Corte di Cassazione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

ordinanza 21 luglio 2015, n. 15201

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Primo Presidente f.f. –

Dott. CICALA Mario – Presidente di Sez. –

Dott. RORDORF Renato – Presidente di Sez. –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso 9269-2014 proposto da:

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente della Provincia pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43, presso lo studio dell’avvocato LORENZONI FABIO, rappresentata e difesa dagli avvocati FOZZER GIULIANA, PEDRAZZOLI NICOLO’, per delega a margine del ricorso;

  • ricorrente –

contro

COMUNE DI TERRAGNOLO, DOLOMITI ENERGIA S.P.A. (già Trentino Servizi), AZIENDA GENERALE SERVIZI MUNICIPALI DI VERONA S.P.A.;

  • intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 7/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA DI 1 GRADO di TRENTO;

udito l’avvocato Guido MELONI per delega dell’avvocato Giuliana Fozzer;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/03/2015 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. Lucio Capasso e dell’Avvocato Generale Dott. Umberto Apice, i quali concludono chiedendo affermarsi la giurisdizione del Giudice Amministrativo.


Svolgimento del processo

Il Comune di Terragno ha adito la Commissione Tributaria di 1 grado di Trento impugnando – nei confronti della Provincia Autonoma di Trento nonchè del Servizio Catasto della suddetta Provincia e delle società proprietarie o concessionarie degli impianti per la produzione di energia elettrica siti nel suddetto Comune – la nuova rendita catastale attribuita ai beni facenti parte dell’impianto idroelettrico di S. Colombano situati nel Comune medesimo, rendita peraltro adottata dal Servizio Catasto della Provincia Autonoma dopo che il TRGA di Trento, adito dal Comune di Trambileno, aveva annullato la rendita precedente.

In pendenza del giudizio dinanzi alla Commissione Tributaria, la Provincia Autonoma di Trento ricorre a questo giudice proponendo regolamento preventivo di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c..

Il Comune e le società intimate non hanno svolto attività difensiva; il P.G. ha concluso per l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo.


Motivi della decisione

1. Il comma 2 dell’art. 2 prevede che “appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori concernenti l’intestazione, la delimitazione, la figura, l’estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell’estimo tra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonchè le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale”.

Il legislatore ha pertanto individuato in maniera oggettiva ed univoca il giudice tributario come il giudice al quale appartiene la giurisdizione sulle controversie concernenti (per quanto nella specie rileva) il classamento degli immobili e l’attribuzione della rendita catastale.

E’ vero che la disposizione fa riferimento a “controversie promosse dai singoli possessori”, tuttavia la precisazione è da ritenersi irrilevante nell’economia della norma in questione ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione, essendo da escludere che la precisazione in ordine al soggetto “promotore” della controversia concorra, unitamente all’oggetto della medesima, ad individuare il giudice munito di giurisdizione (e quindi a circoscrivere l’ampiezza di quest’ultima). E ciò per un triplice ordine di considerazioni.

1a) Sul piano logico, prima che giuridico, è agevole osservare che, ove l’oggetto della controversia fosse tale che solo un determinato soggetto può avere interesse a promuoverla, la delimitazione della giurisdizione di un determinato giudice non solo sotto il profilo oggettivo ma anche sotto il profilo soggettivo (nel senso di dare rilievo, ai fini della individuazione della giurisdizione, ad eventuali caratteristiche del soggetto “promotore” della controversia) sarebbe superflua.

Ove invece fosse ravvisabile (come nella specie è da ritenere) in capo a più soggetti l’interesse a promuovere le controversie oggettivamente individuate nella disposizione in esame, la norma che, ai fini della individuazione del giudice munito di giurisdizione, individuasse un limite non solo di tipo oggettivo ma anche di tipo soggettivo (segnatamente in relazione al soggetto che in concreto promuove la controversia) condurrebbe ad effetti di dubbia costituzionalità ed in ogni caso, a tacer d’altro, negativamente incidenti sulla funzionalità del sistema, ancor prima che sulla effettività della tutela giurisdizionale, posto che una norma siffatta potrebbe essere interpretata soltanto in due modi: a) nel senso che solo ai soggetti individuati nella norma medesima è dato adire il giudice in relazione a quel tipo di controversie, con evidente ed inammissibile sacrificio del diritto di azione (presidiato dall’art. 24 Cost., comma 1) degli altri soggetti non menzionati nella norma ma titolari anch’essi di un interesse proprio ad agire in giudizio; b) nel senso che non è escluso che altri soggetti portatori del relativo interesse possano agire in giudizio, ma ciò non potrà avvenire dinanzi al quel giudice, con l’effetto che su di una medesima questione (nella specie, la congruità della rendita catastale di un immobile) sarebbe possibile la formazione di decisioni contrastanti provenienti da giudici appartenenti a giurisdizioni diverse.

