cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 30 marzo 2016, n. 12832

Considerato in fatto

1. Con sentenza del 24.6.2015 la Corte di appello di Catanzaro – a seguito di gravame interposto dagli imputati Z.G. e P.M. avverso la sentenza emessa in data 20.12.2011 dal Tribunale di Cosenza – ha confermato la decisione con la quale i predetti sono stati riconosciuti colpevoli e condannati a pana di giustizia in ordine al reato di cui agli artt. 110, 377, commi 1 e 3, cod. pen. perché agendo in concorso tra loro, lo ZAZZARO assumendo un atteggiamento intimidatorio e la P. promettendole del denaro, tentavano di indurre M.C. a commettere i reati di cui agli artt. 371 bis e 372 cod. pen.; in particolare, con tali condotte tentavano di indurre la M. a ritrattare le dichiarazioni rese agli inquirenti il 24.7.2008, e a non farle dire quanto a sua conoscenza in merito agli atti sessuali a cui lo Z. aveva costretto R.L. in data 22.7.2008.
2. Avverso la sentenza propongono ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, con unico atto, deducendo:
2.1. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 377 e 371bis cod. pen.. Il reato di cui all’art. 377 cod. pen. presuppone che il fine della violenza, minaccia o promessa non sia conseguito; laddove le false dichiarazioni, invece, siano rese, il subornatore risponderà, a titolo di concorso con l’autore del falso, dei reati previsti e puniti dagli artt. 371bis, 371 ter, 372 e 373 cod. pen.. Nella specie, le false dichiarazioni erano state rese dalla M. in data 22.9.2008, così realizzandosi il reato di cui all’art. 378 cod. pen. nel quale non potevano concorrere lo Z. – in ragione della non ipotizzabilità dell’autofavoreggiamento – né la moglie di questi, la P. , stante l’operatività nei confronti di quest’ultima della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 cod. pen.. A tali deduzioni mosse in appello la sentenza non avrebbe idoneamente risposto, omettendo di considerare l’avvenuta resa delle false dichiarazioni alla p.g. delegata da parte della M. . La quale, inoltre, non aveva rivestito la qualità di teste o di persona chiamata a rendere dichiarazioni al P.M. procedente, così dovendosi escludere in radice la condotta ipotizzata di intralcio alla giustizia. Ed erronea sarebbe la dilatazione delle qualità previste dalla norma incriminatrice anche al soggetto chiamato a rendere dichiarazioni davanti alla p.g. sulla base della sola potenzialità ad assumere la qualità di testimone in un celebrando dibattimento, essendo escluso – dalla indicazione dei reati di cui agli artt. 371bis, 371ter,372 e 3737 cod. pen. – il soggetto chiamato a rendere dichiarazioni a norma dell’art. 351 cod. proc. pen., anche se operante su delega del pubblico ministero altrimenti incorrendosi in una analogia in malam partem. Del resto militerebbe in favore della tesi difensiva esposta ampia giurisprudenza di legittimità in relazione al reato di cui all’art. 371bis cod. pen. escluso nelle ipotesi in cui le false dichiarazioni siano state rese alla p.g. delegata dal P.M..
2.2. Mancanza e contraddittorietà della motivazione; travisamento delle prove. La Corte di merito non avrebbe considerato la doglianza difensiva che aveva evidenziato come la M. aveva reso in dibattimento dichiarazioni del tutto conformi a quelle rese il 22.9.2008 alla p.g. e ritenute false, dovendosi – pertanto e sulla veridicità delle prime – escludersi la falsità delle seconde. Infine, la valutazione del complessivo compendio dichiarativo della M. affermata in sentenza in ordine alla sua valenza confermativa della contestazione sarebbe in palese contrasto con il contenuto probatorio degli atti richiamati.

