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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza n. 10853 del 8 maggio 2013

Ordinanza

 
Fatto e diritto

E.C. veniva raggiunto da verbale di contestazione dell’8 ottobre 2005 elevato dai carabinieri di San Benedetto del Tronto per violazione dell’art. 82 CdS, in quanto trasportava su un autocarro destinato al trasporto di cose, in quel momento scarico, la moglie A.T. .
Il trasgressore esibiva ai verbalizzanti atto di costituzione di impresa familiare e impugnava invano l’atto davanti al locale giudice di pace.
Anche il tribunale di Ancona rigettava il gravame.
La sentenza qui impugnata, resa il 5 ottobre 2010 e notificata il 21 dicembre successivo, rilevava che il conducente non aveva provato che il di lui coniuge era trasportato al fine di aiutare “per il carico scarico della merce”, cosicché riteneva sussistente la violazione.

Coccia ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 febbraio 2011.
Costituendosi per il Prefetto intimato, l’avvocatura dello Stato ha resistito con controricorso.
È stata depositata e comunicata relazione preliminare ai sensi dell’art. 380 bis cpc.
L’unico motivo di ricorso lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 82 del d.lgs. n.285 del 1992.
Parte ricorrente sostiene che la T. era legittimata a viaggiare sul veicolo in quanto facente parte “dell’impresa familiare intestataria del mezzo”.
Aggiunge che non è necessario che il veicolo viaggi carico, potendo essere condotto, da vuoto, ad eseguire un carico.
La censura è priva di pregio.
Ai sensi dell’art. 54 CdS lett. d) gli autocarri sono veicoli destinati al trasporto di cose e delle persone addette all’uso o al trasporto delle cose stesse.
Questa disposizione va interpretata nel senso che il conducente (che può essere uno dei proprietari o un suo incaricato, circostanza del tutto indifferente ai fini dell’uso) può liberamente viaggiare, se da solo, trasportando merci o per un fine connesso alla destinazione del mezzo, ma può anche condurre con sé persone, se queste – indipendentemente dalla qualifica (soci, dipendenti, etc.) – sono addette al trasporto di merci. Correttamente quindi il giudice di appello ha rimproverato all’opponente di non aver dato la prova che la presenza dell’accompagnatrice sul veicolo fosse stata ammessa in vista di un servizio di trasporto.
Il ricorrente avrebbe cioè dovuto dimostrare che egli e la moglie, con il mezzo vuoto, stavano recandosi in luogo in cui era prevista l’effettuazione di un carico merci.
Tale prova non è stata offerta, né risulta che in sede di accertamento sia stata almeno prospettata tale eventualità; consta anzi che dal primo momento l’opponente abbia sostenuto che il coniuge, in quanto componente dell’impresa familiare, sarebbe stato legittimato a circolare, in qualità di trasportato, sull’autocarro.
Questa tesi è infondata, non solo perché contrastante con la lettera della norma, che prevede la possibilità del trasporto di persone, da parte dell’unico conducente, soltanto in funzione del trasporto, ma anche perché logicamente insostenibile. Da essa discenderebbe infatti la possibilità del libero utilizzo di un autocarro a fini diversi da quelli del trasporto merci, soltanto grazie all’artificio di intestarne la proprietà a più soggetti, in numero anche elevato.
Ciò è quanto il legislatore ha voluto evitare con le disposizioni di cui agli artt. 54 e 82 c.p.c., che sanzionano l’uso degli autocarri all’obliquo fine del trasporto di persone.
Il Collegio condivide e fa proprio il contenuto della relazione preliminare, che è stato qui riportato.
Va pertanto affermato che sussiste la violazione di cui all’art. 82 c. 8 C.d.S., qualora sia trasportata su un autocarro, veicolo destinato, secondo l’art. 54 lett. D) del codice, al trasporto di cose e delle persone addette all’uso o al trasporto delle cose stesse, una persona estranea al servizio di trasporto, ancorché si tratti di componente dell’impresa familiare per conto della quale il conducente (nella specie titolare dell’impresa esercitata sotto forma di impresa familiare) sta eseguendo il trasporto. Discende da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate come da notula in Euro 1.690 per compenso, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 1690.

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