cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 26 novembre 2014, n. 49226

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio S. – Presidente
Dott. GARRIBBA Tito – Consigliere
Dott. LANZA Luigi – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS);
avverso l’ordinanza emessa il 28 giugno 2014 dal Tribunale di Venezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Tito Garribba;

udito il pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi i difensori dell’indagato avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN FATTO
p.1. Con ordinanza del 28 giugno 2014 il Tribunale di Venezia, nella funzione di giudice del riesame, confermava la misura cautelare della custodia in carcere applicata a (OMISSIS), indagato per il reato di corruzione propria continuata previsto dall’articolo 319 c.p.:
– per avere ricevuto dal (OMISSIS), per compiere o avere compiuto atti contrari ai suoi doveri di assessore alle Infrastrutture e Trasporti della Regione Veneto, somme annuali di circa 200.000 euro, nonche’ altro denaro destinato per lo stesso scopo al Governatore della Regione (OMISSIS);
– e, inoltre, per avere ricevuto somme di denaro o altre utilita’ (attribuzione del 5% delle azioni della s.p.a. ” (OMISSIS)” e loro successiva liquidazione per duemilioni di Euro; conferimento di incarichi retribuiti a persone sue amiche; affidamento di lavori in subappalto a un’impresa da lui segnalata) per agevolare l’approvazione da parte della Regione Veneto di project financing presentati da ” (OMISSIS)” o da altre societa’ del gruppo (OMISSIS).
Il Tribunale desumeva i gravi indizi di colpevolezza dalle chiamate in correita’ pronunciate da (OMISSIS), presidente del (OMISSIS), da (OMISSIS), amministratore delegato della ” (OMISSIS)” s.p.a., da (OMISSIS), collaboratrice del nominato (OMISSIS) e amministratore delegato di ” (OMISSIS)”, e da (OMISSIS), responsabile amministrativo dell’ (OMISSIS), chiamate che riteneva intrinsecamente attendibili e validamente riscontrate sia dalla loro complessiva convergenza sia dagli esiti di conversazioni telefoniche e ambientali intercettate. Sotto il profilo giuridico, il Tribunale, a fronte della difficolta’ di individuare i singoli atti contrari ai doveri d’ufficio posti in essere dall’indagato, affermava – alla stregua della recente giurisprudenza di legittimita’ – che l’avere accettato di essere “a libro paga”, con asservimento della funzione pubblica agli interessi privati, integrava comunque il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e, ora, dopo l’entrata in vigore della Legge n. 120 del 2012, la nuova fattispecie penale, prevista dall’articolo 318 c.p., di corruzione per l’esercizio della funzione.
p.2. Contro detta decisione ricorre la difesa, che denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Assume che non sono stati osservati i criteri di valutazione della chiamata in correita’ canonizzati dalla giurisprudenza di legittimita’ e, in particolare, censura:
– che, nell’apprezzare la credibilita’ soggettiva dei dichiaranti, il Tribunale non abbia considerato che potevano essere stati spinti ad accusare dall’interesse a ottenere l’attenuazione o la revoca della misura custodiale cui erano sottoposti o, ancora, dall’interesse a salvaguardare gli arricchimenti conseguiti incamerando i fondi neri asseritamente versati ai pubblici funzionari;
– che le dichiarazioni rese da (OMISSIS) difetterebbero di spontaneita’, perche’ provocate mediante la contestazione delle accuse contro di lui precedentemente formulate dalla (OMISSIS) e, inoltre, sarebbero prive di coerenza e precisione;
– che, a conferma dell’attendibilita’ delle chiamate, il Tribunale non ha addotto riscontri esterni individualizzanti;
– che il Tribunale non ha dato peso alla testimonianza di (OMISSIS), secondo cui la (OMISSIS) gli aveva riferito che l’indagato “non aveva voluto soldi”;
– che il Tribunale non ha dato adeguata risposta all’indagine difensiva, affidata a un consulente contabile, che ha accertato, esaminando entrate e uscite del patrimonio familiare dell’indagato, l’assenza di tracce delle somme di denaro che gli sarebbero state periodicamente corrisposte;
– che il Tribunale abbia travisato la prova circa la consegna di 150.000 euro effettuata il 7.2.2013 da (OMISSIS) a (OMISSIS), che sarebbe stata “registrata in diretta” dalla polizia giudiziaria, osservando che le conversazioni intercettate rivelano solamente un passaggio di denaro avvenuto quel mattino da (OMISSIS), consigliere del Consorzio, a (OMISSIS), collaboratore di (OMISSIS), il quale (OMISSIS) aveva poi fissato un appuntamento con l’indagato per le ore 17;
– che il Tribunale abbia ritenuto attendibili le dichiarazioni di (OMISSIS) sulle dazioni in favore di (OMISSIS), pur rimarcando l’incongruenza della notevole distanza temporale tra l’adozione delle delibere riguardanti il “Sistema (OMISSIS)” e il versamento del presunto compenso e, inoltre, non abbia rilevato che le dichiarazioni rese sul punto da (OMISSIS) non erano affatto coincidenti con quelle di (OMISSIS).
