cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 8 ottobre 2015, n. 20180

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4636/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

(OMISSIS) SCPA, (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 181/2013 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI di OSTIA del 29/04/2013, depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI.

 

FATTO E DIRITTO

 

(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi avverso la sentenza del 30.4.2013 con la quale il tribunale di Roma – sezione distaccata di Ostia – in un giudizio di risarcimento danni da sinistro stradale dalla stessa proposto nei confronti di (OMISSIS) scpa, in proprio e n.q. di rappresentante di (OMISSIS) spa, e di (OMISSIS) ed (OMISSIS) -, aveva rigettato l’appello confermando la sentenza con la quale il giudice di pace aveva condannato in solido i convenuti al pagamento della somma di euro 6.242,81 a titolo di risarcimento danni.

Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli articoli 190 e 352 c.p.c..

Il motivo e’ fondato.

La Corte di legittimita’, da ultimo, con sentenza 9.4.2015 n. 7086 si e’ pronunciata sul punto affermando il seguente principio di diritto: “La sentenza la cui deliberazione risulti anteriore alla scadenza dei termini ex articolo 190 c.p.c., nella specie quelli per il deposito delle memorie di replica, non e’ automaticamente affetta da nullita’, occorrendo dimostrare la lesione concretamente subita in conseguenza della denunciata violazione processuale, indicando le argomentazioni difensive – contenute nello scritto non esaminato dal giudice – la cui omessa considerazione avrebbe avuto, ragionevolmente, probabilita’ di determinare una decisione diversa da quella effettivamente assunta”.

Il principio enunciato si pone in contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale di questa Corte per il quale e’ nulla, per violazione del principio del contraddittorio, la sentenza emessa dal giudice prima della scadenza dei termini dal medesimo fissati ex articolo 190 c.p.c., impedendo in tal modo al difensore della parte di svolgere nella sua pienezza il diritto di difesa.

Il principio del contraddittorio, infatti, non e’ riferibile soltanto all’atto introduttivo del giudizio, ma deve realizzarsi nella sua piena effettivita’ durante tutto lo svolgimento del processo e, quindi, anche con riferimento ad ogni atto o provvedimento ordinatorio, in relazione al quale si ponga l’esigenza di assicurare la presenza in causa e la diretta difesa di tutti gli interessati alla lite.

Viola quindi il detto principio, determinando la nullita’ della sentenza emessa, il giudice che decida la causa prima della scadenza dei termini dal medesimo fissati, ex articolo 190 c.p.c., impedendo, in tal modo al difensore di una parte di svolgere nella sua completezza il proprio diritto di difesa e cio’ senza che, ai fini della deduzione della nullita’ con il mezzo di impugnazione, la parte sia onerata di indicare se e quali argomenti non svolti nei precedenti atti difensivi avrebbe potuto svolgere se le fosse stato consentito il deposito della conclusionale.

La norma di cui all’articolo 190 c.p.c., descrive un modo di svolgimento della fase di decisione della causa, la cui mancata osservanza da luogo a nullita’ del procedimento (articolo 156 c.p.c., comma 2) e della sentenza (articolo 159, comma 1), perche’ l’illustrazione delle conclusioni, che i difensori fanno nelle comparse, e le osservazioni che possono contrapporvi nelle repliche rappresentano un complemento dell’esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio tra le parti (fra le varie Cass. ord. 5.4.2011 n. 7760; Cass. 24.3.2010 n. 7072; Cass. 3.6.2008 n. 14657; Cass. 10.3.2003 n. 6293).

A tale orientamento questo Collegio presta convinta adesione per le ragioni che seguono.

Il primo orientamento fa leva sul principio della lesivita’ in concreto delle nullita’.

Tale principio trova la propria fonte di legittimazione nel principio costituzionale della ragionevole durata del processo e nella sua implicazione operativa dell’efficienza processuale: invero, una nullita’ che non produce alcun danno in concreto (quindi, siamo in presenza di una nullita’ tipica, ma non lesiva) non accresce la giustizia del processo, ma ne mina la sua ragionevole durata.

E tale orientamento trova ulteriore legittimazione nella giurisprudenza della Corte EDU il cui diritto vivente – formatosi attraverso reiterate conformi affermazioni – e’ nel senso che le violazioni del diritto di difesa non devono essere ipotetiche e virtuali, ma effettive e concrete.

Ma l’indirizzo che qui si confuta – valido in linea di principio – soffre una vistosa eccezione nel caso di violazione di termini perentori fissati dalla legge.

Qui la lesivita’ e’ in re ipsa e non deve essere accertata in concreto e caso per caso per la semplice ragione che e’ il legislatore a fissare tale lesivita’.

In altri termini, nel momento in cui il legislatore fissa un termine perentorio ha evidentemente giudicato che un termine inferiore lederebbe il diritto di difesa.

Si tratta di una valutazione legale tipica che e’ implicita in ogni fissazione di termini perentori.

Altrimenti la perentorieta’ del termine non avrebbe alcun senso giuridico.

In conclusione, risponde alla logica del giusto processo e della sua ragionevole durata ancorare – in linea di principio – la nullita’ alla lesione in concreto del diritto di difesa:

con la conseguenza radicale che – in mancanza di lesivita’ – viene a mancare l’interesse ad eccepire la nullita’ (siamo in presenza, per cosi’ dire, di una nullita’ inerte, in quanto improduttiva di danno).

Ma questo principio va derogato nel caso dei termini a difesa perche’ in questi casi il legislatore – con valutazione legale tipica ancorata ai principi di razionalita’ e normalita’ (cioe’ il legislatore ritiene secondo l’id quod plerumque accidit che termini inferiori pregiudichino l’effettivita’ della difesa) – ha stabilire in astratto e una volta per tutte che la violazione del termine produce la lesione del diritto di difesa.

In definitiva, nel caso dei termini a difesa, il giudizio sul danno alla difesa e’ fatto dal legislatore e non dal giudice.

E’ quindi in re ipsa: la violazione automaticamente comporta la lesione del diritto di difesa, lesione che non ha bisogno di essere provata dalla parte che la eccepisce.

Conclusivamente, e’ accolto il primo motivo; sono dichiarati assorbiti gli altri; la sentenza e’ cassata in relazione, e la causa e’ rinviata al tribunale di Roma – sezione distaccata di Ostia in persona di diverso magistrato.

Le spese sono rimesse al giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti gli altri. Cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, al tribunale di Roma – sezione distaccata di Ostia in persona di diverso magistrato.

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