cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 2 ottobre 2015, n. 39858

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MILO Nicola – Presidente

Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere

Dott. DI SALVO Emanuel – Consigliere

Dott. DE AMICIS G. – rel. Consigliere

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedet – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 435/2015 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del 05/02/2015;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS;

sentite le conclusioni del PG Dott. Pietro Gaeta, che ha concluso per la inammissibilita’ del ricorso;

Uditi i difensori Avv. (OMISSIS) e Avv. (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. Con ordinanza emessa in data 5 febbraio 2015 il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza del G.i.p. presso il medesimo Tribunale in data 7 gennaio 2015, che applicava a (OMISSIS) le misure della custodia cautelare in carcere (in relazione ai delitti di cui all’articolo 416 bis c.p., e articolo 353 bis c.p., aggravati Legge n. 203 del 1991, ex articolo 7) e degli arresti domiciliari per il delitto di cui all’articolo 323 c.p., e Legge n. 203 del 1991, articolo 7, (capi d’imputazione provvisoria sub 1 e 5).

Si contesta all’indagato di avere, quale titolare dell’omonima impresa individuale con sede in (OMISSIS), beneficiato dell’indebito controllo – da parte della fazione Zagaria del sodalizio camorrista denominato “clan dei Casalesi” – degli appalti e degli affidamenti diretti di lavori all’interno dell’Azienda ospedaliera (OMISSIS), riconoscendo al predetto “clan” una percentuale dei profitti derivanti dall’illecito ottenimento, da parte della ditta individuale da lui gestita, dell’assegnazione dei lavori relativi al settore degli infissi in alluminio

2. Avverso la su indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, deducendo due motivi di doglianza il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.

2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione all’articolo 273 c.p.p., articoli 110, 416 bis, 353 bis e 323 c.p., e Legge n. 203 del 1991, articolo 7.

Si deduce, preliminarmente, che il Tribunale avrebbe erroneamente individuato il titolo cautelare in relazione al reato di cui all’articolo 416 bis c.p., (capo sub 1), sebbene il G.i.p. avesse qualificato la condotta come concorso esterno ai sensi degli articoli 110 e 416 bis c.p., evidenziando elementi di accusa presi in considerazione dallo stesso Tribunale del riesame.

Si evidenzia, inoltre, come nessuna delle fonti indiziarie citate nell’ordinanza impugnata (in particolare, le intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonche’ le dichiarazioni rese dai dirigenti ospedalieri (OMISSIS) e (OMISSIS)) individui la presenza di elementi concreti e significativi in ordine al delitto associativo contestato allo (OMISSIS), quale imprenditore che si sarebbe posto a disposizione degli interessi del sodalizio criminale con riferimento alla gestione di lavori o attivita’ oggetto di appalti presso l’Ospedale civile di (OMISSIS).

Non vi sono a carico dell’indagato specifiche chiamate in correita’, ne’ utili elementi indiziari possono ricavarsi dall’esame di una conversazione ambientale intercorsa il 13 novembre 2012 tra (OMISSIS) (preposto del gruppo Zagaria alla gestione degli affari relativi al controllo degli appalti pubblici) e (OMISSIS) (dirigente il Dipartimento di ingegneria ospedaliera della predetta Azienda sanitaria), il cui generico contenuto si presta ad interpretazioni del tutto differenti, facendo riferimento ad un rapporto di natura economica in cui l’indagato non appare in alcun modo coinvolto, quale debitore ovvero come soggetto obbligato alla restituzione di somme di denaro, laddove il riferimento ad un pagamento da effettuare in suo favore starebbe ad indicare, semmai, l’aspettativa del (OMISSIS), presumibilmente fondata su meri rapporti personali, di potergli chiedere un aiuto, tenuto conto, altresi’, del fatto che il colloquio ha ad oggetto un caseificio, mentre l’indagato ha sempre svolto attivita’ d’impresa nel settore degli infissi in alluminio (tanto da risultare vincitore di una gara d’appalto per la loro fornitura in epoca anteriore a quella in cui il (OMISSIS) venne ad insediarsi presso l’Azienda ospedaliera).

