potrebbe conseguire “che le attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti necessitino di essere ricondotte, una per una, nel campo di applicazione dell’Iva da previsioni speciali”.

5. Con secondo motivo la ricorrente assume la “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 3 e 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso l’assoggettabilità ad Iva della tariffa di gestione dei rifiuti per la supposta assenza di un rapporto sinallagmatico tra il servizio di smaltimento dei rifiuti e la controprestazione gravante sugli utenti, beneficiari del servizio”. La determinazione del corrispettivo, prescinderebbe dal rapporto sinallagmatico; la nozione di “corrispettivo” ai fini Iva andrebbe correlata non alla nozione civilistica di contratto sinallagmatico, bensì ad un “collegamento economicamente valutabile”. Secondo la ricorrente le prestazioni di servizio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 prescinderebbero dalla fonte del rapporto; la correlazione non potrebbe essere esclusa dalla circostanza che parte della tariffa sia destinata a remunerare le prestazioni di raccolta e smaltimento di rifiuti esterni; la “ratio commutativa della tariffa” non sarebbe menomata dal ricorso a presunzioni forfettarie di rifiuti; il nesso di corrispettività tra il servizio di raccolta dei rifiuti e la tariffa che lo remunera non sarebbe poi stato escluso dalla sentenza della Corte Cost. n. 238 del 24/7/2009, che aveva comunque rilevato il collegamento tra la produzione dei rifiuti e la copertura del costo; la decisione del tribunale sarebbe infine “sorda di fronte all’interpretazione della Sesta direttiva ha offerta dalla Corte di Giustizia Europea” che avrebbe a tal fine ritenuto rilevante “l’essenza economica dello scambio fra le prestazioni e non la cornice negoziale o autoritativa entro la quale lo stesso si realizza”.

6. Con terzo motivo la ricorrente assume la “violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1 Direttiva 2006/112/Ce del 28 novembre 2006, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la sentenza impugnata ritenuto applicabile alle prestazioni di servizi rese dalla Veritas, società per azioni di diritto privato svolgente attività di impresa, l’esenzione soggettiva dall’Iva di diritti, canoni, contributi percepiti dagli enti pubblici per le sole attività od operazioni che essi esercitano in quanto pubbliche autorità”. L’esenzione di cui all’art. 13 citato si applicherebbe ai soli enti pubblici ed all’esercizio di attività in veste di pubblica autorità, circostanze non ricorrenti nel caso in esame. Quanto alla prima condizione, la Corte di Giustizia avrebbe ripetutamente affermato che l’esenzione prevista dall’art. 4, comma 1, n. 5, della sesta direttiva non opererebbe laddove l’attività venga affidata ad un terzo, in posizione di autonomia, non integrato nell’organizzazione della pubblica amministrazione. Relativamente alla seconda, l’attività di raccolta e smaltimento non sarebbe svolta dalla società con poteri o prerogative autoritativi, bensì nell’ambito di un’autonoma organizzazione imprenditoriale.

7. Con quarto motivo la ricorrente assume la “violazione o falsa applicazione dell’art. 13, comma 1, secondo cpv. direttiva 2006/112/Ce in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha tenuto in alcun conto la condizione ostativa all’applicazione del regime di non assoggettamento ad Iva di cui all’art. 13 cit., rappresentata dalla distorsione della concorrenza di una certa importanza. Alternativamente, nullità della sentenza per violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2 rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere il giudice di merito implicitamente giudicato non sussistente alcun rischio di distorsione della concorrenza, senza avere previamente sollecito il contraddittorio delle parti su tale questione”. La equiparazione tra ente pubblico e soggetto privato affidatario del servizio di smaltimento dei rifiuti, operata dal Tribunale, determinerebbe il rischio di distorsioni alla concorrenza. La Veritas, nel caso di mancata applicazione dell’Iva sulle prestazioni da essa rese in favore degli utenti, si troverebbe a vantare sistematicamente rilevanti crediti di Imposta nei confronti dello Stato: da ciò la possibile qualificazione del meccanismo quale aiuto di stato indiretto.

8. I primi tre motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro intima connessione, sono infondati.

La normativa a fondamento delle questioni sollevate è costituita dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 – con il quale venne soppressa a decorrere dal 1 gennaio 1999, la cd. Tarsu, disponendo che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero coperti dai comuni mediante l’istituzione di una tariffa (usualmente denominata Tariffa di Igiene ambientale)- composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

9. La Corte costituzionale, giudicò infondata la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, conv. con modif. con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) lo smaltimento dei rifiuti urbani, con sentenza 238/2009, ritenendo che il prelievo presentasse tutte le caratteristiche del tributo, che il medesimo non fosse pertanto inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisse una mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima. Analoghi principi vennero affermati dalla Corte Cost., con la sentenza n. 64/2010.

10. Nell’adeguarsi a tale orientamento, questa Corte, in sede di regolamento di giurisdizione, ha affermato: In tema di riparto di giurisdizione, spettano alla giurisdizione tributaria le controversie aventi ad oggetto la debenza della tariffa di igiene ambientale (TL4), in quanto, come evidenziato anche dall’ordinanza della Corte costituzionale n 64 del 2010, tale tariffa non costituisce una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. 15 novembre 1993, n. 507, di cui conserva la qualifica di tributo (S.U. 14903/2010, 25929/2011).

11. Con espresso riferimento alla applicabilità dell’iva al tributo in questione la 5a sezione di questa Corte, con orientamento costante ha affermato: “la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, non è assoggettabile ad IVA, in quanto essa ha natura tributaria, mentre l’imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, non quando si paga un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente (Sentenza n. 3293 del 02/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 09/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 5831 del 13/04/2012).

12. In contrasto con tale indirizzo sono le affermazioni contenute in alcune decisioni della Sezione 1 di questa Corte, nell’ambito di giudizi aventi ad oggetto la natura privilegiata, ex art. 2752 c.c., comma 3, del credito relativo al tributo in questione, laddove leggesi: “La natura tributaria in questione non può neppure essere contestata in base alla considerazione che la parte terza della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, preveda (n. 127 sexiesdecies) che le prestazioni di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali siano soggette al pagamento dell’IVA 10% E’ sufficiente a tale proposito osservare che detta previsione normativa è stata introdotta dal D.L. n. 557 del 1993, art. 4, comma 1, convertito con L. n. 133 del 1994, quando era ancora in vigore la TARSU, la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa. Il che dimostra che l’applicazione dell’Iva all’importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti prescinde dalla sua natura tributaria o meno” (Cass. 5297/2009; Cass. 5298/2009; Cass. 5299/2009; Cass. 12006/2012; Cass. 12007/2012, Cass. 17768/2012; Cass. 17994/2014).

13. Secondo queste Sezioni Unite va dato seguito all’indirizzo espresso dalla Sezione Tributaria, non senza rilevare che la questione dell’assoggettamento ad Iva della Tia 1 non costituiva espressamente oggetto delle pronunce della Sezione la, risultando un mero obiter a favore della natura non privatistica della Tia nell’ambito della disciplina speciale in tema di crediti privilegiati.

14. Tale determinazione trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la cd. Tia 1, elementi costituiti dall’assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici – nonchè dall’assenza del rapporto sinallagmatico a base dell’assoggettamento ad IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 4).

15. Questo indirizzo è altresì conforme all’art. 13 della direttiva 2006/112 CE -secondo cui “Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni”-.

16. Va in proposito rilevato che l’ordinamento Eurocomunitario reputa essenziale la gestione dei rifiuti, tanto da addossare sui singoli Stati l’obbligo di adottare le misure necessarie atte a garantire il recupero, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti medesimi (artt. 4, 10, 12 e 13 dir. “008/98 CE), rimettendo alla discrezionalità degli Stati medesimi la determinazione degli oneri correlati ai costi di gestione (“allo stato attuale del diritto comunitario, non vi è alcuna normativa adottata in base all’art. 175 CE che imponga agli Stati membri un metodo preciso quanto al finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, di modo che tale finanziamento può, a scelta dello Stato membro interessato, essere indifferentemente assicurato mediante una tassa, un canone o qualsiasi altra modalità”…. “le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa” punti 48 e 50 cent. 15/7/2009, causa C-254/08).

17. E che tale servizio sia connesso all’esercizio di attività di pubblica autorità trova conforto anche nelle decisioni della Corte di Giustizia (Quarta Sezione nella causa C- 174/14 punto 71) secondo cui: l’esenzione prevista all’art. 13, paragrafo 1, comma 1, della direttiva 2006/112 concerne principalmente le attività esercitate dagli enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all’esercizio di prerogative di pubblico potere (sentenza Isle of Wight Council e a., C-288/07, EU:C:2008:505, punto 31); nonchè nella Sentenza del 14 dicembre 2000, nella causa C-446/98 (punti 15-17), secondo cui: alla luce degli obiettivi della sesta direttiva, mette in evidenza che per l’applicazione dell’esenzione devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l’esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l’esercizio di attività in veste di pubblica autorità (v., segnatamente, sentenza 25 luglio 1991, causa C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, Racc. pag. 1-4247, punto 18). 1 – 11469 SENTENZA 14. 12. 2000 – CAUSA C-446/9816 Per quanto riguarda quest’ultima condizione, sono le modalità di esercizio delle attività in esame che consentono di determinare la portata dell’esenzione degli enti pubblici (sentenze 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Racc. pag. 3233, punto 15, e 15 maggio 1990, causa C4/89, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Racc. pag. 1-1869, punto 10). 17 Risulta così da una consolidata giurisprudenza della Corte che le attività esercitate in quanto pubbliche autorità, ai sensi dell’art. 4, comma 1, n. 5, della sesta direttiva, sono quelle svolte dagli enti pubblici nell’ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte in base allo stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati.(v. sentenze 12 settembre 2000, causa C276/97, Commissione/Francia, punto 40, causa C-358/97, Commissione/Irlanda, punto 38, causa C-359/97, Commissione/Regno Unito, punto 50, causa C-408/97, Commissione/Paesi Bassi, punto 35, e causa C-260/98, Commissione/Grecia, punto 35).