1b) Sul piano della tecnica di redazione degli atti legislativi, occorre osservare che il legislatore identifica sempre il giudice munito di giurisdizione (e i limiti della giurisdizione a detto giudice attribuita) sulla base di criteri di tipo oggettivo, ricorrendo (anche) a criteri di tipo soggettivo solo in relazione a particolari giudizi e, pure in questo caso, giammai con riferimento alle precipuità del soggetto che “promuove” la controversia (come accadrebbe se si interpretasse in tal senso il citato comma due del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2) bensì solo con riguardo alle particolari caratteristiche del soggetto che “subisce” l’azione promossa da altri.

Nel nostro ordinamento infatti le uniche ipotesi in cui il giudice munito di giurisdizione viene individuato (anche) sulla base di elementi soggettivi sono ravvisabili nei giudizi di responsabilità (contabile, con riguardo alla giurisdizione della Corte dei conti, disciplinare, con riguardo alla giurisdizione del Consiglio Superiore della Magistratura, penale, con riguardo alla giurisdizione dei Tribunali Militari), in cui vi è un soggetto che promuove l’azione di responsabilità ed un soggetto (con la caratteristica soggettiva di essere militare, magistrato ecc.) che la subisce.

Per contro, con riguardo alla giurisdizione ordinaria (civile), ma anche a quella amministrativa e tributaria (nonostante il carattere impugnatorio dei relativi processi) non risulta invece giammai previsto un criterio (anche) di tipo soggettivo per l’individuazione del giudice munito di giurisdizione, tanto meno con riferimento alle particolari caratteristiche del soggetto che promuove l’azione.

1c) Infine, sul piano della interpretazione sistematica e letterale della norma in esame, occorre evidenziare che, anche alla luce di quanto sopra precisato in ordine alle opzioni del legislatore circa i “criteri” di delimitazione della giurisdizione, il fatto che il giudice tributario sia il giudice adito dal contribuente non è l’effetto di una generale, precisa ed inequivoca opzione del legislatore in proposito bensì solo la conseguenza in fatto della previsione di appartenenza alla giurisdizione tributaria delle controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie (comma 1 art. 2 citato) e della previsione, tra gli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, innanzitutto degli atti impositivi e di quelli ad essi equiparati (nonchè dei rifiuti di restituzioni e dinieghi o revoche di agevolazioni o benefici), essendo ulteriormente da sottolineare che il fatto che il giudice tributario sia di norma il giudice adito dal contribuente non esclude perciò solo che, quando ne ricorrano le condizioni, possa essere anche legittimamente adito da altri soggetti.

E’ infatti opportuno precisare che non risulta in alcun modo affermata, nella norma in esame complessivamente considerata (o in altra precedente, successiva o coeva) la necessità che siano devolute alla giurisdizione del giudice tributario tutte le controversie aventi ad oggetto le questioni e le materie specificate, sempre che (e solo se) siano introdotte dal contribuente, e non pare superfluo evidenziare che una simile disposizione, assai inusuale (per quanto riferito sub 1b), nonchè limitante e foriera delle “problematiche” conseguenze di cui si dirà in seguito, non potrebbe essere prevista se non in maniera espressa, chiara ed univoca.

Nella specie l’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui all’art. 2, comma 2 del citato D.Lgs. n. 546 non sembra idoneo a rivestire le suddette caratteristiche di chiarezza ed univocità, non emergendone con evidenza l’intento di delimitare la giurisdizione del giudice tributario anche sotto il profilo soggettivo (in riferimento al soggetto che adisce il giudice) e risultandone più plausibile una funzione non ad escludendum (cioè per escludere la giurisdizione del giudice tributario tutte le volte che la controversia non sia introdotta da un contribuente-possessore) bensì di carattere esclusivamente “esplicativo-ricognitivo”, siccome intesa a considerare l’ipotesi “tipica” del ricorso dinanzi alle commissioni tributarie (peraltro in simmetria con le previsioni del comma 1 della medesima norma), senza prendere in considerazione la possibilità che, rispetto alle controversie indicate nel secondo comma del citato art. 2, sia ipotizzabile la sussistenza di un interesse qualificato a promuovere la controversia anche in capo a soggetti diversi dal contribuente,’ ma, d’altro canto, come sarà più chiaro in prosieguo, anche la stessa giurisprudenza di questo giudice di legittimità solo recentemente (e non senza tentennamenti) ha riconosciuto in capo al Comune l’interesse ad impugnare il classamento o la rendita catastale attribuita ad un immobile sito nel territorio comunale.

  1. In una lettura letterale, logica, e sistematica nonchè (per quanto più precisamente ribadito in prosieguo) costituzionalmente orientata della norma in esame deve pertanto escludersi che l’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2 possa avere la funzione di contribuire (unitamente al profilo oggettivo) a delimitare la giurisdizione del giudice tributario in materia.

