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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza n. 5473 del 5 marzo 2013

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati
Osserva
C. A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Roma n. 49-07-2010, depositata il 16.02.2010, con la quale -in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento e conseguente cartella di pagamento per IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 2002 adottato a seguito di risposta a questionario- la Commissione ha ritenuto che l’accertamento non fosse basato solo sugli studi di settore, avendo l’Agenzia tenuto presente -nella ricostruzione del reddito- i proventi derivanti dal contributo della società S. e le quote di ammortamento non risultanti in contabilità oltre a costi non inerenti.

D’altronde, il contribuente non aveva comprovato né che il reddito dichiarato corrispondesse a quello effettivo né che gli studi di settore (la cui applicazione era stata integrata da una precisa rilevazione analitica dei condomini di cui il contribuente risultava amministratore) non potessero trovare applicazione nella fattispecie.
Il C. ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.
L’Agenzia non si è costituita.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.

Il motivo di ricorso (rubricato come “insufficiente e carente motivazione, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 cpc”) appare inammissibile perché è connotato dal difetto del requisito di autosufficienza.
Nel censurare la decisione del giudice di appello per avere omesso di esaminare la “ampia documentazione” prodotta in giudizio (i verbali dei condomini amministrati da cui si dovrebbe desumere ciascun singolo compenso attribuito al contribuente) la parte ricorrente on solo non ha specificato dove e quando queste produzioni sarebbero state effettuate, ma non ha neppure descritte specificamente (e con dettaglio delle risultanze di detti verbali) quali sarebbero i diversi esiti a cui avrebbe dovuto giungere la verifica del giudicante se avesse tenuto conto del contenuto di tali asserite produzioni.
A tutto ciò la parte ricorrente avrebbe dovuto essere assolvere con modalità peculiarmente rigorose, alla luce delle considerazioni contenute nella sentenza impugnata dove si dice proprio che “il contribuente si limita ad affermazioni del tutto generiche ed astratte, senza fornire alcun valido elemento di prova”. In di fette di ciò non resta che concludere nei termini di cui si è detto.
Con il secondo motivo di ricorso (improntato alla violazione dell’art. 39 co. 2 lettera d) bis del DPR n. 600/1973) la parte contribuente si duole che il giudicante abbia ritenuto che la metodologia di accertamento non fosse di genere “induttivo puro”, per quanto l’Agenzia avesse effettuato una ricostruzione completamente automatica e basta sulla media dei compensi per l’anno verificato.
Il motivo, oltre che inammissibile per l’omessa autosufficiente ricostruzione del contenuto del provvedimento impositivo ai fini della vaglio della natura della metodologia ricostruttiva, appare anche evidentemente infondato.
Si è già detto, riassumendo il contenuto della motivazione del provvedimento impugnato, che l’Amministrazione ebbe a considerare non solo i dati analitici relativi al “contributo della società S. e le quote di ammortamento non risultanti in contabilità oltre a costi non inerenti” ma anche che l’Amministrazione tenne conto dei ciascuno dei condomini amministrati, sicchè l’unico dato induttivamente ricostruito risulta essere quello del compenso medio per ciascun incarico di amministrazione, a contrasto del quale non avrebbe potuto mancare al contribuente la maniera per dare analiticamente conto dei redditi effettivamente percepiti.
In ultimo, egualmente inammissibile appare il terze motivo di impugnazione, nel quale non sono specificamente indicate le norme di legge la cui violazione costituisce il vizio su cui la censura si fonda.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 10 settembre 2012

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle partì;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato, che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 2.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma il 16 gennaio 2013.

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