Circa le somme di denaro e altre utilita’ che sarebbero state date all’indagato affinche’ agevolasse l’approvazione delle proposte di project financing, la difesa denuncia:
– mancata valutazione degli elementi a favore, censurando che sia stata disattesa la consulenza contabile prodotta ex articolo 327 bis c.p.p., la quale, in base all’analisi dei bilanci della societa’ coinvolte, smentirebbe le accuse di (OMISSIS) relative sia all’attribuzione di quote azionarie della ” (OMISSIS)” sia della loro successiva liquidazione milionaria;
– travisamento della prova, atteso che la pretesa convergenza delle dichiarazioni accusatone di (OMISSIS) e (OMISSIS) non esiste, posto che la (OMISSIS), interrogata sul punto, ha detto: “di fatto a (OMISSIS) non e’ andato nulla”;
– mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, perche’ le pretese dazioni non trovano plausibile spiegazione, dato che l’unico progetto approvato dalla Regione nell’interesse del gruppo (OMISSIS) risaliva all’anno 2007 e la relativa delibera era stata annullata dal Consiglio di Stato con aggiudicazione definitiva a un’impresa concorrente.
p.3. La difesa denuncia altresi’ violazione di legge e vizio di motivazione in relazione sia alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari sia alla ritenuta inadeguatezza di misure diverse da quella applicata. Al riguardo censura:
1. che il giudizio di pericolosita’ sociale sia stato ancorato al solo criterio della gravita’ del reato commesso;
2. che il Tribunale, preso atto che l’indagato si era dimesso dalla carica di assessore, ha tuttavia ravvisato il pericolo di reiterazione del reato nella conservazione della carica di consigliere regionale, omettendo di considerare che la legge prevede la sospensione di diritto dalla carica pubblica anche nel caso di applicazione della piu’ lieve misura degli arresti domiciliari;
3. che il Tribunale, nel valutare il grado di pericolosita’ sociale, abbia tenuto conto anche dei reati gia’ prescritti (quelli commessi fino al 31 maggio 2008), cosi’ violando sia il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza sia il divieto di cui all’articolo 273, comma 2, cod.proc.pen.;
4. che il Tribunale, per confermare la misura cautelare, abbia pronosticato l’irrogazione di una pena superiore a tre anni di reclusione, ritenendo giuridicamente corretto che la condotta di asservimento della funzione pubblica agli interessi privati sia stata contestata come reato previsto dall’articolo 319 c.p., pur dopo l’entrata in vigore della legge Severino, che, modificando l’articolo 318, ora esplicitamente prevede e sanziona la ricezione di denaro “per l’esercizio della funzione”; sul punto deduce che, prescritti gli episodi corruttivi commessi in prossimita’ del rilascio dei pareri favorevoli al “Sistema (OMISSIS)”, gli episodi successivi, mancando la prova di un collegamento causale tra denaro o utilita’ ricevuti e un atto d’ufficio da compiere o compiuto, sarebbero penalmente irrilevanti; l’unico episodio corruttivo commesso dopo l’entrata in vigore della legge Severino sarebbe quello del 7.2.2013, che, essendo punito – ai sensi del nuovo testo dell’articolo 318 c.p. – con la reclusione da uno a cinque anni, renderebbe sproporzionata la misura della custodia in carcere;
5. che il Tribunale, per valutare la compatibilita’ della misura applicata con lo stato di salute dell’indagato, avrebbe dovuto disporre una perizia medicolegale.
Conclude pertanto chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
p.1. I motivi di ricorso che investono il tema della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, pur presentati sotto l’etichetta della mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione e della violazione di legge, contengono in massima parte censure che, sollecitando una revisione della valenza degli elementi indiziari e delle caratteristiche soggettive dell’indagato, non sono proponibili con il ricorso per cassazione, dato che il controllo di legittimita’ non ammette incursione nel merito delle risultanze processuali, ma e’ circoscritto alla verifica della tenuta logico-argomentativa della decisione.
Sono invece senza dubbio ammissibili i motivi di ricorso che sollevano le questioni della rilevanza penale dei fatti contestati, della loro qualificazione giuridica e degli effetti di diritto intertemporale prodotti dall’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012.
Affrontando subito l’esame delle anzidette questioni, si rileva che il giudice a quo, considerato che il flusso di denaro e gli altri favori sistematicamente convogliati verso l’assessore (OMISSIS) rendevano evidente la sua subordinazione agli imprenditori privati, ha concluso che lo stesso, a prescindere dall’individuazione di quali atti contrari ai doveri di ufficio avesse compiuto, era “finito a libro paga di (OMISSIS) e (OMISSIS)”, mettendosi a completa disposizione dei loro interessi. E, di seguito, appellandosi alla consolidata giurisprudenza di legittimita’, ha disatteso le doglianze dell’indagato che negavano la possibilita’ di ravvisare nell’asservimento della funzione pubblica il reato previsto dall’articolo 319 c.p., aggiungendo che, entrata in vigore la novella, i fatti contestati integrano ora il reato di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’articolo 318 c.p., che, essendo punito con la reclusione da uno a cinque anni, legittima tuttora l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere.
Le conclusioni cui e’ pervenuto il Tribunale sono soltanto in parte corrette.
L’interpretazione giurisprudenziale dell’articolo 319 c.p., cui si e’ attenuto il giudice del riesame e che questo collegio condivide e ribadisce, e’ costante e consolidata nel tempo, a partire dalle prime decisioni risalenti agli anni Novanta (Sez. 6, 17.2.1996, Cariboni, rv 204440; idem, 5.3.1996, Magnano, rv 205076; idem, 5.2.1998, Lombardi, rv 210381; idem, 13.8.1996, Pacifico, rv 206122; idem, 25.3.1999, Di Pinto, rv 213884) fino alle piu’ recenti (Sez. F., 25.08.2009 n. 34834, Ferro, rv 245182; Sez. 6, 16.05.2012 n. 30058, Di Giorgio, rv 253216). Attraverso un’interpretazione estensiva della relazione tra promessa-dazione e atto di ufficio, si e’ affermato che ricade nel reato di corruzione propria non solo l’accordo illecito che prevede lo scambio tra il denaro o altra utilita’ e un determinato o ben determinabile atto contrario ai doveri di ufficio, ma anche l’accordo avente per oggetto una pluralita’ di atti, non preventivamente fissati, ma pur sempre “determinabili per genus mediante il riferimento alla sfera di competenza o all’ambito di intervento del pubblico ufficiale” o – piu’ schiettamente e senza perifrasi – i pagamenti eseguiti “in ragione delle funzioni esercitate dal pubblico ufficiale, per retribuirne i favori”, cosi’ da ricomprendervi l’ipotesi del c.d. asservimento della funzione pubblica agli interessi privati.
Valutando poi gli effetti dell’entrata in vigore della legge n. 190/2012, questa Corte ha affermato che “il nuovo testo dell’articolo 318 c.p., non ha proceduto ad alcuna abolitio criminis, neanche parziale, delle condotte previste dalla precedente formulazione e ha, invece, determinato un’estensione dell’area di punibilita’, configurando una fattispecie di onnicomprensiva monetizzazione del munus pubblico, sganciata da una logica di formale sinallagma e idonea a superare i limiti applicativi che il vecchio testo, pur nel contesto di un’interpretazione ragionevolmente estensiva, presentava in relazione alle situazioni di incerta individuazione di un qualche concreto comportamento pubblico oggetto di mercimonio” (Sez. 6, 11.01.2013 n. 19189, Abbruzzese, rv 255073).