Un ulteriore profilo di doglianza investe, poi, i singoli episodi di turbativa d’asta di cui al capo sub 5), dove si contesta l’assoluta mancanza di motivazione circa la sussistenza dell’aggravante Legge n. 203 del 1991, ex articolo 7, la cui configurabilita’ viene dedotta sulla scorta di argomentazioni gia’ poste a fondamento della ritenuta partecipazione associativa.

Anche in relazione ai reati-fine di cui agli articoli 353 e 353 bis c.p., si lamentano vizi motivazionali, non essendo al riguardo percepibile nei confronti dello (OMISSIS) alcuna ricostruzione di turbative ovvero di manipolazione dei contenuti del bando: le stesse conversazioni richiamate nell’ordinanza, secondo cui il (OMISSIS) all’atto del suo insediamento quale dirigente del servizio si sarebbe prestato a predisporre un bando favorevole allo (OMISSIS), non hanno trovato alcun elemento di riscontro, dal momento che nessuna gara e’ stata indetta o aggiudicata in relazione alla attivita’ di fornitura di infissi, mentre lo (OMISSIS) era fornitore dell’azienda ancor prima dell’insediamento del (OMISSIS), essendo gia’ risultato vincitore di una gara d’appalto di durata triennale, gestita dal precedente responsabile del servizio, ing. (OMISSIS).

2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali in relazione all’articolo 274 c.p.p., non avendo il Tribunale considerato che il coindagato (OMISSIS) era ormai cessato dalle funzioni con provvedimento definitivo in data 31 dicembre 2014 e che, una volta sequestrate le societa’ ritenute coinvolte nella vicenda e proceduto al commissariamento della struttura aziendale, le esigenze cautelari dovevano ormai considerarsi del tutto superate.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Il ricorso e’ parzialmente fondato e va pertanto accolto nei limiti e per gli effetti qui di seguito esposti e precisati.

2. Le censure dalla difesa prospettate in merito all’ipotizzata partecipazione associativa del ricorrente quale imprenditore “colluso” stabilmente inserito nel sodalizio di stampo camorristico sono fondate e vanno conseguentemente accolte, dovendosi rilevare come le sequenze motivazionali che compongono l’impugnato provvedimento cautelare mostrino, al riguardo, un andamento incerto e contraddittorio, frutto di un insufficiente approfondimento in merito alla valutazione dell’effettiva consistenza del panorama indiziario, laddove trascurano di considerare, sulla base di un congruo supporto critico-argomentativo, il rilievo delle deduzioni difensive in merito alla idoneita’ del contributo dal ricorrente offerto, con riferimento alla esigenza di una compiuta ricostruzione della concreta rilevanza delle vicende storico-fattuali sottese all’imputazione provvisoriamente ascrittagli nel capo sub 1).

2.1. V’e’ anzitutto da osservare, come da questa Suprema Corte gia’ rilevato in altra pronunzia avente ad oggetto la medesima vicenda storico-fattuale (v. Sez. 6, n. 9 luglio 2015, n. 31370), che e’ manifestamente infondato l’assunto difensivo secondo il quale il ricorrente, in relazione al reato di cui al capo sub 1), sarebbe stato attinto dalla contestazione del reato di concorso nel reato associativo di cui agli articoli 110 e 416 bis c.p., poiche’ esso fa leva su una indicazione parentetica espressa a pag. 355 dell’ordinanza genetica – nella parte in cui essa tratta delle esigenze cautelari – del tutto irrilevante rispetto alla specifica contestazione di partecipazione associativa mossa attraverso la provvisoria contestazione elevata in sede cautelare, mai posta in discussione nella parte in cui la medesima ordinanza tratta degli elementi individuati a sostegno della gravita’ indiziaria in relazione alla quale e’ stata disposta la misura coercitiva.

2.2. Cio’ posto, deve tuttavia rilevarsi come non valgano a raggiungere la soglia di gravita’ della base indiziaria circa la partecipazione mafiosa dell’imprenditore i contatti intercorsi con il contesto relazionale facente capo prima a (OMISSIS) e, dopo, ad (OMISSIS), ne’ la generica cointeressenza di tipo economico al riguardo prospettata nell’ordinanza (v., supra, il par. 2.1.), non potendosi giustificare la configurabilita’ del contributo associativo dell’imprenditore attraverso una sorta di osmosi tra il cointestato sodalizio amministrativo-mafioso facente capo al clan Zagaria e le attivita’ dell’imprenditore che intrattiene contatti con soggetti inseriti in tale contesto. A tale riguardo, peraltro, nessuna diretta accusa proviene dal compendio dichiarativo considerato nell’ordinanza, ne’ il materiale investigativo risultante dagli esiti delle operazioni di intercettazione – aventi ad oggetto, peraltro, conversazioni riguardanti terzi e non direttamente la persona del ricorrente – va al di la’ dell’insufficiente rilievo di generiche cointeressenze legate al pagamento di spettanze economiche a breve termine dovute al ricorrente, di cui non vengono tuttavia compiutamente precisate la causa, le finalita’ e le forme di collegamento direttamente e consapevolmente volte a soddisfare gli interessi propri dell’ipotizzato sodalizio.

Secondo l’insegnamento ricavabile da una pacifica linea interpretativa al riguardo dettata da questa Suprema Corte (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231670; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 11/01/2008, Rv. 238838), la condotta di partecipazione mafiosa e’ riferibile solo a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, si’ da implicare, piu’ che uno “status” di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l’interessato “prende parte” al fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell’ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi.

E’ altresi’ noto che, sul piano probatorio, la partecipazione ad una associazione di tipo mafioso puo’ essere desunta da indicatori fattuali dai quali, sulla base di attendibili regole di esperienza attinenti propriamente al fenomeno della criminalita’ di stampo mafioso, possa logicamente inferirsi la appartenenza del soggetto al sodalizio, purche’ si tratti di indizi gravi e precisi, come, ad esempio, i comportamenti tenuti nelle pregresse fasi di “osservazione” e “prova”, l’affiliazione rituale, l’investitura della qualifica di “uomo d’onore”, la commissione di delitti-scopo, oltre a molteplici e significativi facta concludentia, idonei senza alcun automatismo probatorio a dare la sicura dimostrazione della costante permanenza del vincolo, con puntuale riferimento, peraltro, allo specifico lasso temporale considerato dall’imputazione (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, dep. 20/09/2005, Rv. 231670; Sez. 1, n. 1470 del 11/12/2007, dep. 11/01/2008, Rv. 238839).

Sulla base di tale quadro di principii deve rilevarsi come il percorso motivazionale sul punto seguito dal Tribunale non dia conto delle ragioni dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata attraverso la realizzazione di condotte univocamente sintomatiche, consistenti nello svolgimento di attivita’ preparatorie rispetto alla esecuzione del programma associativo, ovvero nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. L’ordinanza impugnata, infatti, ha omesso di illustrare gli aspetti sotto i quali, nella prospettiva dinamico – funzionalistica in precedenza indicata, si sarebbe estrinsecata la partecipazione del ricorrente al sodalizio di stampo mafioso, nonche’ il consapevole e volontario contributo causalmente rilevante dal ricorrente fornito alla vita associativa.

Anche in relazione al decisivo profilo che investe la delineazione del sinallagma strategico stretto dal ricorrente quale imprenditore colluso con la compagine associativa non vengono compiutamente illustrati i tratti che dovrebbero connotare l’assunzione di una posizione dominante da parte dell’impresa e l’effettivo contributo di essa alla vita dell’associazione criminosa. Anche sotto questo aspetto, invero, la motivazione dell’ordinanza impugnata e’ carente, avendo omesso di sviluppare un compiuto iter argomentativo in ordine alla tipologia, all’effettiva portata del rapporto intrattenuto dal ricorrente con il clan dei casalesi ed alla sua concreta estrinsecazione in una prospettiva di biunivoca utilita’, preordinata, mediante il ricorso alla violenza e all’intimidazione, all’affermazione di forme di supremazia e di predominio territoriale in vista del controllo di attivita’ economiche, appalti, servizi pubblici, funzionale al rafforzamento della cosca e al conseguimento di profitti ingiusti.

Entro tale prospettiva, inoltre, si e’ rilevato in questa Sede (da ultimo, v. Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012, dep. 08/03/2012, Rv. 252281) che la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d’affari, ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di per se’ sintomatici dell’appartenenza all’associazione, ma possono essere utilizzati come riscontri da valutare ai sensi dell’articolo 192 c.p.p., comma 3, quando risultino qualificati da una abituale o significativa reiterazione e connotati dal necessario carattere individualizzante.

Occorre infine rilevare che la messa a disposizione dell’organizzazione criminale, rilevante ai fini della prova dell’adesione, non puo’ risolversi nella mera disponibilita’ eventualmente manifestata nei confronti di singoli associati, quand’anche di livello apicale, al servizio di loro interessi particolari, ma deve

essere incondizionatamente rivolta al sodalizio, ed essere di natura ed ampiezza tali da dimostrare l’adesione permanente e volontaria ad esso per ogni fine illecito suo proprio (Sez. 1, n. 26331 del 07/06/2011, dep. 06/07/2011, Rv. 250670).

3. Analoghe considerazioni devono svolgersi, poi, riguardo all’apprezzamento della circostanza aggravante contestata nel capo sub 5), di cui piu’ avanti meglio si dira’ Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, ex articolo 7, convertito nella Legge n. 203 del 1991, la cui presenza puo’ qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione, pero’, che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale (Sez. 6, n. 31437 del 12/07/2012, Messina e altro, Rv. 253218). Aspetti, questi, che nell’impugnata ordinanza non hanno costituito oggetto di un’adeguata esposizione sul piano logico-argomentativo, sicche’ – pur non dovendosi ritenere necessaria, per la sua sussistenza, la partecipazione del soggetto alla compagine associativa – la configurabilita’ dell’aggravante in parola dovra’ essere specificamente rivalutata, per quanto sopra detto, dando conto, con esaustive argomentazioni, degli elementi sintomatici della consapevolezza, da parte del ricorrente, della contestata finalizzazione, non potendosi ritenere sufficiente, a tal fine, l’oggettivo inserimento delle vicende storico-fattuali oggetto del su indicato tema d’accusa nel complessivo contesto della illecita gestione dell’affidamento dei lavori ivi indicati.

4. Generico ed incentrato sul mero apprezzamento di questioni di fatto deve ritenersi, invece, il motivo di doglianza dedotto in ordine ai reati di cui al capo sub 5), relativo al sistematico frazionamento di lavori e servizi in modo da consentirne l’affidamento diretto in somma urgenza solo ad alcuni imprenditori -tra i quali l’odierno ricorrente – considerati beneficiari dell’illecito sistema di assegnazione facente capo al contestato sodalizio, avendo la ordinanza impugnata, con il supporto di un adeguato corredo logico-argomentativo (v. pagg. 24-33), desunto la gravita’ della base indiziaria da una serie di elementi – documentali, ovvero tratti dal contenuto delle conversazioni intercettate – ragionevolmente ritenuti sintomatici, allo stato, dell’illegittima assegnazione di lavori, entro un rilevante arco temporale, sempre in favore delle medesime ditte, tra le quali quella del ricorrente, che risulta aver indebitamente concordato con il (OMISSIS), dirigente responsabile del Dipartimento di ingegneria ospedaliera, e con i suoi collaboratori, l’individuazione dei criteri di selezione oggetto dei bandi di gara cui egli stesso doveva partecipare.

5. Logicamente assorbite, infine, devono allo stato ritenersi, in ragione del parziale accoglimento del primo motivo di ricorso, le doglianze (v., in narrativa, il par. 2.2.) mosse in ordine alla prognosi di pericolosita’ ed al giudizio di adeguatezza e proporzionalita’ della misura inframuraria.

6. Sulla base delle su esposte considerazioni, dunque, l’ordinanza impugnata deve essere annullata limitatamente al reato associativo di cui al capo sub 1) ed all’aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7, (contestata relativamente al capo sub 5), con rinvio al Tribunale di Napoli per un nuovo esame, al cui esito dovranno essere rivalutate anche le esigenze cautelari e l’adeguatezza della misura imposta. Nel resto, invece, il ricorso deve essere rigettato.

La Cancelleria curera’ l’espletamento degli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

 

P.Q.M.

 

Annulla l’ordinanza impugnata, limitatamente al capo relativo al reato di cui all’articolo 416 bis c.p., all’aggravante di cui al Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, e rinvia al Tribunale di Napoli per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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