Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 13 dicembre 2016, n. 25513

Il ricorso per cassazione proposto in base all’articolo 348-ter c.p.c. comma 3 contro la sentenza di primo grado non e’ soggetto a pena d’inammissibilita’ alla specifica indicazione della data di comunicazione o di notificazione, se avvenuta prima, dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello, in quanto l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, si riferisce unicamente agli atti processuali e ai documenti da cui i motivi d’impugnazione traggono il proprio sostegno giuridico quali mezzi diretti all’annullamento del provvedimento impugnato

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite civili

sentenza 13 dicembre 2016, n. 25513

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.

Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente di Sez.

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sez.

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez.

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28205-2013 proposto da:

REGIONE ABRUZZO, in persona del Presidente della Regione pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), per delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 260/2012 del TRIBUNALE di PESCARA depositata il 28/02/2012 (confermata dall’ordinanza n. 57/2013 della Corte d’Appello di L’Aquila depositata l’11/10/2013);

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/09/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato Marina RUSSO per l’Avvocatura Generale dello Stato;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per la procedibilita’ ed ammissibilita’ del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Pescara con sentenza n. 260/12 dichiarava il diritto di (OMISSIS), dipendente della Regione Abruzzo, alla perequazione della retribuzione individuale di anzianita’ a quella dei pari ruolo, in base alla Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2011, articolo 1 e condannava l’ente al pagamento delle differenze maturate.

Con ordinanza n. 57/13 resa ai sensi degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. e depositata l’11.10.2013, la Corte d’appello dell’Aquila dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Regione, per difetto d’una ragionevole probabilita’ d’accoglimento.

Pertanto, contro la decisione di primo grado la Regione propone ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 348-ter c.p.c., comma 3, cui allega copia dell’uno e dell’altro provvedimento (cioe’ della sentenza del Tribunale e dell’ordinanza d’inammissibilita’ della Corte d’appello). I motivi denunciano: 1) la violazione o falsa applicazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 1, comma 3, articolo 2, comma 3, e articolo 24, Legge Regionale Abruzzo n. 118 del 1998, articolo 1 e Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 come modificato dalla Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2008, articolo 1, comma 2, proponendo in subordine eccezione di legittimita’ costituzionale delle norme predette in relazione agli articoli 36 e 117 Cost.; 2) la violazione o falsa applicazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della Legge Regionale Abruzzo n. 118 del 1998, articolo 1 per come modificato dalla Legge Regionale Abruzzo n. 6 del 2005, articolo 43 e della Legge Regionale Abruzzo n. 16 del 2008, articolo 1, comma 2.

Nel resistere con controricorso (OMISSIS) eccepisce sia l’inammissibilita’ del ricorso, perche’ in esso non e’ stata indicata la data di comunicazione dell’ordinanza ex articolo 348-ter c.p.c., da cui decorre il termine di 60 gg. per impugnare la sentenza di primo grado; sia la sua improcedibilita’, in base all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, non avendo il ricorrente depositato unitamente al ricorso anche copia autentica dell’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello con la relativa comunicazione.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – L’ordinanza interlocutoria interpella queste Sezioni unite su due questioni tra loro interdipendenti: a) se, a pena d’inammissibilita’, il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’articolo 348-ter c.p.c., comma 3, (richiamato dall’articolo 436-bis c.p.c. per il rito del lavoro), debba indicare la data di comunicazione o di notificazione dell’ordinanza emessa dal giudice d’appello, al fine di verificare la tempestivita’ dell’impugnazione; e b) se a pena d’improcedibilita’ ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 1 e comma 2, n. 2 il ricorrente debba depositare (oltre alla sentenza impugnata) anche copia dell’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello, con la relativa comunicazione di cancelleria dalla cui data decorre il termine di 60 gg. previsto dall’articolo 325 c.p.c.

1.1. – Delle due problematiche, entrambe poste in funzione del controllo officioso del giudicato formale, solo la seconda nel caso specifico si attualizza nella sua pienezza, poiche’ – come da’ atto l’ordinanza interlocutoria – il ricorso e’ stato avviato per la notifica il 6.12.2013, e dunque entro i 60 gg. dal deposito dell’ordinanza della Corte territoriale, pubblicata l’11.10.2013. La giurisprudenza di questa Corte ha gia’ avuto occasione di chiarire, infatti, che pur in difetto della produzione di copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notificazione (adempimento prescritto dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove da esso risulti che la sua notificazione si e’ perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poiche’ il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestivita’ in relazione al termine di cui all’articolo 325 c.p.c., comma 2, (v. nn. 18645/15, 16817/14 e 17066/13). Traslato alla fattispecie, detto principio comporta che la notifica del ricorso per cassazione nei 60 gg. dall’emissione dell’ordinanza d’inammissibilita’ pronunciata dal giudice d’appello ai sensi degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c., dimostrando la tempestivita’ dell’impugnazione concentra l’indagine sui profili di procedibilita’ ex articolo 369 c.p.c., comma 1, n. 2.

Non di meno l’esame anche della prima questione s’impone nell’ambito d’una piu’ ampia ricostruzione sistematica, quale effetto della soluzione accolta sul requisito di procedibilita’ del ricorso.

Requisito che, in generale e secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (a partire dalla n. 19654/04 fino alla n. 3564/16), deve essere verificato con priorita’ perche’ dotato di pregiudizialita’ logico-giuridica rispetto al tema dell’inammissibilita’ del ricorso.

