Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 17 giugno 2015, n. 25386

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. DI STEFANO Pierluig – rel. Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) n. (OMISSIS);

Quale parte civile nel processo a carico di;

(OMISSIS) n. il (OMISSIS);

avverso la sentenza 2/2014 del 19/6/2014 della CORTE DI APPELLO DI CAMPOBASSO;

visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PIERLUIGI DI STEFANO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PAOLO CANEVELLI che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

Udito per la parte civile l’avv. FIADINO ANGELO in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Udito l’avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Larino sezione di Termoli con la sentenza del 30 gennaio 2013 condannava (OMISSIS) per i reati di:

a) articoli 388 e 574 c.p. perche’ con condotta continuativa impediva alla figlia minore nel periodo dal (OMISSIS), all’epoca di anni cinque, la frequentazione del padre (OMISSIS) utilizzando scuse varie e comunque tutte pretestuose per evitare tali incontri, cosi’ eludendo la esecuzione dei provvedimenti del tribunale dei minorenni di Roma, il giudice tutelare di Termoli, la corte di appello di Roma, il tribunale dei minori di Campobasso che imponevano di consentire le visite della figlia al padre.

b) del reato di maltrattamenti in quanto con tali comportamenti privava la figlia di rapporti con il padre creando volutamente una condizione di estraneita’, educando la minore al disprezzo ed al rifiuto del padre.

Riconosceva altresi’ la fondatezza della domanda di parte civile.

La Corte di Appello di Campobasso, con sentenza del 18 giugno 2014, ha invece assolto l’imputato osservando che:

non e’ vero che vi era stata la sistematica inosservanza da parte della madre delle disposizioni in ordine agli incontri padre – figlia, tenuto altresi’ conto che la elusione del provvedimento civile non puo’ coincidere con il mero inadempimento e che, comunque, il reato non e’ realizzato quando l’adempimento e’ eseguibile coattivamente senza il concorso della persona obbligata.

Dall’accertamento del primo giudice, peraltro, risulta che gli incontri padre e figlia in tale periodo vi sono stati cosi’ come vi sono stati gli incontri presso il consultorio della azienda sanitaria di Campobasso. In questo contesto, assumono ben poco significato le condotte della figlia nei confronti del padre, ben potendo le affermazioni incriminate, quali quella di “vecchio”, non essere necessariamente indotte dalla madre ne e’ da escludere che siano autonoma percezione da parte della minore della figura paterna, peraltro di eta’ avanzata.

Non sono neanche significative le presunte condotte della imputata nei confronti del (OMISSIS), essendo il rifiuto di costui ragionevole conseguenza dei pregressi rapporti personali. Ne’ risulta alcuna sindrome di alienazione genitoriale della figlia minore e, del resto, il Tribunale dei Minori non ha affatto ritenuto di dover incidere sull’esercizio potesta’ genitoriale da parte della madre, cosi’ implicitamente affermando che non ricorrono condizioni anomale.

Tali valutazioni giustificavano, secondo la Corte di merito, una assoluzione ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso, con sei motivi, la parte civile costituita.

primo motivo: svolge argomenti a dimostrazione del proprio interesse alla impugnazione.

Secondo motivo: deduce la violazione di legge in relazione alla contestazione di cui all’articolo 388 c.p.. In particolare osserva che, proprio nel caso di specie, il tipo di provvedimento del quale si lamenta la elusione prevede l’attivarsi della madre, tenuto conto che la particolarita’ della situazione impone anche l’incoraggiamento della figlia a relazionarsi con il padre e, comunque, non e’ situazione nella quale possa validamente procedersi con l’accompagnamento agli incontri della minore tramite la forza pubblica.

La valutazione della Corte di Appello e’ erronea anche laddove considera come indicativo rispetto al provvedimento giudiziario il fatto che la imputata abbia consentito l’esercizio del diritto di visita in alcune delle varie occasioni in cui l’incontro era previsto.

L’elusione si realizza anche mantenendo atteggiamenti ostativi nei confronti del padre e creando artificialmente una condizione di tensione che non consente l’instaurazione di un adeguato legame tra padre e figlia.

Rileva, infine, che la Corte di Appello ha di fatto dato rilievo alla non sussistenza di un dolo specifico non considerando che per il reato in questione e’ sufficiente il dolo generico.

Terzo motivo: denuncia il vizio di motivazione per travisamento della prova.

Riporta il contenuto di parte delle testimonianze che sono indicative, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, della pochezza degli incontri consentiti, della brevita’ degli stessi e dall’atteggiamento dell’imputata durante tali colloqui. Osserva che la bambina non e’ mai stata condotta in Roma per incontrare il padre, come anche previsto dall’accordo intervenuto innanzi al Tribunale dei Minorenni di Campobasso, e che i decreti del Tribunale dei Minori del 14 luglio 2005, del 2 marzo 2006 e del 25 maggio 2006, citati nella propria memoria, avevano accertato la condotta della imputata di porre in termini negativi la figura paterna.

Quarto motivo: denuncia il vizio di motivazione interno al provvedimento. Osserva come la Corte abbia riconosciuto la sussistenza di comportamenti di distacco, di mancanza di cordialita’ etc. per i quali, pur avendo escluso la rilevanza ai fini del reato di cui all’articolo 388 c.p., non ha invece tenuto adeguatamente conto ai fini del reato di maltrattamenti. In modo illogico non riconosce efficacia causale anche a tali comportamenti nell’indurre la bambina ad una condotta offensiva nei confronti del padre.

Quinto motivo: deduce la violazione di legge non essendovi alcuna argomentazione in ordine al reato di cui all’articolo 574 c.p. ed in ordine alla sottrazione della minore. Rileva come una condotta che abbia portato alla sostanziale definitiva e totale sottrazione della figlia al genitore non possa piu’ essere soltanto un fatto di elusione di un provvedimento del giudice ma, appunto, rappresenti una totale sottrazione della minore.