In effetti la riscrittura dell’articolo 318 cod.pen. ha portato nell’assetto del delitto di corruzione un’importante novita’: il baricentro del reato non e’ piu’ l’atto di ufficio da compiere o gia’ compiuto, ma l’esercizio della funzione pubblica. Dalla rubrica nonche’ dal testo dell’articolo 318, e’ scomparso ogni riferimento all’atto dell’ufficio e alla sua retribuzione e, a seguire, ogni connotazione circa la conformita’ o meno dell’atto ai doveri d’ufficio e, ancora, alla relazione temporale tra l’atto e l’indebito pagamento. Cio’ significa che e’ stata abbandonata la tradizionale concezione che ravvisava la corruzione nella compravendita dell’atto che il pubblico ufficiale ha compiuto o deve compiere, per abbracciare un nuovo criterio di punibilita’ ancorato al mero esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri”, a prescindere dal fatto che tale esercizio assuma carattere legittimo o illegittimo e, quindi, senza che sia necessario accertare l’esistenza di un nesso tra la dazione indebita e uno specifico atto dell’ufficio.
La riforma ha inteso adeguare il nostro ordinamento penale ai superiori livelli di tutela raggiunti da altri ordinamenti Europei (in particolare, quello tedesco) e al contempo colmare lo iato tra diritto positivo e diritto vivente formatosi per l’interpretazione estensiva data dalla giurisprudenza di legittimita’ al concetto di atto di ufficio, dilatato fino al punto di ritenere sufficiente, per la sua determinabilita’, il solo riferimento alla sfera di competenza o alle funzioni del pubblico ufficiale che riceve il denaro.
Il comando contenuto nella nuova fattispecie e’ estremamente chiaro: il pubblico funzionario in ragione della funzione pubblica esercitata non deve ricevere denaro o altre utilita’ e, specularmente, il privato non deve corrisponderglieli. Tali divieti, secondo la logica del pericolo presunto, mirano a prevenire la compravendita degli atti d’ufficio e fungono da garanzia del corretto funzionamento e dell’imparzialita’ della pubblica amministrazione.
Il nuovo reato di cui all’articolo 318 c.p., in forza della novita’ del riferimento all’esercizio della funzione, ha esteso l’area di punibilita’ dall’originaria ipotesi della retribuzione del pubblico ufficiale per il compimento di un atto conforme ai doveri d’ufficio a tutte le forme di mercimonio delle funzioni o dei poteri del pubblico ufficiale, salva l’ipotesi in cui sia accertato un nesso di strumentante tra dazione o promessa e il compimento di un determinato o ben determinabile atto contrario ai doveri d’ufficio, ipotesi, quest’ultima, espressamente contemplata dall’articolo 319 c.p., modificato dalla novella soltanto nella parte attinente alla misura della pena.
Ne deriva che i fenomeni di corruzione sistemica conosciuti dall’esperienza giudiziaria come “messa a libro paga del pubblico funzionario” o “asservimento della funzione pubblica agli interessi privati” o “messa a disposizione del proprio ufficio”, tutti caratterizzati da un accordo corruttivo che impegna permanentemente il pubblico ufficiale a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, finora sussunti – alla stregua del consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato – nella fattispecie prevista dall’articolo 319 c.p., devono ora, dopo l’entrata in vigore della Legge n. 190 del 2012, essere ricondotti nella previsione del novellato articolo 318 c.p., sempre che i pagamenti intervenuti non siano ricollegabili al compimento di uno o piu’ atti contrari ai doveri d’ufficio.
In altre parole, considerato che la nuova figura di reato prevista dall’articolo 318, e quella di cui all’articolo 319 c.p., sono caratterizzate l’una dall’assenza l’altra dalla presenza di un atto contrario ai doveri di ufficio, volendo individuare quale sia la norma penale applicabile, occorrera’ previamente accertare se l’asservimento della funzione sia rimasto tale o sia sfociato nel compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio.
Nella prima ipotesi il fatto sara’ sussunto nella nuova fattispecie di reato descritta dall’articolo 318 c.p., che, elevando a fatto tipico uno dei tanti fenomeni di corruzione propria prima compresi nell’articolo 319 c.p., ha assunto – rispetto ai fatti commessi ante riforma – il ruolo di norma speciale destinata a succedere nel tempo a quella generale, perche’ la pena comminata dall’articolo 318, e’, nel minimo edittale (un anno di reclusione, anziche’ due), piu’ favorevole al reo.