2. – Gli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. disciplinano, fuori dei casi in cui l’inammissibilita’ o l’improcedibilita’ dell’appello debba essere pronunciata con sentenza, la definizione reiettiva del gravame mediante un giudizio prognostico condotto con tecnica delibativa. Di riflesso le due conclusioni cui di recente sono pervenute queste Sezioni unite (sent. n. 1914/16), le quali, per implicazione logica da tale premessa, nel ricostruire i limiti d’impugnabilita’ di detta ordinanza hanno affermato che: a) la decisione che pronunci l’inammissibilita’ dell’appello per ragioni processuali, ancorche’ adottata con ordinanza richiamante l’articolo 348-ter c.p.c. ed eventualmente nel rispetto della relativa procedura, e’ impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che, come tale, non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame, differendo, cosi’, dalle ipotesi in cui tale giudizio prognostico venga espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti; h) detta ordinanza non e’ ricorribile per cassazione, nemmeno ai sensi dell’articolo 111 Cost., comma 7, ove si denunci l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, attesa la natura complessiva del giudizio “prognostico” che la caratterizza, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza ed a tutti i motivi di ciascuna di queste, ponendosi, eventualmente, in tale ipotesi, solo un problema di motivazione.

Dunque, se emessa nel rispetto delle regole che vi presiedono, l’ordinanza ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. rimette in gioco – ad evitare un vulnus di risulta all’articolo 111 Cost., comma 7, Cost. l’impugnazione per cassazione della sentenza di primo grado. Previsione, questa, che (unicum nel sistema) disarticola il nesso tra provvedimento impugnato e termine d’impugnazione, questo non collegandosi piu’ a quello ma all’atto conclusivo del giudizio intermedio di gravame.

Intuitiva la ricaduta sulla norma dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2. Supponendo (non a torto) la valenza prototipica di tale norma (“(n)eppure v’e’ dubbio che la lettera della disposizione normativa (…) non offre spazi interpretativi”: cosi’, in motivazione, S.U. nn. 2005 e 2006/09), nell’applicarla la giurisprudenza di queste S.U. l’ha fino ad oggi sostanzialmente riprodotta tal quale, cosi’ da rispettarne in maniera rigorosa lettera e ratio quale strumento di controllo, officioso e indisponibile, dei termini d’impugnazione. Unica variabile ammessa (a partire da S.U. n. 11932/98), la possibilita’ di depositare la sentenza impugnata non congiuntamente al ricorso, argomentando ex articolo 372 c.p.c., ma pur sempre nel medesimo termine dell’articolo 369 c.p.c., comma 1 (cfr. ex multis, a sezioni semplici, le nn. 25070/10, 6350/04, 13473/02, 12434/02 e 14240/00).

Tutto cio’ fino al limite estremo di ritenere irrilevante, quanto al deposito della copia autentica munita della relata di notifica, ove avvenuta, sia la non contestazione sia il deposito da parte del controricorrente, o comunque la presenza agli atti del fascicolo d’ufficio, di una copia autentica della sentenza impugnata con la relata di notificazione, benche’ in ipotesi dimostrativa della tempestivita’ del ricorso: cosi’ S.U. nn. 9005 e 9006/09 e le numerose e successive conformi delle sezioni semplici.

Tra le quali vale richiamare l’ordinanza n. 6706/13 (cui acide la n. 20883/15), la quale ha ritenuto che qualora risulti in forza di eccezione sollevata dal controricorrente, ovvero in base alle emergenze del diretto esame delle produzioni delle parti o del fascicolo d’ufficio – che la sentenza impugnata e’ stata notificata al ricorrente (ai fini del decorso del termine breve per l’impugnazione di cui all’articolo 325 c.p.c., comma 2), la Suprema Corte deve preliminarmente accertare se questi abbia assolto l’onere, previsto dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, di depositare la copia autentica della sentenza impugnata e la relata di notificazione entro il termine fissato dal medesimo articolo 369 c.p.c., comma 1 verifica cui essa e’ tenuta indipendentemente dal riscontro dell’osservanza del termine per proporre impugnazione, atteso che l’accertamento di un’eventuale causa di improcedibilita’ del ricorso, quale quella indicata, precede l’accertamento relativo alla sussistenza di una causa di inammissibilita’ dello stesso. Ancora e analogamente, nell’ipotesi in cui lo stesso ricorrente alleghi, espressamente o implicitamente, che la sentenza gli sia stata notificata, limitandosi a produrne una copia autentica senza la relata di notificazione, si e’ affermato che il ricorso per cassazione deve essere dichiarato improcedibile ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., senza che tale previsione integri una lesione dell’articolo 24 Cost. (v. sentenza n. 11376/10).

Perentorieta’ del termine di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 1; carattere sanzionatorio dell’improcedibilita’ e relativa certezza applicativa, a prescindere dal tempo in cui la causa e’ decisa e dal contenuto di altri atti; specificita’, officiosita’ e tendenziale speditezza del procedimento di cassazione come concepito dal legislatore; il tutto nel contesto del vincolo letterale del corredo normativo in esame, che non ammette equipollenti e che ha gia’ superato indenne il vaglio di costituzionalita’ sia pure (con un pronuncia d’inammissibilita’, la n. 471/92 della Corte cost., e) con riferimento al medesimo articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 3: queste le basi argomentative dell’indirizzo predetto e, segnatamente, di S.U. nn. 9005 e 9006/09 (su cui si ritornera’ infra).

2.1. – Il quale indirizzo, tuttavia, se riferito al caso che qui ne occupa perde l’automatismo della sua solida base positiva, e cio’ per due ragioni

La prima e’ di indole sistemica e denuncia il difetto di collegamento tra le norme in questione. Non e’ da dimostrare, ma solo da constatare che l’espressione “la relazione di notificazione, se questa e’ avvenuta” (articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, prima parte) non puo’ utilmente correlarsi al provvedimento di primo grado reso impugnabile per cassazione dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 3. Il termine c.d. breve entro cui proporre il ricorso decorre, infatti, dalla comunicazione o notificazione dell’ordinanza d’inammissibilita’, secondo quale avvenga per prima, salvo, in difetto, l’applicazione del termine c.d. lungo ex articolo 327 c.p.c., in tal senso dovendosi intendere la clausola di compatibilita’ che accompagna il richiamo a quest’ultima norma (cfr. nn. 25115/15, 15235/15, 15239/15 e 10723/14, cui acide S.U. n. 25208/15). Per contro, nessun problema particolare pone la permanente necessita’ che l’impugnata sentenza di primo grado sia depositata in copia autentica, immutate le esigenze di conoscenza e di certezza d’un provvedimento non altrimenti enucleabile dagli atti.

La seconda ragione risiede proprio nelle diverse condizioni di conoscibilita’ dell’ordinanza ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. Mentre le sentenze sono conservate in originale nell’apposito volume di cui all’articolo 35 disp. att. c.p.c., sicche’ e’ solo estraendone copia autentica che e’ possibile portarle a conoscenza del giudice dell’impugnazione con il dovuto grado di certezza, dal che l’onere imposto dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2; l’originale dell’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello, per contro, e’ parte integrante del relativo fascicolo d’ufficio, al pari della conseguente comunicazione, da effettuare mediante consegna del biglietto di cancelleria ovvero in forma telematica a mezzo posta elettronica certificata (articolo 134 c.p.c., comma 2, come sostituito dalla L. n. 183 del 2011, articolo 25, comma 1, lettera d), n. 1). Fascicolo la cui richiesta di trasmissione forma oggetto d’un diverso adempimento, prescritto dall’articolo 369 c.p.c., comma 3 che secondo la giurisprudenza di questa Corte e’ da ritenersi presidiato dall’improcedibilita’ non ex se (infatti questa non e’ espressamente prevista), ma solo in quanto per il tenore del motivo d’impugnazione l’esame del fascicolo appaia indispensabile ai fini del decidere (cfr. ex multis, S.U. nn. 145/99 e 764/95). E dunque piu’ che al ricorso si ha riguardo in tal caso al contenuto della censura.

E’ vero che anche l’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello puo’ non essere seguita dalla comunicazione della cancelleria, benche’ dovuta quando il provvedimento non sia stato emesso in udienza. Allo stesso modo la comunicazione stessa potrebbe essere stata effettuata in maniera tale da non includere l’intero contenuto dell’ordinanza (come invece prescrive l’articolo 45 disp. att. c.p.c., comma 2 modificato dal Decreto Legge n. 179 del 2012, articolo 16, comma 3, lettera e) convertito in L. n. 221 del 2012); o comunque essa puo’ essere stata eseguita in maniera tale da non lasciar comprendere neppure che si tratti d’un provvedimento emesso ai sensi degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c.. In tal caso, e’ stato affermato da questa Corte, la comunicazione del provvedimento e’ inidonea a far decorrere il termine di 60 gg. (v. la sentenza n. 18024/15; nel senso, invece, che ai fini in oggetto sia irrilevante che la comunicazione dell’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello sia integrale o non, cfr. la n. 23526/14). Ed ancora, prima o in assenza della comunicazione, l’ordinanza potrebbe essere stata notificata dalla parte vittoriosa.

In tutte queste ipotesi il termine d’impugnazione opera, in base agli articoli 326 e 327 c.p.c., in maniera non dissimile da quanto avviene nelle ipotesi ordinarie in cui esso si correla al medesimo provvedimento impugnato. Ma la differenza fisiologica tra i due contesti in raffronto resta intatta e, dunque, pone un problema interpretativo di nuova configurazione.

2.1.1. – Si tratta allora di stabilire se, nonostante le accennate differenze con il regime “ordinario”, anche nella fattispecie il ricorrente, oltre alla copia autentica della sentenza di primo grado, debba depositare, sotto la medesima comminatoria, pure la copia autentica dell’ordinanza d’inammissibilita’ con la (prova della) relativa comunicazione o notificazione. Se la tesi affermativa si legge nell’ordinanza di rimessione – stride sul piano letterale con l’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, sul piano teleologico e sistematico le relative ragioni valgono nella medesima misura anche nel caso in esame.

Sicche’ in definitiva l’interrogativo e’ se, cambiando cio’ che v’e’ da cambiare, detta norma sia applicabile anche al ricorso per cassazione proposto in base all’articolo 348-ter c.p.c., comma 3.

2.1.2. – Ad avviso di queste S.U. la risposta non e’ influenzata, in termini generali, dal carattere tassativo delle cause d’improcedibilita’ (come del resto d’inammissibilita’) dell’impugnazione, che escluderebbe un’applicazione analogica ma consentirebbe un’interpretazione estensiva. In disparte il sottile e tutt’altro che limpido discrimine tra l’uno e l’altro concetto (la necessita’ della cui storicizzazione non vale indagare in questa la sede), e’ il sistema stesso a non ammettere che la tecnica di controllo della ritualita’ dell’impugnazione registri un vuoto di disciplina; ed esige, pertanto, una soluzione di tipo completivo.

A reclamare ulteriormente la quale, confermando cosi’ la possibilita’ d’una lettura in chiave sistematica dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, concorre la giurisprudenza di questa Corte formatasi con riguardo al regolamento di competenza e al conseguente collegamento istituito tra detta norma e l’articolo 47 c.p.c., comma 2.

