Cassazione logo

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

 sentenza  6 marzo 2014, n. 5303

Svolgimento del processo

La sig.ra D.S., cittadina australiana, ricorse al Tribunale di Verona avverso il diniego di rinnovo del suo permesso di soggiorno per motivi familiari in quanto coniugata con un cittadino italiano dal 2006, diniego pronunciato dal Questore il 5 aprile 2011. Il Tribunale rigettò il ricorso.
La Corte di Venezia, adita con appello della soccombente, ha confermato la sentenza di primo grado sul rilievo del difetto del requisito della convivenza tra i coniugi, ai sensi dell’art. 19, comma 2 lett. c), d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, necessario non potendosi applicare all’appellante la disciplina di cui al d.lgs. 6 febbraio 2007, n. 30, che da tale requisito prescinde, essendo ella priva della carta di soggiorno di cui all’art. 10 del medesimo decreto legislativo. La Corte ha altresì negato la conversione del precedente permesso di soggiorno per motivi familiari, scaduto il 1° dicembre 2009, in permesso per motivi di lavoro «trattandosi di questione che esula dal presente giudizio» .
La sig.ra S. ha proposto ricorso per cassazione con un solo motivo di censura. L’amministrazione intimata ha resistito con controricorso.

Motivo della decisione

1. – Con l’unico, complesso motivo di ricorso si denuncia violazione del d.lgs. n. 30 del 2007 e dell’art. 19, comma 2 lett. c), d.lgs. n. 286 del 1998, nonché vizio di motivazione. Precisato che il 1° dicembre 2008 era stato rilasciato alla ricorrente permesso di soggiorno per motivi familiari ai sensi degli artt. 19, comma 2 lett. c), d.lgs. n. 286 del 1998 e 28 d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394 scaduto il 1° dicembre 2009, del quale la medesima ricorrente aveva chiesto il rinnovo il 30 marzo 2010, si deduce che la Corte d’appello abbia errato:
a) nel non applicare la disciplina di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, cit., che consente il soggiorno in Italia del coniuge di un cittadino di uno stato membro dell’Unione Europea – dunque anche di un cittadino italiano, come nella specie – a prescindere dalla convivenza col medesimo, nonostante la ricorrente sia rimasta vedova nelle more del presente giudizio, sussistendo comunque i requisiti di cui all’art. 12, comma 2 lett. a), d.lgs. cit. e in particolare la durata ultratriennale del matrimonio;
b) nel negare quantomeno la conversione del precedente permesso di soggiorno per motivi familiari in permesso per lavoro subordinato, avendo la ricorrente un regolare impiego quale badante.
2.1. – La censura sub a) è fondata nei sensi che seguono.
Riguardo all’ambito di applicazione della disciplina della coesione familiare di cui al d.lgs. n. 30 del 2007, rispetto a quella di cui al d.lgs. n. 286 del 1998, questa Corte ha affermato, con la sentenza n. 17346 del 2010, che il familiare coniuge del cittadino italiano (o di altro stato membro dell’Unione Europea), dopo aver trascorso nel territorio dello stato i primi tre mesi di soggiorno “informale”, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 30 del 2007 e, sino al momento in cui non ottenga detto titolo (avente valore costitutivo per l’esercizio dei diritti nell’Unione Europea), la sua condizione di soggiornante regolare rimane disciplinata dalla legislazione nazionale, in forza della quale, ai fini della concessione e del mantenimento del permesso di soggiorno per coesione familiare (artt. 19, comma 2 lett. c), d.lgs. n. 286 del 1998 e 28 d.p.r. n. 394 del 1999), è imposta la sussistenza del requisito della convivenza effettiva.
Tale affermazione, confermata da Cass. 6315/2010 (non sono invece in termini Cass. 15294/2012 e Cass. pen. 7912/2013, richiamate dal PM nella discussione orale), è stata poi ridimensionata da Cass. 12745/2013. La quale ha osservato come la medesima trovi giustificazione nell’esigenza di prevenire situazioni di abuso del diritto tenute in considerazione sia dalla normativa comunitaria (art. 35 della direttiva 2004/38/CE) sia da quella interna (art. 30, comma 1 bis, d.lgs. n. 286 del 1998) e si riferisca, in sostanza, alla sola ipotesi di prima richiesta del titolo di soggiorno allo scadere del periodo di tre mesi di soggiorno “informale” di cui all’art. 6 d.lgs. n. 30 del 2007, non anche all’ipotesi di rinnovo di precedente titolo di soggiorno, disciplinata invece dal d.lgs. n. 30 del 2007 – dunque prescindendo dal requisito della convivenza – ed ha confermato che non è di ostacolo al riconoscimento del diritto di soggiorno per coesione familiare ai sensi di tale decreto legislativo l’eventuale precedente ingresso o soggiorno irregolare del richiedente, secondo l’insegnamento della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 25 luglio 2008 n. C-27; quanto alla giurisprudenza nazionale cfr. Cass. nn. 3210 e 13112 del 2011).