Nell’ipotesi, invece, che l’asservimento della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, il fatto restera’ sotto il regime dell’articolo 319 c.p., e sara’ punito, ove commesso prima dell’entrata in vigore della novella, con la pena – piu’ lieve – prevista ante riforma, in ossequio alla regola dell’articolo 2 c.p., comma 4.
Questa soluzione e’ stata criticata, rilevando che, in tal modo, verrebbe irragionevolmente punito con pena meno grave il pubblico ufficiale che vende l’intera funzione rispetto a colui che vende soltanto un singolo atto (Cass., Sez. 6, 15.10.2013 n. 9883, Terenghi, rv 258521). L’argomentazione pero’ non e’ condivisibile, perche’ non rispecchia la realta’ normativa come sopra ricostruita. Invero l’articolo 318 cod.pen., in quanto punisce genericamente la vendita della funzione, si atteggia come reato di pericolo, mentre l’articolo 319 c.p., perseguendo la compravendita di uno specifico atto d’ufficio, e’ reato di danno. Nel primo caso la dazione indebita, condizionando la fedelta’ e imparzialita’ del pubblico ufficiale che si mette genericamente a disposizione del privato, pone in pericolo il corretto svolgimento della pubblica funzione; nell’altro, la dazione, essendo connessa sinallagmaticamente con il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, realizza una concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando quindi una pena piu’ severa.
Per completezza va detto che, nel nuovo regime, il rapporto tra articolo 318 c.p., e articolo 319 c.p., da alternativo che era (cioe’ fondato sulla distinzione tra atto conforme o atto contrario ai doveri d’ufficio), e’ ora divenuto da norma generale a norma speciale. Si tratta di specialita’ unilaterale per specificazione, perche’, mentre l’articolo 318 c.p., prevede e punisce la generica condotta di vendita della pubblica funzione, l’articolo 319 c.p., enuclea un preciso atto, contrario ai doveri di ufficio, oggetto di illecito mercimonio.
Va precisato, infine, che la nuova figura di reato prevista dall’articolo 318 c.p., puo’ atteggiarsi, sotto il profilo della consumazione, come reato eventualmente permanente. Invero, se a realizzare la fattispecie penale e’ sufficiente l’azione istantanea dell’accettazione della promessa del denaro (o di altra utilita’) o della sua ricezione, nell’ipotesi che le dazioni indebite siano plurime, trovando esse ragione giustificativa nel fattore unificante dell’esercizio della funzione pubblica, non si realizzeranno tanti reati quante sono le dazioni, ma un unico reato la cui consumazione comincia con la prima dazione e si protrae nel tempo fino all’ultima.
Esaminando ora la vicenda concreta alla luce dei principi teste’ esposti, si osserva che, avendo il giudice a quo individuato, nell’ambito delle condotte tenute dall’indagato di asservimento delle proprie funzioni agli interessi ora del (OMISSIS) (capi 5 e 6 dell’imputazione) ora delle imprese del gruppo (OMISSIS) (capo 8), il compimento di taluni specifici atti contrari ai doveri d’ufficio (le delibere sulla costruzione delle dighe in sassi e sul progetto definitivo del “Sistema (OMISSIS)” adottate a vantaggio del (OMISSIS); e la delibera sull’aggiudicazione dei lavori di costruzione dell’autostrada (OMISSIS) a vantaggio della ” (OMISSIS)” spa), e’ stata correttamente contestata e deve essere tenuta ferma l’imputazione di cui all’articolo 319 c.p., che, essendo centrata su determinati atti contrari ai doveri d’ufficio, attira e assorbe tutti i pagamenti illeciti intervenuti nel corso del tempo in un unico reato permanente, la cui consumazione e’ cessata con l’effettuazione dell’ultimo pagamento. Invero la condotta del pubblico agente, il quale, “messo a libro paga”, compia uno o piu’ atti contrari ai doveri d’ufficio, realizza una progressione criminosa lesiva dell’interesse protetto che raggiunge il massimo di offensivita’ nel compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, rispetto al quale le singole dazioni si atteggiano a momenti esecutivi di un unico reato di corruzione propria a consumazione permanente (v. Cass., Sez. 6, 14.06.2011 n. 34735, Anzilotti e altri).
