Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 2 novembre 2015, n. 22316
Fatto e diritto
E.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi avverso la sentenza del 20.5.2013 della Corte d’Appello di Roma che – in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo azionato nei suoi confronti della Compagnia Tirrena di Assicurazioni spa in liquidazione coatta amministrativa per il pagamento di somma richiesta a titolo di indebito – aveva – per quel che qui interessa – accolto l’appello principale, rigettato quello incidentale, ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l’attuale ricorrente alla restituzione di sommo inferiori.
Resiste con controricorso illustrato da memoria la Compagnia Tirrena di Assicurazioni spa in liquidazione coatta amministrativa. L’altro intimato non ha svolto attività difensiva.
Il primo motivo – relativo all’asserita violazione dell’art. 18 1. n. 990 del 1969 – non è fondato.
All’assicuratore della responsabilità civile il quale, pur non avendo partecipato al relativo giudizio, abbia, per gli effetti di cui all’art. 1917 c.c., comma 2, pagato direttamente al danneggiato la somma che l’assicurato è stato condannato a corrispondere a titolo di risarcimento con sentenza di primo grado immediatamente esecutiva, spetta, qualora detta sentenza sia riformata in appello con il rigetto della. domanda risarcitoria, l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c..
E ciò per la inesistenza di una legittima causa solvendi, senza che importi che il pagamento sia avvenuto spontaneamente (Cass. n. 11315 del 10.11.1998).
L’assicuratore, infatti, può pagare l’indennità direttamente al danneggiato, purché ne dia preventivo avviso all’assicurato, al quale non è, tuttavia, dato di impedirlo, trattandosi di facoltà che deriva direttamente dalla legge.
La facoltà si trasforma in obbligo quando sia l’assicurato a chiedere all’assicuratore di pagare al danneggiato.
In entrambi i casi è del tutto evidente che l’assicuratore può pretendere dal danneggiato la restituzione della somma pagata, ove risulti successivamente che essa non è dovuta, come nel caso in cui la somma sia pagata sulla base di sentenza che venga riformata con rigetto della domanda risarcitoria.
Diversamente, se l’assicuratore paghi direttamente al danneggiato senza darne preventivo avviso all’assicurato o senza esserne richiesto dallo stesso, l’assicuratore può utilmente esperire l’azione di ripetizione di indebito ex art. 2033 c.c., non nei confronti del danneggiato (verso il quale il pagamento è dipeso da una libera scelta dell’assicuratore), ma nei confronti dell’assicurato in quanto il pagamento viene effettuato per conto ed in sostituzione di lui.
Per effetto della riforma della sentenza di condanna, infatti, è venuta meno la causa solvendi ed il soggetto passivo dell’azione non può che essere l’accipiens, mentre il soggetto attivo non può che essere il solvens. Ne deriva che l’assicuratore della responsabilità civile, il quale abbia pagato direttamente al danneggiato la somma che in base a sentenza di condanna avrebbe dovuto pagargli l’assicurato, può esercitare l’azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., nei confronti dell’ accipiens, qualora la sentenza di condanna sia riformata nel senso della non debenza (anche parziale) della somma, di tal che il pagamento rimanga privo di causa (v. anche Cass. 10.3.2013 n. 11121). Corretta, pertanto, la conclusione cui giunge la Corte di merito che – nel caso in esame di riforma della sentenza di condanna anche nei confronti dell’assicuratore – ha ritenuto che l’azione di indebito proposta dall’assicuratore, che aveva pagato al danneggiato somme non dovute, doveva essere esercitata nei confronti dello stesso danneggiato e non dell’assicurato.
Né il riferimento all’art. 18 1. n. 990 del 1969 coglie nel segno.
La norma si riferisce, infatti, all’azione di rivalsa nei confronti dell’assicurato da parte dell’assicuratore che ha pagato il massimale di polizza al danneggiato.
Ma la fattispecie in questione è del tutto diversa.
Qui l’assicuratore ha pagato, in base a sentenza di condanna, un importo superiore al massimale di polizza, importo, quindi, non spettante, del quale il danneggiato è tenuto alla restituzione. Il secondo motivo, relativo all’erroneo computo degli interessi è inammissibile.
La censura è nuova, non risultando essere stata proposta nei gradi di merito la questione di decorrenza degli interessi da data diversa a quella del pagamento.
Né il ricorrente indica – e riporta in ricorso – in quali atti e sedi processuali la domanda sarebbe stata avanzata; con ciò violando le norme di cui agli artt. 366 comma 1, n. 6 e 369 coda. 2, n. 4 c.p.c. Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore della resistente, sono poste a carico del ricorrente. Sussistono le condizioni per l’applicazione del disposto dell’art. 13 c. 1 quater dpr n. 115/2002 introdotto dalla legge 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore della resistente, in complessivi € 7.500,00, di cui € 7.300,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis, dello stesso art. 13.
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