Il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento di cui a Cass. 12745/2013, cit., al quale ben può ricondursi la fattispecie qui in discussione, concernente richiesta tardiva di rinnovo di precedente permesso di soggiorno per motivi familiari, senza che occorra riesaminare il principio in precedenza enunciato da Cass. 17346/2010, cit., con riferimento alla diversa fattispecie di prima richiesta di titolo successivo al periodo di soggiorno “informale”.
Tanto chiarito, restano da svolgere due ulteriori considerazioni.
La prima consiste nel rispondete all’argomentazione, svolta nel controricorso, secondo cui anche in base alla direttiva 2004/38/CE, e dunque al d.lgs. n. 30 del 2007, che ne è attuazione, il diritto al soggiorno in Italia del coniuge extracomunitario di un cittadino italiano avrebbe come presupposto la convivenza, essendo espressamente esclusa (dall’art. 35 della direttiva, cui va aggiunto l’art. 30, comma 1 bis, d.lgs. n. 286 del 1998) la rilevanza di matrimoni fittizi o di convenienza. La risposta è che il matrimonio fittizio o di convenienza, ossia contratto al solo scopo di conseguire il diritto al soggiorno, è cosa ben diversa dalla convivenza intesa come requisito meramente oggettivo del diritto al soggiorno (cfr. anche Cass. 12745/2013, cit, in motivaz.), della quale si discute in questa sede.
La seconda considerazione attiene al dato di fatto, estraneo alla sentenza impugnata ma pacifico in causa essendo riferito sia nel ricorso che nel controricorso, dell’avvenuto decesso del marito della ricorrente; circostanza di cui dovrà tenersi conto nel giudizio di rinvio essendo le condizioni dell’azione da valutare alla data della decisione. Ad avviso della ricorrente, come si è visto, il suo stato vedovile non osterebbe al rilascio del titolo di soggiorno per ragioni familiari in base al disposto dell’art. 12, comma 2 lett. a), d.lgs. n. 30 del 2007, relativo ai casi di divorzio o annullamento del matrimonio ma applicabile analogicamente a quello di decesso del coniuge. Ciò non è del tutto esatto. E’ esatto che il sopraggiunto stato vedovile non osta, di per sé, al rilascio del titolo di soggiorno per motivi familiari, ma non ai sensi della disposizione invocata dalla ricorrente, che non vi è ragione di applicare analogicamente: l’ipotesi in questione è, infatti, espressamente prevista da altra norma, l’art. 11 del medesimo decreto legislativo, che al comma 2 detta le condizioni in base alle quali il familiare extracomunitario conserva il diritto al soggiorno dopo la morte del congiunto cittadino di uno stato dell’Unione Europea (e cioè che i familiari non aventi la cittadinanza di uno stato membro dell’Unione «abbiano soggiornato nel territorio nazionale per almeno un anno prima del decesso del cittadino dell’Unione ed abbiano acquisito il diritto di soggiorno permanente di cui all’art. 14 o dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata od autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti, affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello stato durante il loro soggiorno, nonché di una assicurazione sanitaria che copra tutti i rischi nello stato, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello stato, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’art. 9, comma 3»).
2.2. – La censura sub b), subordinata a quella accolta, resta assorbita.
3. – Il ricorso va in conclusione accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al seguente principio di diritto: «il rinnovo del titolo di soggiorno per motivi familiari in favore del cittadino extracomunitario coniuge di cittadino italiano è disciplinato dal d.lgs. n. 30 del 2007, che non prevede il requisito della convivenza tra il cittadino italiano e il richiedente (salve le conseguenze dell’accertamento di un matrimonio fittizio o di convenienza ai sensi dell’art. 35 della direttiva 2004/38/CE e dell’art. 30, comma 1 bis, d.lgs. n. 286 del 1998), né il requisito del pregresso regolare soggiorno del richiedente e, nel caso di sopravvenuto decesso del coniuge cittadino italiano, è subordinato alla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 11, comma 2, d.lgs. cit.».
Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/2003.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *