Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 8 settembre 2017, n. 41210. In ordine ai reati informatici; accesso abusivo in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza

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CONSIDERATO IN DIRITTO

1. La questione di diritto sottoposta alle Sezioni unite e’ la seguente:

“Se il delitto previsto dall’articolo 615-ter c.p., comma 2, n. 1, sia integrato anche nella ipotesi in cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, formalmente autorizzato all’accesso ad un sistema informatico o telematico, ponga in essere una condotta che concreti uno sviamento di potere, in quanto mirante al raggiungimento di un fine non istituzionale, pur in assenza di violazione di specifiche disposizioni regolamentari ed organizzative”.

2. L’articolo 615-ter c.p. sanziona, al comma 1, il comportamento di chiunque “abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volonta’ espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”. Il secondo comma prevede: “La pena e’ della reclusione da uno a cinque anni: – 1) se il fatto e’ commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualita’ di operatore del sistema”.

L’accesso, quindi, e’ abusivo qualora avvenga mediante superamento e violazione delle chiavi fisiche ed informatiche di accesso o delle altre esplicite disposizioni su accesso e mantenimento date dal titolare del sistema.

3. Con la sentenza Casani le Sezioni Unite avevano affrontato la questione se integrasse la fattispecie criminosa di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto la condotta di accesso o di mantenimento nel sistema da parte di soggetto abilitato all’accesso, perche’ dotato di password, ma attuata per scopi o finalita’ estranei a quelli per i quali la facolta’ di accesso gli era stata attribuita.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che la questione di diritto controversa non dovesse essere riguardata sotto il profilo delle finalita’ perseguite da colui che accede o si mantiene nel sistema, in quanto la volonta’ del titolare del diritto di escluderlo si connette soltanto al dato oggettivo della permanenza dell’agente in esso, dovendosi verificare la contraria volonta’ del titolare del sistema solo con riferimento al risultato immediato della condotta posta in essere, non gia’ ai fatti successivi. Avevano ritenuto, quindi, che rilevante dovesse considerarsi il profilo oggettivo dell’accesso e del trattenimento nel sistema informatico da parte di un soggetto non autorizzato ad accedervi ed a permanervi, sia quando violasse i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema (con riferimento alla violazione delle prescrizioni contenute in disposizioni organizzative interne, in prassi aziendali o in clausole di contratti individuali di lavoro), sia quando ponesse in essere operazioni di natura “ontologicamente diversa” da quelle di cui sarebbe stato incaricato ed in relazione alle quali l’accesso era a lui consentito, con cio’ venendo meno il titolo legittimante l’accesso e la permanenza nel sistema.

4. La Sezione rimettente ha dato atto dello svilupparsi nella giurisprudenza successiva alla sentenza Casani di diverse posizioni, dettate dalla ritenuta necessita’ di precisazioni e specificazioni, in funzione eminentemente estensiva, della portata del principio di diritto espresso dalla citata sentenza, tanto da considerare idonea ad integrare la tipicita’ della fattispecie incriminatrice la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che si traduca in un abuso o sviamento dei poteri conferitigli.

E’ stato, in particolare, evidenziato il contrasto manifestatosi con le sentenze, entrambe della Quinta Sezione, n. 22024 del 24/04/2013, Carnevale, Rv. 255387, e n. 44390 del 20/06/2014, Mecca, Rv. 260763, che, seppure fondate sulla espressa adesione all’identica premessa costituita dal decisum delle Sezioni Unite Casani, avevano fornito risposte antitetiche circa la possibilita’ di ravvisare l’abusivita’ dell’accesso nella violazione dei principi che presiedono allo svolgimento dell’attivita’ amministrativa, quali sinteticamente enunciate dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 1.

Secondo la prima decisione, nel caso in cui l’agente sia un pubblico dipendente “non puo’ non trovare applicazione il principio di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, articolo 1, in base al quale l’attivita’ amministrativa persegue fini determinati dalla legge ed e’ retta da criteri di economicita’, efficacia, imparzialita’, pubblicita’, trasparenza, secondo le modalita’ previste dalla presente legge e dalle disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonche’ dai principi dell’ordinamento comunitario”. Di qui deriverebbe la “ontologica incompatibilita’” di un utilizzo del sistema informatico senza il rispetto di tali principi, in quanto “fuoriuscente dalla ratio del conferimento del relativo potere”.

Con la seconda delle citate decisioni era stata, all’opposto, esclusa la possibilita’ di identificare il carattere di abusivita’ della condotta di accesso al sistema, o di mantenimento al suo interno, nella violazione delle predette regole di imparzialita’ e trasparenza enunciate dalla L. n. 241 del 1990, articolo 1, se non a prezzo di frustrare la ratio della stessa norma incriminatrice come interpretata dalle Sezioni Unite, dilatando inammissibilmente la nozione di “accesso abusivo” oltre i limiti imposti dalla necessita’ di tutelare i diritti del titolare del sistema.

Viene, di conseguenza, sottoposta ora alle Sezioni Unite la valutazione del non infrequente caso del soggetto, in specie pubblico ufficiale o equiparato, che, abilitato e senza precisazione di limiti espressi alle possibilita’ di accesso e trattenimento nel sistema pubblico, acquisisca da questo notizie e dati, in violazione dei doveri insiti nello statuto del pubblico dipendente, nel complesso degli obblighi e dei doveri di lealta’ a lui incombenti.

5. Ritiene il Collegio che lo spunto fornito dalla vicenda processuale debba indurre a puntualizzare alcuni dei passaggi della precedente decisione delle Sezioni Unite Casani.

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