Considerato in diritto

1. Il ricorsi sono fondati.
2. Il primo motivo è fondato.
2.1. L’art.377 c.p. configura un reato di pericolo per la cui esistenza è sufficiente l’esercizio di violenza fisica o la formulazione di una minaccia, a prescindere dal grado di intensità della prima o dalla gravità della seconda: il reato si consuma “qualora il fine non sia conseguito”, sintomo significativo del carattere non invincibile delle condotte violente o minacciose. Ove invece il fine venga conseguito, la condotta potrà integrare i reati di cui agli artt. 371 bis, 371 ter, 372 o 373 c.p. in quanto solo formalmente attribuibili ai destinatari delle condotte di cui s’è detto (Sez. 6, n. 16799 del 20.10.2015, Ciarla, n.m.). Integra il reato di cui all’art. 377, terzo comma, cod. pen., qualsiasi condotta minacciosa posta in essere al fine – non raggiunto – di far commettere al soggetto passivo uno dei reati indicati nel primo comma del predetto art. 377 (false dichiarazioni al pubblico ministero o al difensore, falsa testimonianza, falsa perizia o interpretazione), indipendentemente dalla gravità della minaccia (Sez. 6, n.14862de1 26/02/2015,Musolino, Rv. 263117).
2.2. Non è configurabile il reato di false informazioni al pubblico ministero di cui all’art. 371-bis cod. pen., introdotto dall’art. 11 D.L. 8 giugno 1992 n. 306, nella condotta di chi renda false dichiarazioni alla polizia giudiziaria, neanche se questa operi su delega del P.M., giacché, diversamente opinando, si opererebbe un’interpretazione di tipo analogico su norma penale (Sez. 6, n. 4227 del 27/11/1992, Donisi, Rv. 192946);ancora, le false dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria non possono costituire l’oggetto materiale del reato di false informazioni al pubblico ministero (Sez. 6, n. 2095 de106/05/1994, Accavone, Rv. 198757). Infine, soggetto attivo del delitto di false informazioni al pubblico ministero può essere soltanto colui che sia stato richiesto personalmente dal pubblico ministero di fornire informazioni ai fini delle indagini. Non è quindi, punibile a norma dell’art. 371-bis, cod. pen. chi, richiesto dalla polizia giudiziaria – anche per delega del pubblico ministero – renda dichiarazioni false o reticenti. (Conf. Sez. VI, 8 febbraio 1993, Malena) (Sez. 6, n. 696 del 10/03/1993,Frustaci,Rv. 194143; Sez. 5, n.37306de1 14/07/2010, Martinelli, Rv. 248641).
2.3. Nella specie è incontroverso che le minacce e le lusinghe ascritte ai ricorrenti nei confronti di colei che aveva reso dichiarazioni alla p.g. in ordine alle condotte di abuso sessuale commesse dallo stesso Z.G. , produssero le false dichiarazioni alla stessa p.g., delegata dal P.M., rese in data 22.8.2008 in ordine alle quali la stessa dichiarante M. , successivamente ed in data 8.10.2008, ebbe ad ammetterne la falsità ed al ricollegarle alle minacce e lusinghe predette.
2.4. Nonostante la questione dell’avvenuta verificazione delle false dichiarazione della sua incidenza sulla qualificazione giuridica del fatto sia stata sottoposta dalla difesa alla Corte territoriale, quest’ultima ha omesso qualsiasi considerazione a riguardo. E non v’è dubbio che, nella indiscussa costanza dell’accadimento evidenziato, la fattispecie – già per questo aspetto ed in conformità all’orientamento di legittimità richiamato – esuli dalla ipotesi di subornazione azionata.
2.5. È parimenti fondata la esclusione della fattispecie in questione anche sotto l’altro profilo evidenziato, questa volta sotto l’aspetto dell’oggetto materiale della condotta. È indiscusso che le dichiarazioni del 24.7.2008 – rispetto alle quali si ebbe a verificare la falsa versione del 22.9.2008 – furono rese dalla M. alla polizia giudiziaria. Ebbene, esula dal richiamato orientamento di legittimità che la Corte condivide, l’affermazione operata dalla sentenza impugnata che intende includere nell’ambito di operatività della ipotesi ex art. 371bis cod. pen. anche le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata dal pubblico ministero, facendosi erroneamente leva sulla natura di reato di pericolo della fattispecie ex art. 377 cod. pen. che, evidentemente, non consente di estendere analogicamente l’oggetto della condotta.
2.6. Pertanto, la condotta dei ricorrenti esula dalla ipotesi azionata.
3. L’accoglimento del motivo assorbe ogni altra questione.
4. La sentenza nei confronti dei ricorrenti, quindi, deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

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