Peraltro, dalla stessa ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito, risulta che i pagamenti incriminati furono effettuati in esecuzione di un patto corruttivo concluso dai rappresentanti del (OMISSIS) con i vertici dell’Amministrazione regionale, in base al quale i pubblici amministratori si erano impegnati ad adottare in senso favorevole al Consorzio tutti i provvedimenti previsti dalla legge per la realizzazione dell’opera, cosicche’, essendosi il patto inverato nel compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio, sarebbe illogico sotto il profilo giuridico e irrealistico sotto quello fattuale scomporre la condotta delittuosa in pagamenti rilevanti ora sub articolo 318, ora sub articolo 319 c.p., ipotizzando un concorso materiale eterogeneo di reati, quando, invece, si profila un fatto delittuoso unico, la cui consumazione si e’ protratta fino al febbraio 2013, al punto da ricadere sotto la piu’ grave sanzione introdotta dalla Legge n. 190 del 2012.
Pertanto la motivazione dell’ordinanza impugnata deve essere censurata la’ dove, incorrendo in un doppio errore di diritto, ha ritenuto di riqualificare i fatti contestati ai sensi dell’articolo 318 c.p., nella nuova formulazione introdotta dalla Legge n. 190 del 2012, e di considerare quelli commessi fino al 31 maggio 2008 gia’ prescritti. Tali errori, pero’, non hanno influito sulla decisione cautelare e, quindi, possono essere direttamente emendati da questa Corte senza che ne consegua l’annullamento.
p.2. Passando all’esame dei motivi concernenti i gravi indizi di colpevolezza, si osserva che sono infondati, perche’ l’ordinanza impugnata, la cui motivazione si integra con quella che sorregge il provvedimento impositivo della misura cautelare, contiene un’adeguata valutazione critica dell’attendibilita’ sia intrinseca che estrinseca delle plurime chiamate in correita’ nonche’ una logica confutazione delle deduzioni esposte dalla difesa a sostegno della richiesta di riesame.
In particolare, sotto quest’ultimo profilo, il Tribunale ha argomentato:
– che i chiamanti in correita’, per gli ottimi e amichevoli rapporti intrattenuti fino a pochi mesi prima con l’indagato, non avevano motivo di formulare nei suoi confronti accuse calunniose;
– che le imprecisioni e difformita’ rinvenibili nelle dichiarazioni dei chiamanti sono comprensibili, vista la frequenza e pluralita’ dei versamenti avvenuti nel corso degli anni e, comunque, non intaccano la complessiva affidabilita’ della narrazione stante la sostanziale convergenza sui momenti essenziali della vicenda;
– che le chiamate, per la comune convergenza, si riscontrano reciprocamente e sono altresi’ confermate dai risultati delle indagini di polizia giudiziaria e dall’esito delle conversazioni intercettate (in particolare, da un colloquio captato nel gennaio 2013 nell’ufficio della (OMISSIS), si percepisce che l’indagato, per gli ordini ricevuti e le assicurazioni date, si teneva a completa disposizione dei suoi ‘benefattori1, con un contegno di riconoscente sottomissione);
– che la dichiarazione de relato di (OMISSIS) non inficia l’attendibilita’ di quella contraria della (OMISSIS), essendo piu’ credibile quanto costei ha dichiarato all’autorita’ giudiziaria piuttosto che a (OMISSIS);
– che il mancato rinvenimento, nel patrimonio familiare dell’indagato, di tracce del copioso denaro ricevuto non dimostra la falsita’ delle accuse, perche’ lo stesso, al pari di altri indagati, poteva averlo prudentemente trasferito all’estero;
– che la valutazione complessiva del tenore e della successione delle conversazioni intercettate non solo il 7.2.2013, ma anche il giorno prima e quello dopo, dava la dimostrazione della consegna di denaro intercorsa tra (OMISSIS) e l’indagato;
– che la consulenza prodotta dalla difesa sui bilanci delle societa’ ” (OMISSIS)” e ” (OMISSIS)” non e’ idonea a smentire l’accusa, la quale poggia sull’assunto che acquisto, intestazione e vendita delle azioni di ” (OMISSIS)” sono state effettuate dissimulando il vero beneficiario (cioe’ l’indagato (OMISSIS)), il cui nome pertanto sarebbe vano cercare nella documentazione ufficiale;
– che la pretesa divergenza tra (OMISSIS) e (OMISSIS) sull’effettivo versamento all’indagato del prezzo stabilito per la compravendita delle anzidette azioni e’ di scarsa rilevanza, dato che il fatto sarebbe comunque provato nella forma della “promessa”;
– che la circostanza che delle numerose proposte di project financing presentate dal gruppo (OMISSIS) soltanto una abbia ricevuto l’approvazione della Regione non contraddice l’interessamento – risultato ex post vano – dispiegato dall’indagato per il buon esito delle altre.