Con ordinanza n. 9004/09 queste S.U. hanno infatti affermato che in tema di ricorso per regolamento di competenza, qualora il ricorrente alleghi che la sentenza gli e’ stata comunicata in una certa data, l’obbligo del deposito, da parte dello stesso ricorrente, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, del biglietto di cancelleria da cui desumere la tempestivita’ della proposizione dell’istanza di regolamento (obbligo fissato, a pena di improcedibilita’, dal combinato disposto dell’articolo 47 c.p.c. e dell’articolo 369 c.p.c., comma 2 posto a tutela dell’esigenza pubblicistica della verifica della tempestivita’ dell’esercizio del diritto di impugnazione) puo’ essere soddisfatto o mediante il deposito del predetto documento contestualmente a quello del ricorso per cassazione (come previsto, per l’appunto, dal citato articolo 369, comma 2) oppure attraverso le modalita’ previste dall’articolo 372 c.p.c., comma 2 (deposito e notifica mediante elenco alle altre parti), purche’ nel termine fissato dallo stesso articolo 369 c.p.c., comma 1; deve, invece, escludersi ogni rilievo dell’eventuale non contestazione in ordine alla tempestivita’ del ricorso da parte del controricorrente ovvero del reperimento dei predetti documenti nel fascicolo d’ufficio o della controparte da cui risulti tale tempestivita’.

Ed anche la citata e coeva ordinanza S.U. n. 9005/09 si inscrive nel perimetro del medesimo indirizzo, essendo stata emessa in esito a tre ordinanze interlocutorie una delle quali su istanza ex articolo 42 c.p.c. Ne sono seguite le ordinanze nn. 21814/09, 2023/2011, 22765/2013 rese a sezioni semplici, e di recente la sentenza n. 16169/15 pronunciata in tema di ricorso per cassazione ai sensi della L. Fall., articolo 99, u.c..

2.1.3. – Nell’affrontare la questione in esame non si nega validita’ alla premessa che (come osservato in dottrina) all’interno dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2 la produzione della copia autentica del provvedimento impugnato e la prova della relativa notificazione in una certa data assolvono funzioni diverse, la seconda, a differenza della prima, riguardando specificamente l’osservanza del termine di cui all’articolo 325 c.p.c..

L’argomento, tuttavia, non si presta a produrre effetti decontestualizzanti, che’ diversamente proverebbe troppo. Se il legislatore ha avvertito la necessita’ di unificare il deposito della sentenza e della relata di notifica, se avvenuta, sotto la medesima comminatoria d’improcedibilita’ ex articolo 369 c.p.c., all’interprete non e’ dato di scindere tale prescrizione unitaria e di ricollocare altrimenti, all’interno del sistema, la verifica della tempestivita’ dell’impugnazione.

Ancora, non pare auspicabile che un tale risultato interpretativo si ammetta nel solo caso che qui ne occupa, cosi’ che resti ferma la soluzione inversa nel regime del ricorso per cassazione contro le sentenze d’appello o i provvedimenti emessi in unico grado di merito. Ragioni di coerenza sistematica vi osterebbero, non meno della dubbia correttezza di una mutilazione del concetto d’improcedibilita’ non adeguatamente e previamente giustificata.

Ne’, infine, sembra che la doppia polarita’ del discorso possa esprimersi in termini di conflitto tra il dato formale dell’articolo 369 c.p.c. e le esigenze funzionali sottese, esaudibili in altro modo attesa la ridetta disarticolazione tra l’atto che si impugna e quello da cui decorre il termine di ricorso. L’alternativa da sciogliere non e’ tra forma e sostanza, l’una non essendo logicamente in opposizione all’altra, ma tra l’espansione massima e quella minima della nozione d’improcedibilita’. Ed e’ su quest’ultima, allora, che occorre riflettere al fine di verificare se ed in qual misura vi rientri, qualificandosi cosi’ come omissivo, il mancato deposito della copia autentica dell’ordinanza d’inammissibilita’ adottata ex articolo 348-bis c.p.c. e articolo 348-ter c.p.c., comma 3, in una con la prova della sua (necessaria) comunicazione o (eventuale) notificazione.

(Salvo tale provvedimento sia stato pronunciato in udienza, nel qual caso il termine per proporre il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, da identificare in quello c.d. breve di cui all’articolo 325 c.p.c., comma 2, decorre dall’udienza stessa per le parti presenti, o che avrebbero dovuto esserlo, secondo la previsione di cui all’articolo 176 c.p.c.: v. l’ordinanza n. 25119/15).

2.2. – L’improcedibilita’, si e’ soliti affermare, e’ la sanzione che l’ordinamento prevede per l’inattivita’ della parte impugnante. Esattamente, nella sua nozione piu’ ristretta e, quindi, tecnicamente piu’ precisa (in un contesto legislativo che ne fa largo ed eterogeneo uso anche in norme a contenuto sostanziale), l’improcedibilita’ e’ definita da autorevole dottrina come “la conseguenza, di natura sanzionatoria e percio’ doverosamente testuale, di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto, espressamente configurato come necessario a tal fine, della sequenza di avvio di un dato processo”. Sempre secondo la dottrina, tale sanzione per difetto di specifiche attivita’ da compiersi in limine litis, riguarda non l’atto iniziale d’impulso ma uno immediatamente successivo; e’ considerata per lo piu’ di carattere irrimediabile; e il suo oggetto e’ un’attivita’ neutra, inidonea a influire in un senso o nell’altro sul merito della decisione finale, essendo diretta solo a far progredire la sequenza processuale.

Alla base del concetto di improcedibilita’ vi e’ (1) l’idea d’una regola d’accesso all’impugnazione (cfr. in motivazione S.U. nn. 9005-9006/09), che consenta al giudice, prima ancora di esaminarne le ragioni, di verificarne d’ufficio i presupposti d’ammissibilita’, che e’ onere dell’impugnante dimostrare; e (2) la scelta, di pura matrice positiva, di far prevalere la formazione del giudicato su possibili soluzioni rimediali.

E’ per questo che l’articolo 369 c.p.c. contiene un catalogo di presupposti, necessari e sufficienti, riscontrati i quali il giudice di legittimita’ puo’ procedere ad esaminare i motivi di ricorso, sempre che pure questi ultimi soddisfino i requisiti di forma-contenuto prescritti dall’articoli 366 c.p.c., presidiati a loro volta dalla sanzione d’inammissibilita’.

Ma nell’ipotesi del ricorso per cassazione proposto ai sensi dell’articolo 348-ter c.p.c., comma 3 non basta la sola copia autentica della sentenza di primo grado per comprendere se il ricorso possa essere esaminato nel suo contenuto assertivo. L’ammissibilita’ dell’impugnazione, come si e’ detto, in base a detta norma si ricava dall’ordinanza conclusiva del giudizio d’appello e dalla sua comunicazione o notificazione. Il difetto dell’una e dell’altra grava il ricorrente della relativa allegazione per poter fruire del termine dell’articolo 327 c.p.c. (come afferma, condivisibilmente, l’ordinanza n. 2594/16).

Inoltre, il deposito in copia autentica (non solo della sentenza di primo grado impugnata, ma) anche dell’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello e’ reso necessario pure ad altri e non meno importanti fini. E’ stato affermato da questa Corte (v. in motivazione, la n. 12034/14; conforme, la n. 6336/15) che nonostante la sostituzione, quale oggetto del giudizio di legittimita’, del provvedimento d’appello con quello di primo grado, resta pienamente in vigore la regola generale dell’articolo 329 c.p.c., nel senso che oggetto del ricorso per cassazione ex articolo 348-ter c.p.c. non possono essere questioni che siano gia’ precluse al momento della proposizione dell’appello dichiarato inammissibile per difetto di una ragionevole possibilita’ d’accoglimento, per essersi formato il giudicato interno per acquiescenza. Con la conseguenza (prosegue la n. 12034/14) che e’ indispensabile – ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3 – che nel ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione tanto dell’integrale motivazione dell’ordinanza ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c., quanto dei motivi d’appello, affinche’ sia evidente che sulle questioni oggetto del giudizio di legittimita’ non si sia formato alcun giudicato interno.

Dunque, e’ solo avendo a disposizione l’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello ex articolo 348-ter c.p.c., comma 3 e la prova della sua comunicazione o notificazione, che il giudice di legittimita’ e’ nelle condizioni di effettuare una compiuta verifica (dell’ammissibilita’ dell’impugnazione e dunque) della procedibilita’ del ricorso, una volta che il ricorrente abbia assolto anche gli altri oneri imposti dall’articolo 369 c.p.c..

2.2.1. – Nel porre mente ai quali, deve domandarsi se e quale contributo, nei limiti dell’economia del discorso, possa trarsi dal considerare l’ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello a stregua d’ogni altro atto o documento su cui si basi l’impugnazione, da depositare a pena d’improcedibilita’ ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (soluzione affermata, sebbene fugacemente, dalla sentenza n. 14183/14 anche con riguardo all’atto d’appello).

Tenuto conto che le ordinanze impugnate e le relative comunicazioni di cancelleria sono pur sempre atti del processo; che e’ indiscusso in ogni caso l’onere della parte di dimostrare la tempestivita’ del proprio ricorso; e che anche l’adempimento dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 e’ prescritto a pena d’improcedibilita’; tutto cio’ considerato, la questione sembrerebbe permanere nell’ambito eletto.

In realta’ detta norma allude ad altro, come dimostra la recente storia del contrasto giurisprudenziale cui ha dato luogo la sua interpretazione. Contrasto che queste S.U. con sentenza n. 22726/11 hanno risolto nel senso che l’onere del ricorrente, di cui all’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, cosi’ come modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 6 di produrre, a pena di improcedibilita’ del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” e’ soddisfatto, sulla base del principio di strumentalita’ delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilita’ ex articolo 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi.

Piuttosto, tale precedente appare particolarmente significativo per la sua valenza euristica, evidente li’ dove afferma che il principio di strumentalita’ delle forme debba “fare premio, in sede ermeneutica, sul “vantaggio” per la Corte di cassazione di disporre immediatamente degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda e che siano gia’ contenuti nel fascicolo d’ufficio, comunque destinato a pervenire nella sua disponibilita’ una volta richiestane la tempestiva trasmissione da parte del ricorrente. Che’, a ben vedere, l’alternativa sarebbe costituita dalla gravissima sanzione della declaratoria di improcedibilita’ del ricorso (ex articolo 387 c.p.c. non piu’ riproponibile) per non avere la parte prodotto atti di cui la Corte gia’ normalmente dispone nel momento in cui esamina il ricorso, o di cui puo’ agevolmente disporre, sollecitando l’invio del fascicolo d’ufficio alla cancelleria del giudice che ha emesso la sentenza impugnata nei casi, per vero abbastanza rari, in cui esso non sia ancora pervenuto al momento del primo esame del ricorso”

Un’indicazione, quest’ultima, che pone una prospettiva nuova di cui occorre tener conto.

2.3. – Una delle ragioni fondanti dell’indirizzo espresso da S.U. nn. 9005 e 9006/09 risiede, come si e’ accennato, nella natura sanzionatoria e tipicamente legale dell’improcedibilita’, e nella necessita’ di fissarne nel tempo l’esatto momento di rilevazione. In dette ordinanze si afferma che la parte e’ investita del potere di far procedere la propria azione purche’ secondo determinate modalita’ ed entro determinati termini. Scaduti i quali, “il potere cessa e scatta la sanzione”, cui si correla l’articolo 387 c.p.c. attraverso la previsione dell’irriproponibilita’ del ricorso anche se non sia spirato il termine fissato dalla legge. Vi si osserva, inoltre, che scardinata la regola dell’improcedibilita’ bisognerebbe ipotizzare l’uso senza tempo di strumenti e tecniche di recupero del medesimo potere processuale (esemplificando, l’articolo 372 c.p.c., la posizione assunta dal contraddittore o l’estensione dell’articolo 182 c.p.c.).

2.3.1. – Certo, deve osservarsi anche oggi, di vera sanzione si tratta; ne’, del resto, nell’interpretarne presupposti ed efficacia avrebbe senso distaccarsi anche solo a livello terminologico da un’espressione di indiscussa e radicata cittadinanza tanto in dottrina quanto in giurisprudenza.

Ma il punto e’ un altro e induce, per le considerazioni che seguono, a superare l’indirizzo espresso dalle pronunce nn. 9005 e 9006/09.

La soluzione, invero, deve essere resa compatibile con il principio d’effettivita’ della tutela giurisdizionale e del giusto processo, ai sensi degli articoli 24, 111 e 113 Cost. e articoli 6 e 13 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU, e richiede di non esaltare oltre misura i presidi di carattere formale che il legislatore ha previsto per l’accesso al rimedio di legittimita’.

Senz’altro, l’assoggettamento dell’azione giudiziale a termini e condizioni anche stringenti non e’ incompatibile con tale principio. Come si desume dalla giurisprudenza costituzionale, se e’ vero che dal principio del giusto processo discende il diritto ad un “equo vaglio giurisprudenziale”, cio’ non toglie che il processo stesso debba essere governato, per esigenze di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto va assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attivita’ (Corte cost. sentenze nn. 11/08 e 462/06 e ordinanza n. 163/10).

Tra le varie (e complesse) declinazioni del principio di effettivita’ della tutela giurisdizionale, particolare rilievo va riconosciuto al punto di equilibrio tra garanzia individuale e regola d’accesso all’impugnazione, per come esso vive nella giurisprudenza della Corte EDU.

La quale (come ricapitolata, con rinvii, e ribadita nella recente sentenza del 15 settembre 2016 – ricorso n. 32610/07 – Causa Trevisanato c. Italia, che ha escluso la violazione dell’articolo 6, par. l della Convenzione da parte dell’articolo 366-bis c.p.c.) afferma che il diritto a un tribunale” non e’ assoluto, ma si presta a limitazioni implicite inerenti alle condizioni di ammissibilita’ di un ricorso, in quanto esso richiede per sua stessa natura una regolamentazione da parte dello Stato, che gode a questo proposito di un certo margine di apprezzamento (v. Garcia Manibardo c. Spagna, n. 38695/97 e Mortier c. Francia, n. 42195/98); che in ogni caso, le restrizioni applicate non devono limitare l’accesso aperto all’individuo in una maniera o a un punto tali che il diritto risulti pregiudicato nella sua stessa sostanza; che esse si conciliano con l’articolo 6 § 1 della Convenzione solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalita’ tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (sentenza Guerin c. Francia del 29 luglio 1998), coordinando tra loro sicurezza giuridica e buona amministrazione della giustizia (Kemp e altri c. Lussemburgo, n. 17140/05); e che tale compatibilita’ delle limitazioni previste dall’ordinamento interno con il diritto di accesso a un tribunale riconosciuto dall’articolo 6 § 1 dipende dalle particolarita’ del procedimento di cassazione, tenendo conto del processo complessivamente condotto nell’ordinamento giuridico interno e del ruolo che svolge in quest’ultimo la Corte di cassazione, le regole d’accesso alla quale possono essere piu’ rigorose che per un appello (v. Khalfaoui c. Francia, n. 34791/97 e Beles e altri c. Repubblica ceca, n. 47273/99).

2.3.2. – Nell’ottica di tale giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la sanzione d’improcedibilita’ prevista dall’articolo 369 c.p.c. non pone problemi di per se’, sia perche’ incide non sulla possibilita’ di ricorso altrimenti concessa dalla legge, ma sulla prosecuzione del procedimento per l’inattivita’ della parte in un tempo ragionevole; sia perche’ attua un’altrettanto equilibrata sintesi tra esigenze di certezza e di buona amministrazione nel contesto di un rimedio, quale il ricorso per cassazione, il cui rilievo nell’ordinamento e’ tale da giustificare regole d’accesso piu’ rigorose. Lo scopo di detta norma, insomma, e’ senz’altro legittimo.

Cio’ che entra in crisi, invece, e’ la proporzionalita’ tra detto scopo e il mezzo impiegato allorche’ i requisiti di procedibilita’ in esame siano altrimenti dimostrati a stregua degli atti.

Va osservato, infatti, che nessuna sanzione e’ predicabile come fine a se stessa e irreversibile anche oltre la funzione che l’ordinamento le assegna, e ancor prima che l’infrazione alla norma sia dichiarata dal giudice. Lo stesso articolo 387 c.p.c. appena ricordato richiede un’apposita declaratoria d’inammissibilita’ o d’improcedibilita’ perche’ si consumi il potere processuale di riproporre il ricorso (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. tra le ultime massimate, la n. 7344/12). E se alle ridette condizioni e nei limiti del termine (ovviamente breve: v. sentenza n. 10388/05) d’impugnazione la parte puo’ addirittura esercitare un potere di emenda, e’ difficile sostenere che esigenze di celerita’ e d’ordine possano prevalere, nella loro visione anticipata, anche sulla dimostrazione del medesimo dato mancante prima che intervenga l’eventuale declaratoria d’improcedibilita’. Il riferimento, suggerito dalla citata S.U. n. 22726/11, e’ al terzo comma del medesimo articolo 369 c.p.c. e alla trasmissione del fascicolo d’ufficio che il ricorrente ha l’onere di richiedere alla cancelleria del giudice a qua, fascicolo che contiene l’originale dell’ordinanza d’inammissibilita’ ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. e, di regola, anche gli estremi della sua comunicazione. Allo stesso modo, le medesime informazioni potrebbero emergere anche dal fascicolo della parte controricorrente, che dovesse contenere la copia autentica dell’ordinanza d’inammissibilita’ notificata.

Pertanto, considerato che in materia processuale la sanzione svolge una funzione dissuasiva speciale senza alcuna pretesa di deterrenza generale, deve ritenersi che non debba essere sanzionata usque ad extremum una condotta omissiva i cui effetti siano stati altrimenti risolti senza danno o ritardo per la procedura.

3. – La seconda questione rimessa a queste Sezioni unite e’ se il ricorrente sia gravato dall’onere, a pena d’inammissibilita’ del ricorso per cassazione, di specificare nel ricorso se e in quale data abbia ricevuto la comunicazione o notificazione dell’ordinanza ex articolo 348-ter c.p.c., comma 3, secondo quale delle due sia intervenuta per prima.

In senso affermativo si e’ espresso un orientamento (v. sentenze un. 20236/15 e 23637/15), che ha ritenuto tale indicazione a stregua di un requisito di forma-contenuto del ricorso, affermando che “il riferimento univoco quale dies a quo di un termine perentorio incidente sullo sviluppo del processo – ad un incombente, quale la comunicazione della cancelleria, che puo’ definirsi normale, cioe’ necessario ed immancabile (…), rende evidente l’interesse pubblicistico evidentemente sotteso alla sollecita formazione del giudicato, indubbio presidio della tutela dei diritti della parte vittoriosa e quindi pienamente conforme ai principi costituzionali del giusto processo – alla decorrenza immediata del termine breve di impugnazione”. Con la conseguenza che sarebbe necessaria non solo la dimostrazione (che sarebbe poi controllata dalla Corte attraverso l’esame diretto degli atti), ma pure ed ancor prima “l’allegazione in ricorso del rispetto del termine breve dalla comunicazione dell’ordinanza di secondo grado (…) ai fini della stessa regolarita’ formale del ricorso”, tanto da precludere “perfino l’esame diretto degli atti al fine di verificare l’obiettiva sussistenza di tale tempestivita’ con le sole, intuitive, eccezioni (…) in cui la comunicazione non e’ prevista per speciali ed eccezionali disposizioni di legge, ovvero in cui la proposizione dell’impugnazione sia avvenuta essa stessa entro il termine di sessanta giorni dalla pubblicazione del provvedimento di secondo grado”.

A tale indirizzo, che sembra basarsi sul principio di autosufficienza del ricorso, si giustappone (senza tuttavia contrapporvisi, data la diversita’ della fattispecie ipotetica di riferimento) altro orientamento espresso in tema di regolamento di competenza, secondo cui “allorche’ il ricorrente abbia allegato di avere estratto copia della sentenza impugnata in una certa data (ovvero cio’ risulti dalla copia autentica della stessa), ma nulla abbia dedotto in ordine alla comunicazione della sentenza, o, addirittura, abbia allegato che non vi sia stata alcuna comunicazione, non puo’ presumersi che la comunicazione sia avvenuta prima del momento dell’estrazione della copia, o nel momento in cui questa fu rilasciata. Ne consegue che, in tal caso, il termine per impugnare non e’ quello dell’articolo 47 c.p.c., comma 2, ma quello previsto dall’articolo 327 c.p.c., e la Corte di cassazione, che eserciti il suo dovere d’ufficio di controllare la tempestivita’ dell’impugnazione, puo’ rilevarla dalla circostanza che non sia stato inserito nel fascicolo d’ufficio l’originale del biglietto di cancelleria relativo a detta comunicazione; tuttavia, ove manchi la trasmissione del fascicolo, la Corte deve sollecitarne d’ufficio la trasmissione, ferma restando la facolta’ del ricorrente di produrre, anche nel corso dell’adunanza per la camera di consiglio, la certificazione della cancelleria del giudice a quo attestante il difetto di comunicazione o una comunicazione successiva alla notificazione dell’istanza. Nel caso, infine, in cui, trasmesso il fascicolo, risulti che la comunicazione era avvenuta prima della proposizione dell’istanza di regolamento, questa va dichiarata improcedibile, per la violazione dell’articolo 369 c.p.c., comma 2” (cosi’ l’ordinanza n. 21814/09; conforme, la n. 14135/13).

3.1. – Ad avviso di queste Sezioni unite deve escludersi che l’espressa indicazione, all’interno del ricorso, della data in cui l’ordinanza emessa ai sensi degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. e’ stata comunicata o notificata, condizioni l’ammissibilita’ dell’impugnazione.

In disparte il rischio di proliferazioni pretorie in un settore per sua natura tipizzato, il che gia’ di per se’ sconsiglia l’impiego di nozioni di esclusivo conio giurisprudenziale, il principio di autosufficienza del ricorso appare del tutto estraneo alla questione. Sorto – nelle sue enunciazioni iniziali – con riguardo al vizio motivazionale, tale principio (che nella giurisprudenza di questa Corte ha talvolta sofferto di una certa qual ipertrofia), e’ stato ricondotto al suo giusto livello di rilevanza da S.U. n. 8077/12. Pronuncia, quest’ultima, che lo ha inteso come “corollario del requisito della specificita’ dei motivi di impugnazione, ora tradotto nelle piu’ definite e puntuali disposizioni contenute nell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (…) sicche’ l’esame diretto degli atti che la Corte e’ chiamata a compiere e’ pur sempre circoscritto a quegli atti e a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”.

Nel solco di tale precedente, va ulteriormente ribadito che ogni applicazione del principio di autosufficienza, operata con riguardo vuoi ai vizi in iudicando vuoi a quelli in procedendo (rispettivamente, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), attiene ad ogni modo al giudizio d’ammissibilita’ delle singole censure, e non del ricorso in se’ quale atto propulsivo del processo. E dunque, quando si parla di “principio di autosufficienza del ricorso per cassazione” occorre essere consapevoli dell’uso metonimico di tale espressione, che indica il contenente (il ricorso, appunto) per designare il contenuto (i singoli motivi e le censure ivi articolate).

3.1.1. – Cio’ chiarito, deve escludersi che l’ipotizzata inammissibilita’ poggi su di una base positiva. Questa non e’ ravvisabile nell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 il quale prescrive che il ricorso contenga la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. Se e’ vero, infatti, che anche la comunicazione di cancelleria o la notificazione ad opera della parte vittoriosa sono, come s’e’ detto innanzi, atti del processo, e’ pero’ certo che la norma suddetta non vi si possa riferire. Gli atti e i documenti (nonche’ i contratti collettivi) che in forza di tale disposizione devono essere richiamati sono quelli su cui si affida il ricorso, vale a dire quelli da cui i motivi d’impugnazione traggono il proprio sostegno giuridico nel candidarsi a idonei mezzi all’annullamento del provvedimento impugnato.

Le indicazioni di cui alla problematica in esame riguardano, invece, unicamente il controllo di tempestivita’ dell’impugnazione, che la Corte compie in via pregiudiziale rispetto allo scrutinio di “merito”. Pertanto, solo a patto di forzare il senso letterale e logico dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, puo’ affermarsi l’esistenza a carico del ricorrente dell’onere in questione.

Se ne deve concludere che, al pari di quanto la giurisprudenza di questa Corte ha ravvisato in tema di regolamento di competenza, la parte impugnante non sia tenuta a specificare nel ricorso an e quando della comunicazione o notificazione dell’ordinanza che abbia dichiarato l’appello inammissibile, essendo in potesta’ della Corte stessa verificare la tempestivita’ dell’impugnazione attraverso l’esame diretto degli atti, e cioe’ sia del fascicolo d’ufficio che di quelli di parte.

4. – Sulla base di quanto fin qui considerato, si formulano i seguenti principi di diritto:

“Nell’ipotesi di ordinanza d’inammissibilita’ dell’appello emessa ai sensi dell’articolo 348-bis c.p.c., per non avere l’impugnazione una ragionevole probabilita’ di essere accolta, il conseguente ricorso per cassazione proponibile in base all’articolo 348-ter c.p.c., comma 3, contro la sentenza di primo grado nel termine di 60 gg. dalla comunicazione dell’ordinanza stessa o dalla sua notificazione, se avvenuta prima, e’ soggetto, ai fini del requisito di procedibilita’ ex articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, ad un duplice onere, quello di deposito della copia autentica della sentenza di primo grado e quello, inerente alla tempestivita’ del ricorso, di provare la data di comunicazione o di notifica dell’ordinanza d’inammissibilita’. Tale secondo onere e’ assolto dal ricorrente mediante il deposito della copia autentica dell’ordinanza con la relativa comunicazione o notificazione; in difetto, il ricorso e’ improcedibile ai sensi dell’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 2, salvo in esito alla trasmissione del fascicolo d’ufficio da parte della cancelleria del giudice a quo, che il ricorrente ha l’onere di richiedere ai sensi del comma 3 del predetto articolo, la Corte, nell’esercitare il proprio potere officioso di verificare la tempestivita’ dell’impugnazione, rilevi che quest’ultima sia stata proposta nei 60 gg. dalla comunicazione o notificazione ovvero, in mancanza dell’una e dell’altra, entro il termine c.d. lungo di cui all’articolo 327 c.p.c.”.

“Il ricorso per cassazione proposto in base all’articolo 348-ter c.p.c., comma 3 contro la sentenza di primo grado, non e’ soggetto, a pena d’inammissibilita’, alla specifica indicazione della data di comunicazione o di notificazione, se avvenuta prima, dell’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello, in quanto l’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, si riferisce unicamente agli atti processuali e ai documenti da cui i motivi d’impugnazione traggono il proprio sostegno giuridico quali mezzi diretti all’annullamento del provvedimento impugnato”.

5. – Applicati al caso di specie, i suddetti principi di diritto consentono di affermare la procedibilita’ del ricorso. Come premesso, infatti, il ricorso e’ stato avviato per la notifica il 6.12.2013, e dunque nei 60 gg. dalla pubblicazione dell’ordinanza d’inammissibilita’ ex articoli 348-bis e 348-ter c.p.c., avvenuta l’11.10.2013.

L’ordinanza interlocutoria da’ atto del deposito dell’ordinanza che in effetti e’ agli atti e in copia autentica. Mentre nel ricorso la parte ricorrente ha dedotto di non aver avuto ne’ comunicazione ne’ notificazione dell’ordinanza, che’ in effetti tale provvedimento risulta essere stato pronunciato e letto in udienza.

P.Q.M

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