Sesto motivo: rappresenta la violazione di legge in relazione all’articolo 572 c.p.. Richiama in particolare la propria consulenza tecnica di parte da cui risultava il comportamento ostile dell’imputata e le conseguenze a carico della minore. Peraltro la Corte di Appello afferma apoditticamente che non si e’ realizzata la sindrome di alienazione genitoriale, non indicando quali atti lo possano dimostrare.

Con ampia memoria la difesa della imputata osserva:

– il ricorso e’ inammissibile per mancata indicazione dell’interesse perseguito e perche’ non sono allegati i verbali si cui chiede l’utilizzazione.

– I presunti travisamenti della prova in realta’ non sussistono in quanto la lettura completa degli atti probatori, cui la parte fa riferimento parziale, conferma la ricostruzione parte dei giudici di appello.

– Svolge anche argomentazioni sulla complessiva vicenda che ha riguardato le parti contrapposte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ infondato.

Il primo motivo svolge semplicemente degli argomenti a sostegno dell’interesse al ricorso che, indubbiamente, ricorre nel caso della parte civile che, a seguito della assoluzione in grado di appello, ha visto esclusa anche la fondatezza della propria domanda di parte civile.

Il secondo motivo e’ infondato. La sentenza ha accertato che non e’ possibile ricostruire una condotta della madre della minore in termini di deliberato ostacolare gli incontri con il padre. Il ricorrente, invece, formula osservazioni sul non aver la Corte di Appello tenuto conto di presunte condotte negative della imputata, laddove afferma che la stessa avrebbe dovuto svolgere un’attivita’ positiva per indurre la minore a relazionarsi con il padre; a parte la fondatezza di una tesi che vede anche tali comportamenti significativi per il reato in questione, la condotta contestata alla (OMISSIS) nel processo era quella di avere esercitato una effettiva attivita’ impedimento. Quanto deduce la difesa della parte civile, invece, non era oggetto della contestazione e, del resto, appare una ricostruzione che viene ora tardivamente proposta per essere stata ritenuta in sede di merito la carenza della prova delle condotte dirette ad impedire (parte de)gli incontri. Per quel che riguarda la indicazione di condotte quali la creazione di uno stato di tensione tra padre e madre con la conseguenza di indurre la disattenzione della figlia nei confronti del padre, il ricorso chiede apprezzamenti di fatto del materiale probatorio non certamente consentiti in questa sede; in ogni caso, risulta alquanto arduo dimostrare che tali atteggiamenti personali, che dal testo della sentenza appaiono sussistere per motivi ben piu’ ampi e risalenti che avevano portato alla cessazione del rapporto sentimentale, rappresentassero una condotta dolosamente orientata ad impedire i rapporti tra padre e figlia.

Il terzo motivo e’ inammissibile in quanto richiede un apprezzamento delle prove da parte di questa Corte. E’ opportuno rammentare che il travisamento della prova e’ un vizio che consente l’accesso del giudice di legittimita’ a singoli atti per valutare quelli che vengono definiti, appunto, “travisamenti”, ovvero indiscutibili confusioni nella lettura del contenuto di singole prove. Cio’ non consente, invece, una operazione che consiste nella affermazione di una complessiva cattiva interpretazione da parte del giudice di merito dell’intero corpo del materiale probatorio, che e’ quello che cerca di fare il ricorrente, chiedendo la valutazione di varie testimonianze, di provvedimenti del Tribunale dei Minori ed altro.

Il quarto motivo e’ manifestamente infondato. Gia’ la contestazione formale del reato di maltrattamenti non e’ di facile comprensione innanzitutto perche’ non e’ dato comprendere chi ne sia la vittima, se la figlia od il padre, essendovi equivocita’ su questo punto anche nel ricorso; e, poi, non e’ neanche facile ritenere che vi sia un diretto collegamento tra le condotte di cui al reato di cui all’articolo 388 c.p.p. ed un evento di maltrattamenti significativo ai sensi dell’articolo 572 c.p., pur se nel capo a) sono richiamate entrambe le disposizioni. Quindi la Corte d’Appello non era tenuta a valutare il comportamento di “freddezza” e “distacco” ai fini della realizzazione dei maltrattamenti in famiglia in assenza di elementi che rendessero seria e plausibile che la freddezza dell’ex compagna, dopo la fine del rapporto, costituisse maltrattamento dell’ex compagno, oppure, secondo l’interpretazione della imputazione, della figlia.

Anche il quinto motivo e’ del tutto infondato in quanto, una volta esclusa la significativita’ di determinate condotte e la inesistenza di altre condotte ai fini del reato di cui all’articolo 388 c.p.p., non vi era affatto necessita’ di motivare sul non ricorrere il reato di sottrazione della minore, ipotizzato quale conseguenza delle stesse condotte. Va comunque considerato anche che, gia’ dalla formulazione del capo di imputazione, l’evento “sottrazione di minore”, quale previsto dall’articolo 574 c.p., non appariva affatto strettamente conseguente alle condotte, quali descritte nella imputazione, di elusione del provvedimento del giudice.

Il sesto motivo e’ inammissibile perche’ richiede una valutazione della consulenza tecnica di parte per desumerne la inadeguata valutazione da parte della Corte di Appello; ed e’ inammissibile anche laddove ritiene che la Corte di Appello dovesse dimostrare la insussistenza della citata sindrome. La Corte di Appello ha correttamente ritenuto che, non essendovene prova, non sussisteva affatto tale sindrome che invece il ricorso sembra ritenere, erroneamente, oggetto di una presunzione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processo.

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