18. Anche la necessità di un rapporto sinallagmatico tra prestazione e controprestazione, ai fini della imponibilità, risulta conforme alla giurisprudenza comunitaria. Nella Sentenza della Terza Sezione del 20 giugno 2013, nella causa C-653/11, p. 40) leggesi: “Ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva, sono soggette a IVA “le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, effettuate a titolo oneroso all’interno del paese da un soggetto passivo che agisce in quanto tale”. Con riferimento, più in particolare, alla nozione di prestazione di servizi, la Corte ha affermato in più occasioni che una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso” ai sensi dell’art. 2, punto 1, di tale direttiva e, pertanto, configura un’operazione imponibile solo quando tra l’autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (sentenza del 16 dicembre 2010, MacDonald Resorts, C- 270/09, Racc. pag. 1-13179, punto 16 e giurisprudenza ivi citata)”.

Egualmente nella Sentenza della Quarta Sezione del 29 ottobre 2015, causa C- 174/14, ai punti 31 e 32, si è ritenuto: Sono assoggettate all’IVA, in generale e conformemente all’art. 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/112, le prestazioni di servizi fornite a titolo oneroso, comprese quelle fornite dagli enti di diritto pubblico. Gli artt. 9 e 13 della stessa direttiva attribuiscono pertanto un ambito di applicazione molto ampio all’IVA (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-79/09, EU:C:2010:171, punto 76 e giurisprudenza ivi citata). La possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario (v., in particolare, sentenza Serebryannay veli, C-283/12, EU:C:20I 3:599, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

19. Inoltre, nella determinazione della base imponibile, la Corte di giustizia ha affermato “…affinchè imposte, dazi, tasse e prelievi possano rientrare nella base imponibile dell’IVA, pur non rappresentando un valore aggiunto e non costituendo il corrispettivo economico della cessione del bene, essi devono presentare un legame diretto con tale cessione” (Corte giust 28 luglio 2011, C-106/10, punto 33; Corte giust. 22 dicembre 2010, C-433/09, Commissione/Austria, punto 34), successivamente precisando che tale legame diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi (Corte giust. in C-618/11, C-637/11 e C- 659/11, TVI – Televisao Independente SA, punto 41).

20. Irrilevante ai fini di causa è quindi il disposto della voce 127 sexiesdecies dalla tabella A parte 3 del D.P.R. n. 633 del 1972, relativa ai beni e servizi soggetti all’aliquota del 10%, secondo cui: le “prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, previste dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett, d), l) e m), di rifiuti urbani di cui all’art. 7, comma 2, e di rifiuti speciali di cui all’art. 7, comma 3, lett. g), del medesimo decreto, nonchè prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione”; nonche il D.M. il D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, nel disciplinare le modalità di riscossione dell’IVA, prevede espressamente, all’art. 1, che “Per le operazioni relative al servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e assimilati, di fognatura e depurazione, possono essere emesse bollette che tengono luogo delle fatture, anche agli effetti di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 26 e successive modificazioni, sempre chè contengano tutti gli elementi di cui all’art. 21 del medesimo decreto”. Tali disposizioni sono infatti applicabili nei casi in cui le prestazioni in esame vengano svolte “con corrispettivo”, elemento assente, per quanto sopra ritenuto, nel caso in esame.

21. Va pertanto esclusa rilevanza alla questione prospettata con il terzo motivo di ricorso, nonchè la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, come richiesto da parte ricorrente in sede di memorie.

22. Inammissibile è il quarto motivo di Sorso non risultando la questione oggetto del giudizio di merito e comportando la stessa nuovi accertamenti di fatto Cass. n. 3796/2013; Cass. n. 11642/2010, Cass. n. 2420/2006).

23. Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del B., delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.100,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

24. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del B., delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 1.100,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2016

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