Suprema Corte di Cassazione 

sezione VI

sentenza n. 45619 del 13 novembre 2013

Motivi della decisione

1. Per mezzo del difensore  impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Roma che, confermando in punto di responsabilità la decisione resa dal Tribunale di Civitavecchia all’esito di giudizio abbreviato, ha ridotto -previa esclusione della ritenuta continuazione- a sei mesi di reclusione ed euro 1.400,00 di multa la pena inflittagli, con le già riconosciute attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’ art. 73 co. 5 L.S.,  per il reato di illecita detenzione per fini di spaccio e di offerta in vendita a tale F.M. di una piccola quantità di stupefacente del tipo hashish (trovato in possesso di complessivi gr. 6,5). Sostanza sequestrata insieme a della marijuana (gr. 1) ed a sostanza da taglio (mannite) rinvenute nell’abitazione dell’imputato.

I giudici di appello, condividendo le valutazioni formulate dalla sentenza di primo grado, hanno ribadito l’univocità degli elementi di prova raccolti nei confronti del P. integrati -in uno ai positivi esiti dei narco-test sulle sostanze in sequestro (hashish e marijuana)- dalla diretta osservazione dei carabinieri operanti (P. visto nell’atto di cedere al conducente di un autoveicolo, poi identificato per il M., un involucro di carta stagnola, che -avvedutosi della presenza dei militari- ripone subito in un portafogli che lascia cadere terra) nonché dalle dichiarazioni dell’acquirente M. – che ha riconosciuto di essere stato in procinto di acquistare per dieci euro una “‘stecca” di hashish dal P., affermando di avere gia in passato effettuato dallo stesso altri acquisti di analoga sostanza stupefacente.
2. Con il ricorso si enuncia un unico motivo di censura per violazione dell’art. 187 c.p.p. e difetto di motivazione, come di seguito articolato.
Erroneamente i giudici di appello hanno disatteso i rilievi espressi avverso la sentenza del Tribunale sulla mancanza di prova della natura stupefacente della sostanza trovata in possesso dell’imputato siccome non sottoposta a specifico accertamento chimico, sostenendo essere sufficiente il risultato del narco-test eseguito dalla polizia giudiziaria (pienamente utilizzabile nell’espletato giudizio allo stato degli atti). Tale circostanza non vale ad escludere la necessità di acquisire la prova della reale natura e dell’efficacia drogante della sostanza oggetto di imputazione alla luce del combinato disposto degli artt. 4442 e 529 c.p.p., potendo e dovendo il giudice del giudizio abbreviato al termine della discussione, ove non in grado di decidere allo stato degli atti, disporre l’acquisizione degli elementi indispensabili per la decisione e, quindi, ordinare una specifica indagine (perizia) tossicologica sulla presunta sostanza stupefacente. La sentenza impugnata, assumendo la sufficienza del dato offerto dal narco-test, incorre in vizio di motivazione perché l’indagine chimica è indispensabile anche per stabilire l’idoneità dell’effetto drogante della sostanza in sequestro e il suo coefficiente di principio attivo.
3. Il ricorso di R.P. deve essere rigettato per infondatezza dei prospettati rilievi censori.
Pacifica configurandosi (in quanto non posta in discussione dal ricorso) la ricostruita condotta dell’imputato manifestatasi con l’offerta in vendita dell’hashish direttamente osservata dai carabinieri operanti in epibilmente la Corte di Appello ha confermato la penale responsabilità del  P. sulla base delle emergenze delle indagini, tutte pienamente utilizzabili nel giudizio abbreviato, rappresentate -oltre che dai risultati del narcotest- dalle univoche indicazioni fornite dall’acquirente M. che ha affermato non solo di essere stato sul punto di concludere l’acquisto di una dose di hashish all’atto dell’intervento della p.g., ma di aver compiuto precedenti analoghi acquisti di hashish presso  il P.
Conclusione lineare e conforme all’indirizzo interpretativo di questa S.C., secondo cui per stabilire l’effettiva natura stupefacente di una determinata sostanza non si rende indispensabile far ricorso ad una perizia chimica tossicologica, quando altri mezzi di  prova conducano senza incertezze a tale risultato, come le dichiarazioni testimoniali (quali, nel caso di specie, quelle appunto rese dal tossicodipendente M.) e gli specifici accertamenti e servizi di osservazione della p.g. (cfr. ex plurimis: Cass. Sez. 5, 4.11.2010 n. 5130/11, Moltoni, rv. 249703; Cass. Sez. 3, 21.6.2012 n. 28556, Cianicoli, rv. 253149).
Mette conto aggiungere, d’altro canto, che -diversamente da quanto sembra sostenere il ricorso- il narco-test c.d. statico, compiuto su una determinata sostanza (diverso da quello c.d. dinamico “svolto su strada” per verificare la presenza farmacologica di narcotici nell’organismo dell’indagato) è un accertamento tecnico assistito da piena dignità scientifica. Il controllo, eseguito non dagli ufficiali di p.g. intervenuti ma da tecnici di laboratorio dell’organo di p.g. operante (polizia scientifica), consiste in un accertamento qualitativo mediante analisi speditiva utile per l’immediato  riscontro di sostanze stupefacenti, composto da una serie di saggi cromatici che consentono di riconoscere e distinguere con oggettività i principali alcaloidi e i cannabinoidi. Soltanto per valutare l’entità o indice del principio attivo presente nella sostanza occorre procedere a più approfondito (richiedente ovviamenteun maggior tempo) esame chimico-tossicologico sulla sostanza. Dato, quest’ultimo, non dirimente in casi in cui, come quello oggetto dell’odierno ricorso, la natura stupefacente della sostanza oggetto del reato di illecita cessione (o offerta in vendita) risulti confermata anche da altre fonti probatoria (dichiarazioni dell’acquirente) e sia stata comunque riconosciuta all’imputato l’attenuante del fatto lieve ex art. 73 co. 5 LS.. (non occorrendo per tal verso rilevare l’esatto numero di dosi droganti ricavabili dalla droga in sequestro desumibile dal suo principio attivo).

Al rigetto dell’impugnazione segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 18 luglio 2013

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