Diversamente opinando occorrerebbe ritenere, come sopra rilevato, che il Comune (che potrebbe vedere ridotte le proprie entrate tributarie dalla attribuzione di una determinata rendita ad un immobile situato nel proprio territorio ovvero dall’accoglimento del ricorso proposto dal contribuente avverso l’attribuzione di una nuova e maggiore rendita catastale) non abbia alcuna possibilità di agire in giudizio a tutela del proprio interesse, e ciò in contrasto con l’art. 24 Cost., comma 1, oppure che, mentre il contribuente può impugnare la rendita catastale ricorrendo al giudice tributario, il Comune deve invece rivolgersi al giudice amministrativo, con l’effetto di dilapidare un bene prezioso come la giurisdizione (se della medesima questione debbono conoscere due diversi giudici), ma soprattutto con l’effetto di compromettere la certezza e la stabilità delle situazioni giuridiche nonchè la stessa funzionalità del processo, valori che verrebbero tutti inevitabilmente frustrati dalla possibilità che sulla medesima questione intervengano decisioni contrastanti. E, soprattutto, decisioni irrimediabilmente contrastanti. Ciò in quanto la possibilità di giudicati contrastanti viene considerata e “risolta” dal sistema solo nell’ambito della medesima giurisdizione, mentre tra giurisdizioni diverse non è prevista alcuna “soluzione” del problema, non essendo contemplata la possibilità che si determini un effettivo contrasto tra decisioni di giudici appartenenti a giurisdizioni differenti, proprio perchè non risulta neppure ipotizzata l’attribuzione della giurisdizione su di un medesimo oggetto a giudici appartenenti a diverse giurisdizioni solo sulla base delle diverse caratteristiche dei soggetti che adiscono il giudice.

Ed infatti, in via preventiva, non sarebbe possibile eccepire l’efficacia preclusiva del precedente giudicato, non foss’altro perchè, a prescindere da ogni altra considerazione, non si tratterebbe di un giudicato “preclusivo” in senso tecnico, attesane la parziale non coincidenza soggettiva. Quanto ai “rimedi” esperibili ex post, è sufficiente, tra l’altro, osservare che la disciplina della revocazione presuppone (v. art. 395 c.p.c. e art. 106 c.p.a.) che le decisioni in contrasto siano state pronunciate da giudici appartenenti alla medesima giurisdizione, ed è infine appena il caso di sottolineare che il previsto rimedio del ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione non riguarda l’ipotesi di contrasto tra giudicati bensì la diversa ipotesi di conflitto fra giudici (che ritengano entrambi di dover conoscere di una determinata controversia o di dover declinare la propria giurisdizione rispetto ad essa), conflitto che viene risolto individuando quale sia il giudice munito di giurisdizione, nell’ovvio presupposto che tale giudice esista e sia uno soltanto, e che pertanto uno dei giudici in conflitto abbia male interpretato le norme attributive della giurisdizione.

  1. E’ vero che, come sottolineato dalla ricorrente Provincia Autonoma di Trento e dal P.G. nella sua requisitoria scritta, le sezioni unite di questa Corte hanno tra l’altro avuto modo di affermare che la giurisdizione tributaria non ricorre quando non sia in discussione l’obbligazione tributaria nè il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione proprio del rapporto tributario (v. tra le altre, su n. 7526 del 2013); che il Comune, relativamente ai fabbricati iscritti in catasto, deve applicare l’imposta comunale sugli immobili attenendosi ai criteri fissati nel D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2, senza essere autonomamente legittimato all’impugnativa della rendita (v. cass. n. 17054 del 2010); che legittimata a contraddire in merito all’impugnativa del classamento è solo l’Agenzia del territorio, non il Comune (v, cass. 19872 del 2012), ed inoltre che spetta alla giurisdizione del giudice amministrativo l’impugnazione proposta da un Comune avverso il provvedimento di classamento di un immobile e di attribuzione della rendita catastale emesso dall’Agenzia del Territorio, qualora si denuncino i vizi tipici previsti dalla L. n. 1034 del 1971, artt. 2 e ss. (v. SU n. 675 del 2010).