Le cennate risposte alle deduzioni difensive, essendo conformi ai canoni della logica e basate su massime di esperienza comunemente condivise, soddisfano l’obbligo di motivazione e resistono quindi alle censure del ricorrente, che si risolvono in una diversa valutazione degli elementi gia’ esaminati dal giudice di merito.
p.3. Sono infondate anche le censure proposte in tema di esigenze cautelari, riguardo alle quali, seguendo l’ordine in cui sono state esposte, si osserva:
– sub 1., che, ai fini dell’accertamento della pericolosita’ sociale, il giudice deve valutare congiuntamente sia la gravita’ del fatto che la personalita’ dell’imputato, il che non esclude che le “specifiche modalita’ e circostanze del fatto” possano essere apprezzate, oltre che sotto il profilo oggettivo della gravita’ del fatto, anche – come avvenuto nel caso di specie – per la definizione della personalita’ pericolosa, dato che il comportamento criminoso costituisce di per se’ immediata e genuina manifestazione di pericolosita’;
– sub 2., che, in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il giudizio di prognosi sfavorevole sulla pericolosita’ sociale non e’ di per se’ impedito dalla circostanza che l’indagato abbia dismesso la carica o esaurito l’ufficio nell’esercizio del quale ha realizzato la condotta addebitata, dato che il rischio di ulteriori condotte illecite del tipo di quella contestata e’ reso probabile – come affermato nell’ordinanza impugnata, evocando la rete di rapporti opachi intrattenuti dall’indagato con le maggiori imprese operanti nel territorio e con funzionari della Regione e di altri Enti pubblici – da una situazione concreta che consentirebbe all’agente, ove cessasse la detenzione carceraria, di reiterare le condotte offensive della stessa categoria di beni protetti dalla norma penale violata;
– sub 3., che il giudice a quo ha legittimamente valutato, ai fini della pericolosita’ sociale, anche gli episodi corruttivi commessi prima dell’1 giugno 2008, per la ragione che – come si e’ sopra specificato – la natura permanente dei reati contestati (articolo 319 c.p.), la cui consumazione si e’ protratta per i capi 5 e 6 fino al febbraio 2013 e per il capo 8 fino all’anno 2012, rende evidente che la prescrizione non e’ ancora maturata;
– sub 4., che il giudice a quo, con valutazione discrezionale ancorata alla gravita’ dei fatti, all’intensita’ del dolo e alla pluralita’ delle dazioni succedutesi nel tempo, ha insindacabilmente ritenuto che unica misura in grado di impedire efficacemente la reiterazione del reato sia quella della custodia in carcere e, per la medesima ragione, ha altresi’ ritenuto improbabile l’irrogazione, all’esito del giudizio, di una pena contenuta in tre anni di reclusione;
– sub 5., che il giudizio di compatibilita’ dello stato di salute con la permanenza in carcere non merita censura, perche’ il giudice a quo, esaminata la documentazione medica prodotta (che evidenzia una patologia cardiaca stabilizzata la cui terapia farmacologica puo’ essere somministrata in ambiente penitenziario) e valutato il parere del prof. (OMISSIS) (che prospetta un rischio di aggravamento ove si sviluppi una sindrome depressiva innescata dallo stato di isolamento), ha logicamente concluso che non esiste pericolo attuale e concreto di pregiudizio alla salute che giustifichi la revoca o sostituzione della misura applicata.
La decisione in punto di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura applicata, essendo dunque fondata su una motivazione corretta sotto il duplice profilo logico e giuridico, non merita censura.
Il ricorso deve percio’ essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *