Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  14 novembre 2013, n. 25589

In fatto e in diritto

Nella causa indicata in premessa, è stata depositata la seguente relazione: “1. – La sentenza impugnata (Corte d’Appello Roma, 11/10/2011) ha, per quanto qui rileva, rigettato l’appello proposto da D.P., N. e A.G. (in qualità di eredi di U.G.) avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, che aveva rigettato, per mancanza di prova, la domanda di risarcimento dei danni subiti da U.G. e proposta nei confronti di S.P., a causa della caduta dalla scala a chiocciola che collegava l’attico al superattico di cui il P. era conduttore. La Corte Territoriale ha rigettato la domanda degli eredi G. escludendo la prova del nesso causale tra danno e cosa in custodia del P. di cui all’art. 2051 c.c., in quanto l’evento infortunistico a carico del G. doveva essere addebitato ad una sua disattenzione che, nell’arretrare verso la botola di collegamento con la scala era precipitato senza che la mancanza della ringhiera potesse essere considerata causa della stessa e dei conseguenti danni; ha escluso anche l’applicabilità delle regole di cui all’art. 2043 c.c., ritenendo che nessuna colpa poteva essere attribuita al P., alla luce del fatto che il G. aveva già verificato le condizioni del luogo e già riscontrato la presenza della scala a chiocciola priva di ringhiera. Affermava, inoltre, che a prescindere dalla obbligatorietà della presenza della ringhiera (che dalla CTU risultava doverosa per luoghi pubblici e non per abitazioni private alla luce del DPR 236/1989 emanato per il superamento delle c.d. barriere architettoniche), la scala non costituì la causa della caduta del G., posto che questa avvenne prima di iniziare la discesa e a causa di una sua disattenzione.
2. – Ricorrono per Cassazione gli eredi G. con tre motivi di ricorso; resistono con controricorso il P., la Immobiliare Villa Mazzanti S.r.l. e la Allianz S.p.a.. Le censure formulate dai ricorrenti sono:
2.1. – “Violazione dell’art. 2051 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 nella parte in cui la sentenza impugnata ritiene l’insussistenza delle condizioni di applicazione della norma senza attribuire rilievo all’effettivo stato dei luoghi ed in particolare della mancanza di una ringhiera o parapetto di protezione in cima alla scala a chiocciola in corrispondenza dell’ampio foro collocato sul pavimento del 6° piano (attico); sia, ancora, nella parte in cui il giudice di secondo grado non ricostruisce gli elementi costitutivi della norma non contrapponendo l’esame sull’incidenza del comportamento del danneggiato nella produzione dell’evento, con l’esame sulla natura della cosa e delle modalità che in concreto ne caratterizzano la fruizione come sostenuto dall’odierno conforme orientamento di legittimità (da ultimo Cass. n. 19154/2012)”; in particolare l’odierno ricorrente censura la statuizione della sentenza che esclude il nesso causale tra il bene da custodire e l’evento dannoso, trattandosi di responsabilità oggettiva che porrebbe una presunzione di responsabilità e un rischio di custodia, non presupponendo una colpa del custode;
2.2. – “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. nella parte in cui il giudice di secondo grado esclude il nesso eziologico tra il danno e la cosa in custodia (scala di collegamento con il sottotetto) in contrasto con le pacifiche risultanze probatorie in atti riconosciute dal giudice di primo grado ed il fatto accertato da questi ed illogicamente travisato dalla Corte circa la modalità della caduta “nella scala” e “non lungo la scala” a chiocciola e la strutturazione della scala stessa in cima alla quale si ha obbligo di posizionare una protezione (ringhiera o parapetto) che escluda le cadute nel vuoto, collegata o meno che sia alla sua struttura da un corrimano”;
2.3. – “Violazione del DM 236/89 in relazione all’art. 360 n. 3 nella parte in cui la Corte di merito ritiene erroneamente che lo stesso sia applicabile “per i soli luoghi pubblici e non per le abitazioni private”, mentre la predetta normativa risulta essere imposta alla generalità degli edifici anche se non determina una sua immediata applicazione ed è rilevabile dalla stessa rubricazione qui riportata “le prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visibilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche””.

3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
3.1. – I primi due motivi di ricorso – suscettibili di essere trattati congiuntamente data l’intima connessione, riguardando entrambi la ricostruzione dell’evento – implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito.

In particolare, il consolidato orientamento di questa S.C. afferma che, in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 cod. civ. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non assume rilievo in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno.

Ne consegue, l’inversione dell’onere della prova in ordine al nesso causale, incombendo comunque sull’attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo e sul convenuto la prova del caso fortuito. Sia l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità oggettiva che quello in ordine all’intervento del caso fortuito che lo esclude involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. n. 6753/2004).

L’attore che agisce per il riconoscimento del danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale (Cass. 4279708; 20427708; 5910/11 secondo cui la norma dell’art. 2051 cod. civ., che stabilisce il principio della responsabilità per le cose in custodia, non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra queste ultime e il danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa – Principio enunciato ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, cod. proc, civ.).
La sentenza impugnata, invece, ha congruamente spiegato le ragioni della propria decisione, proprio esaminando gli elementi la cui considerazione il ricorrente assunse che sia stata erroneamente valutata, affermando che il G. non ha dato prova del nesso causale tra danno e cosa in custodia e che, esaminati in modo compiuto gli elementi probatori acquisiti, non emergeva in alcun modo che l’infortunio fosse scaturito dalla condizione intrinseca della scala a chiocciola, quanto da una disattenzione imputabile unicamente all’odierno ricorrente.
Senza considerare che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazioni, di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, di parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. n. 7394 e 16698 del 2010). Nel primo motivo, invece, l’assunta violazione di legge si basa sempre e presuppone una diversa ricostruzione delle risultanze di causa, censurabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione, me nei limiti di deducibilità di detto vizio.
Inoltre, il terzo motivo di ricorso è privo di rilevanza e non coglie, comunque, l’effettiva ratio decidendi, avendo la Corte d’Appello statuito che la caduta avvenne per comportamento colposo del G., “a prescindere dalla circostanza della obbligatorietà o meno della presenza della ringhiera” sulla scala a chiocciola, con conseguente difetto d’interesse ad impugnare dei ricorrenti in ordine all’indicato profilo.
4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c. ed il rigetto dello stesso.”
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
La Immobiliare Villa Mazzanti S.r.l. e Allianz hanno presentato memoria insistendo per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;
che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza nel rapporto con la parte costituita;
visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida, a favore di ciascuna parte costituita, in Euro 2800,00=, di cui Euro 2600,00= per compensi, oltre accessori di legge.

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