Tuttavia occorre evidenziare che la giurisprudenza di questo giudice di legittimità in materia è in rapida e continua evoluzione e, non senza esitazioni, comincia a mostrare la consapevolezza sia del fatto che il Comune in relazione al classamento ed alla rendita catastale è portatore di un proprio interesse ad agire sia del fatto che l’impugnazione dell’atto di classamento ovvero della rendita catastale deve essere valutata nel medesimo processo ed in relazione a tutti i potenziali interessati, basti pensare in proposito alla già citata sentenza delle sezioni unite n. 675 del 2010 (che riconosce un interesse del Comune nelle controversie aventi ad oggetto il classamento ovvero la rendita catastale di un immobile, sia pure identificando nel giudice amministrativo quello munito di giurisdizione in proposito) nonchè a SU n. 18565 del 2009 ed a cass. n. 8845 del 2010 (che riconoscono anch’esse la legittimazione del Comune ad impugnare la rendita catastale attribuita ad un immobile) oppure a cass. n. 15489 del 2010 (che riconosce l’esigenza del silmultaneus processus – sia pure in relazione ai diversi proprietari di un medesimo immobile – tra i legittimati ad impugnare il classamento, affermando che l’impugnazione dell’atto di classamento di un fondo di cui siano proprietari più soggetti da luogo ad un litisconsorzio necessario tra tutti i comproprietari, “non potendosi ammettere che tale accertamento – vincolante ai fini dell’esercizio del potere impositivo da parte del Comune in materia di imposta comunale sugli immobili -, possa condurre a valutazioni diverse in ordine alla natura dell’immobile medesimo”), o ancora a cass. n. 333 del 2014, che ammette l’intervento adesivo dipendente del Comune nella controversia tra contribuente ed Agenzia relativa ad accertamenti catastali, ordinanza, quest’ultima, che si pone nel solco di cass. n. 9567 del 2013 e n. 255 del 2012 (le quali, con interpretazione costituzionalmente orientata del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 3, hanno ritenuto ammissibile nel processo tributario l’intervento adesivo dipendente di terzi pur non destinatari dell’atto impositivo impugnato) nonchè di cass. n. 20803 del 2013 (secondo la quale è legittima la partecipazione di una Regione alla controversia in materia di IRAP, ancorchè la gestione del rapporto tributario sia devoluta esclusivamente all’Agenzia delle Entrate). 4. In conclusione, deve particolarmente ribadirsi che una lettura costituzionalmente orientata dell’inciso “promosse dai singoli possessori” di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2 consente di affermare che esso non riveste nell’economia della norma citata la funzione di delimitare la giurisdizione del giudice tributario (oltre che sul piano oggettivo) anche in riferimento al soggetto che adisce il giudice, nel senso che eventuali altri soggetti portatori di interesse ad una decisione giurisdizionale in materia non potrebbero adire alcun giudice ovvero potrebbero adire solo un giudice appartenente ad altra giurisdizione, giacchè una diversa interpretazione del suddetto inciso si porrebbe infatti (nella prima delle due possibili opzioni ermeneutiche) in contrasto, come sopra evidenziato, col diritto di azione costituzionalmente presidiato e (nella seconda) con alcuni dei valori fondanti del giusto processo, tra i quali vanno annoverati la stabilità delle decisioni, la funzionalità del processo e, innanzitutto, l’effettività della tutela giurisdizionale, che verrebbero di certo messi a repentaglio dalla concreta possibilità che sulla stessa questione intervengano decisioni contrastanti provenienti da giudici appartenenti alle diverse giurisdizioni alle quali il legislatore abbia (in ipotesi) riconosciuto la possibilità di conoscere del medesimo oggetto, con l’effetto che, ad esempio, le decisioni sulla congruità della rendita potrebbero essere legittimamente più di una e quindi la rendita di un medesimo immobile potrebbe essere congrua per il giudice amministrativo adito dal Comune e non congrua per il giudice tributario adito dal possessore-contribuente, senza che peraltro, come già rilevato, risulti previsto alcun rimedio per un simile “impasse”.

E’ infine da sottolineare (come di recente evidenziato da queste sezioni unite con sentenza n. 12310 del 2015) che la previsione costituzionale di un processo “giusto” impone al giudice nella esegesi delle norme di verificare sempre che l’interpretazione adottata sia necessaria e idonea ad assicurare le garanzie fondamentali in funzione delle quali le norme oggetto di interpretazione sono state poste, evitando che il rispetto di una ermeneutica sottratta alla suddetta imprescindibile verifica si traduca in concreto in uno spreco di tempi e/o di risorse e comunque in una riduzione o perdita di effettività della tutela giurisdizionale.

Pertanto, alla luce del dettato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 2, prevedente la giurisdizione del giudice tributario sulle controversie concernenti – tra l’altro – la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l’attribuzione della rendita catastale, ed escluso che l’inciso “promosse dai singoli possessori” sia idoneo a condizionare i limiti della giurisdizione riconosciuta al suddetto giudice, deve essere dichiarata la giurisdizione del giudice tributario anche nelle ipotesi in cui, come nella specie, la rendita o l’atto di classamento siano impugnate dal Comune e non (o non solo) dal contribuente.

In assenza di attività difensiva nessuna decisione va assunta in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.


La Corte a Sezioni Unite dichiara la giurisdizione del giudice tributario.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2015.

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