Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 20 settembre 2016, n. 18397

Illecito disciplinare di cui al d.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1 e 2 lett. a) e g) per avere arrecato ingiusto danno alla persona di un imputato sottoposto a custodia cautelare; e ciò per avere in due occasioni omesso di chiedere al G.I.P. la revoca degli arresti domiciliari per intervenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 20 settembre 2016, n. 18397

Svolgimento del processo

La dott.ssa omissis , sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, è stata incolpata, all’esito di un’ispezione ordinaria al Tribunale di Pisa, dell’illecito disciplinare di cui al d.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1 e 2 lett. a) e g) per avere arrecato ingiusto danno alla persona di un imputato (indicato nel capo di incolpazione) sottoposto a custodia cautelare; e ciò per avere in due occasioni omesso di chiedere al G.I.P. la revoca degli arresti domiciliari per intervenuta scadenza del termine massimo di custodia cautelare e, precisamente, allorché in data 2 novembre 2012 aveva espresso parere favorevole sull’istanza dell’imputato di modifica degli orari di lavoro esterno e in data 28 novembre 2012, quando, quale pubblico ministero, aveva presenziato all’udienza preliminare, sicché la cessazione dello stato custodiale era intervenuta, con un ritardo di 111 giorni, in data 15 febbraio 2013, allorquando gli atti erano pervenuti al Tribunale di Pisa, competente per il giudizio.
Con sentenza n. 39 in data 8 marzo 2016 la sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura (C.S.M.) ha ritenuto la dott. omissis responsabile dell’incolpazione ascrittale ed – esclusa l’applicazione dell’art. 3 bis d.Lgs. n. 109 del 2006 – le ha Irrogato (unitamente al G.I.P. cui era stata ascritta analoga incolpazione) la sanzione della censura, osservando che: a) in via di principio sussiste la responsabilità del magistrato, quando sia rilevabile una carenza di controllo da parte del giudice, depositario dell’obbligo di vigilanza sul rispetto dei termini custodiali e al quale compete l’adozione delle misure organizzative organizzative idonee a mantenere sempre sotto controllo i termini di scadenza; b) nella specie, lo stato di privazione della libertà personale dell’imputato era noto sia al P.M. che al G.I.P., già in epoca antecedente all’udienza preliminare, come si evinceva dallo stesso parere espresso dal primo e dal conseguente provvedimento del secondo; ed una normale diligenza avrebbe imposto – sia per il P.M. che per il G.I.P. – di acquisire gli atti del procedimento per effettuare, già in quella sede, un controllo sulla situazione del soggetto ristretto e in attesa di giudizio, quantomeno al fine di conoscere i motivi che avevano determinato l’applicazione della misura o il titolo dei reati ascritti all’imputato, anche perché, avuto riguardo al titolo di reato contestatogli, non era indifferente l’individuazione dell’orario in cui lo stesso sarebbe stato libero di circolare per svolgere il suo lavoro di badante; c) le condotte negligenti emergevano per tabulas anche in sede di udienza preliminare del 28 novembre 2012, risultando nel modulo prestampato presente nel fascicolo di udienza e intestato udienza preliminare, l’annotazione che l’imputato era stato autorizzato a comparire sotto scorta, con la conseguenza che andava disattesa ogni difesa, sia del P.M. che del G.I.P., intesa a far valere la concreta assenza di elementi in ordine alla sottoposizione dell’indagato a misura restrittiva, essendo emerso dai riscontri documentale che, a tal fine, darebbe stato sufficiente sfogliare il fascicolo di udienza.
Avverso questa decisione ricorre omissis, articolando due motivi.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte del Ministero della Giustizia.
La ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 1 e 2, co. 1 lett. a e g d.Lgs. n.109 del 2006 (art. 606, lett. b cod. proc. pen.). nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli atti del processo come specificamente individuati (art. 606, lett. b cod. proc. pen.). Al riguardo parte ricorrente deduce: a) che i magistrati cui incombe l’obbligo di vigilanza delle scadenze dei termini di custodia cautelare e dai quali è concretamente esigibile un obbligo di tal fatta sono esclusivamente il pubblico ministero, che risulta assegnatario e titolare del fascicolo, nonché il G.U.P. del procedimento; b) che la decisione impugnata ha, del tutto, ignorato il fatto che non vi era mai stato un provvedimento di assegnazione del fascicolo ad essa omissis , posto che di detto fascicolo era titolare altro magistrato della Procura (identificato in ricorso), il quale tale era rimasto, anche all’esito dell’udienza preliminare (come risultava dalla circostanza che lo stesso aveva predisposto personalmente la lista testi e, comunque, era confermato anche dall’intestazione della copertina del fascicolo del P.M.) e che, pur essendovi deputato, non aveva effettuato alcun controllo e rilievo in ordine al superamento dei termini custodiali di fase; c) che la decisione impugnata ha, quindi, ignorato le proprie difese e, segnatamente, che essa ricorrente aveva avuto un ruolo limitato, per essere stata chiamata a esprimere un parere su una modesta variazione di orario dell’orario lavorativo (30 min.), peraltro disimpegnando tale incombente nel corso di un turno particolarmente impegnativo e, comunque, facendo affidamento sullo stesso comportamento dell’indagato che aveva chiesto una variazione dell’orario di lavoro, senza lamentare la scadenza del termine; d) che anche all’udienza preliminare, essa omissis era presente in sostituzione e che, erroneamente, la sua posizione era stata parificata a quella del G.U.P., il quale solo aveva a disposizione il fascicolo e aveva altresì autorizzato l’indagato a recarsi con i propri mezzi all’udienza.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 3 bis d.Lgs. n.109 del 2006 (art. 606, lett. b cod. proc. pen.), nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli atti del processo come specificamente individuati (art. 606, lett. b cod. proc. pen.). Al riguardo parte ricorrente deduce l’erroneità della decisione anche nel punto in cui ha escluso l’esimente della scarsa rilevanza del fatto, posto: a) che il giudizio avrebbe dovuto articolarsi anche sul grado di colpevolezza, esaminando le circostanze addotte dalla difesa e segnatamente: il fatto che essa ricorrente non era titolare del fascicolo ed aveva dovuto occuparsene solo incidentalmente e sempre in via di urgenza, in un contesto di un notevole carico di lavoro; b) che del tutto illogicamente è stata equiparata, soprattutto in sede di udienza preliminare, la posizione del G.U.P. e del P.M.; c) che, a tutto voler concedere, il ritardo nella scarcerazione ad essa imputabile non era di 111 giorni, ma di appena sei giorni, quali quelli intercorsi tra i due episodi contestatele.
3. Il ricorso non merita accoglimento.
3.1. La condotta omissiva ascritta all’odierna ricorrente consiste nell’infrazione di cui all’art. 2 lett. g D.Lgs. n. 109 del 2006, in comb. disp. con la lett. a del medesimo art. 2, per avere omesso in due occasioni di richiedere la scarcerazione di un imputato, sottoposto al regime degli arresti domiciliari, nonostante la scadenza dei termini custodiali.
In particolare i dati di fatto emergenti dalla decisione impugnata, peraltro non controversi, sono i seguenti: il termine di custodia cautelare di fase era scaduto il 1 novembre 2012 e, quindi, successivamente (alla data del 3 settembre 2012) in cui il titolare del fascicolo aveva richiesto il rinvio a giudizio; il termine era, invece, ormai scaduto allorché (in data 21 settembre 2012) il difensore dell’imputato, prospettando che lo stesso era agli arresti domiciliari, richiedeva un mutamento dell’orario per svolgere l’attività lavorativa già in precedenza autorizzata (mutamento, per il quale, la dott. omissis , quale P.M. di turno, esprimeva parere favorevole); anche all’udienza preliminare del 28 novembre 2012 la dott. omissis
ometteva di rilevare la scadenza dei termini e, quindi, di assumere le relative conclusioni; infine lo stato custodiale cessava in data 15 febbraio 2013, allorché il fascicolo (istruito a Firenze ai sensi dell’art. 51 comma 3 quinquies cod. proc. pen.) perveniva a Pisa per il giudizio.
Ciò posto e considerato che in via di principio il comportamento del magistrato che omette di rilevare la scadenza dei termini custodiali è sicuramente idoneo a integrare la “grave violazione di legge” derivante da palese “negligenza inescusabile”, violativa anche del dovere di “diligenza” dei magistrati nell’esercizio delle funzione di cui all’art. 1, comma 1, del decreto legislativo sugli illeciti disciplinari del 2006 (cfr. ex multis, Sez. Unite 3 luglio 2012 n. 11069), si osserva che la difesa della ricorrente – in particolare con il primo motivo – è focalizzata su un duplice versante: da un lato si rimarca, la “non titolarità” del fascicolo, istruito da altro sostituto dello stesso ufficio del P.M., cui incombeva l’obbligo di “vigilare” sulla persistenza delle condizioni cui era subordinata la situazione custodiale, e, dall’altro, si evidenziano una serie di circostanze (il comportamento dello stesso difensore, che, per primo, tralasciava di rilevare la scadenza dei termini e, anzi, dava “per scontata” la non scadenza, chiedendo la variazione dell’orario di lavoro; la mole di lavoro espletata dall’incolpata durante il turno; le carenze del fascicolo a disposizione nel corso dell’udienza) che avrebbero concorso alla “non esigibilità” della condotta omessa.
3.2. Nessuno dei rilievi coglie nel segno.
Sotto il primo versante si osserva che le argomentazioni dell’incolpata, volte ad escludere la stessa titolarità del dovere rimasto inosservato, postulando un intervento limitato e occasionale nella vicenda, appaiono sostanzialmente affidate alle circostanze in cui si verificò il primo episodio contestato (quello relativo al parere espresso per la modifica dell’orario lavorativo), il quale, peraltro, nell’iter argomentativo della decisione impugnata assume una valenza secondaria, servendo principalmente ad evidenziare come la dott. omissis fosse già a conoscenza (o almeno fosse in grado di esserlo) della situazione custodiale dell’imputato, ancor prima dell’udienza preliminare. Soprattutto le stesse argomentazioni obliterano il dato che, almeno nel secondo dei due episodi ascritti, era la dott. omissis, quale rappresentante del P.M. in udienza, il magistrato su cui istituzionalmente incombeva l’obbligo di verificare la persistenza delle condizioni, anche temporali, cui la legge subordina la privazione della libertà personale di chi è sottoposto ad indagini, al fine di formulare le consequenziali richieste.
3.3. Sotto l’altro versante si rammenta – giusta principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte – che la disapplicazione della norma che impone la liberazione dell’indagato può essere giustificata solo da un elemento esterno all’illecito, necessario a delimitarne portata e funzione, cioè da una circostanza che rientri nella categoria delle c.d. “condizioni di esigibilità” dell’ottemperanza al precetto normativo, che impone i termini di carcerazione preventiva nella fase cautelare, oltre i quali la lesione del diritto di libertà diviene ingiustificata ed evidenzia la gravità della violazione di legge in rapporto all’inviolabile diritto fondamentale di libertà tutelato dalla carta costituzionale. In tale prospettiva è stato affermato da queste Sezioni Unite che sussiste grave violazione di legge, produttiva di responsabilità disciplinare del giudice per le indagini preliminari e del pubblico ministero, in caso di scarcerazione di un indagato oltre i termini di durata della custodia cautelare, non operando quali cause esimenti le difficoltà organizzative dell’ufficio, posto che solo circostanze esterne che impediscano in modo assoluto la scarcerazione possono giustificare la lesione del fondamentale diritto di libertà (sentenza 29 luglio 2013, n. 18191).
Orbene, nessuna delle circostanze su cui si appunta la difesa della ricorrente presenta siffatti caratteri, dovendo – con specifico riferimento alla condotta tenuta all’udienza preliminare – evidenziarsi come le deduzioni della ricorrente si infrangono contro la considerazione, in diritto, che eventuali carenze del fascicolo non si risolvono in cause di esonero da responsabilità e contro l’accertamento in fatto – quale svolto nella decisione impugnata e non sindacabile in questa sede – che entrambi i magistrati incolpati (sia il G.U.P. sia il P.M.) erano in grado di evincere la situazione custodiale dall’annotazione circa il trasferimento dell’imputato nell’aula di udienza.
3.4. Quanto, poi, al fatto che, in ultima analisi, abbia per così dire, “concorso” a non allettare il P.M. la stessa condotta del difensore dell’imputato, è sufficiente osservare che – quali che siano state le ragioni di tale condotta (“strategia difensiva” o, all’opposto, negligenza del legale) – si tratta di circostanza che, unitamente alle altre richiamate dalla ricorrente e allo stesso fatto (concorrente) eventualmente ascrivibile al titolare del fascicolo (anche per il periodo successivo all’udienza preliminare), può incidere (ed evidentemente ha inciso) sulla determinazione della sanzione nella misura minima di legge della “censura”, ma che non evidenzia una condizione di “inesigibilità” della condotta, nei termini sopra precisati.
3.5. Le considerazioni che precedono danno contezza anche del rigetto del secondo motivo, sostanzialmente incentrato sulle medesime circostanze di fatto.
Valga considerare che la previsione di cui all’art. 3 bis, D.Lgs. n. 109 del 2006, ai sensi del quale l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza, è applicabile a tutte le ipotesi previste negli artt. 2 e 3 del medesimo decreto, allorché, sebbene realizzatasi la fattispecie di illecito, il fatto, per particolari circostanze, anche non riferibili all’incolpato, non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico a tutela del quale un determinato comportamento è stato in astratto considerato dal legislatore idoneo ad integrare l’illecito stesso.
Ciò posto e precisato che il limitato arco temporale in cui si sono verificate le due condotte omissive, non vale ad escludere la (cor)responsabilità dell’incolpata per il periodo successivo all’udienza preliminare, fino all’emersione del superamento dei termini, si osserva che le valutazioni di cui all’art. 3 bis cit. costituiscono compito esclusivo della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, da svolgere sulla base dei fatti acquisiti al procedimento e prendendo in considerazione le caratteristiche oggettive della vicenda addebitata. Orbene siffatta valutazione, nel caso specifico, vi è stata ed è stata, altresì, sufficientemente motivata, avendo la sezione disciplinare escluso l’esimente “alla luce della evidente grave compromissione dell’immagine del magistrato, nonché del danno arrecato dalla privazione della libertà personale per un consistente periodo di tempo”.
4. In definitiva il ricorso va rigettato.
Nulla è da provvedere sulle spese in difetto di attività difensiva dell’intimato Ministero.
Si ravvisano i presupposto di cui all’art. 52 D.Lgs. n.196 del 2003, giusta richiesta formulata dalla ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Dispone, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. n.196 del 2003, che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici, o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi della ricorrente riportati nella sentenza.

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