Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 15 maggio 2015, n. 20320
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 10.7.2014 la Corte di appello di Cagliari, a seguito di gravame interposto dall’imputato L.E. avverso la sentenza emessa il 20.6.2012 dal Tribunale di Lanusei, ha confermato detta sentenza con la quale il predetto imputato è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 336 cod. pen. e condannato a pena di giustizia, oltre le statuizioni civili.
2. Al L. è ascritto di aver usato minaccia nei confronti del carabiniere A.F. dicendogli « se mi fai la contravvenzione giuro che te la faccio pagare, chiamo il mio avvocato e ti querelo» al fine di costringerlo ad omettere la sanzione amministrativa per violazione del c.d.s..
3. Avverso la sentenza propone personalmente ricorso per cassazione l’imputato deducendo:
3.1. Violazione dell’art. 336 cod. pena, difetto di motivazione e travisamento dei fatto in quanto la espressione attribuita al ricorrente non ha alcuna rilevanza penale non essendo né minacciosa né idonea a coartare il pubblico ufficiale in questione. In particolare, non costituisce minaccia interpellare il proprio avvocato per cercare di porre un freno ai continui controlli dei carabinieri di Barisardo che lo stavano mettendo in cattiva luce nei confronti della popolazione locale. Inoltre, nulla risultava in atti sulla espressione pure attribuita al ricorrente secondo la quale «avrebbe fatto passare i guai» al carabiniere.
3.2. Violazione degli artt. 43 e 336 cod. pen. , difetto di motivazione e travisamento del fatto in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato in quanto il ricorrente aveva solo intenzione di difendersi dalle attività di controllo dell’Arma nei suoi confronti.
3.3. Violazione dell’art. 62 bis cod. pen. e difetto di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche che non ha tenuto conto dei motivi del fatto legati a precedenti provvedimenti pregiudizievoli adottati dai CC nei suoi confronti dimostratisi infondati.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è fondato.
2. La prospettazione di denunciare taluno all’autorità giudiziaria non costituisce, di per sè, ne’ minaccia ne’ oltraggio; e tanto meno diventa di contenuto oltraggioso quando ad essa si accompagna la specificazione dell’oggetto della denuncia esternata senza arroganza, ma rimanendo nei limiti della protesta espressa in termini civili, anche se risentiti (Sez. 6, n. 4826 del 16/03/1998, Episcopo A, Rv. 211058); ancora, ai fini della configurabilità del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà di quest’ultimo la pronuncia della frase “se mi fate il verbale, poi vediamo”, profferita all’indirizzo di agenti di polizia da conducente di motoveicolo rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà (Sez. 6, n. 18282 del 27/02/2007 Sorgente Rv. 236446); infine, non integra il delitto di cui all’art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria dei privato, mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali (Sez. 6, n. 6164 del 10/01/2011 Stefanello Rv. 249376).
3. Nella specie, la Corte di merito – nel rigettare le analoghe deduzioni in appello – ha, in particolare, ritenuto che la minaccia di far passare guai non meglio precisati al carabiniere che stava procedendo ad elevare la contravvenzione, invocando apertamente l’intervento di un non meglio specificato legale, costituisce condotta minacciosa idonea a coartare la volontà e la libertà di azione del pubblico ufficiale.
4. Ritiene questa Corte che l’assunto del giudice di merito – nell’attribuire valenza minatoria alla generica prospettazione attribuita al ricorrente – esuli dai criteri di legittimità appena ricordati. Invero, la contestuale prospettazione di «farla pagare», chiamare l’avvocato e querelare il carabiniere, se questi avesse elevato la contravvenzione per il mancato uso delle cinture di sicurezza, manifesta – ancorchè espressa con toni risentiti ed esagitati – piuttosto una condotta reattiva di mera prospettazione di generiche conseguenze negative. Reazione – dal punto di vista soggettivo – determinata dalla percezione del ricorrente di sentirsi V.to dai Carabinieri che lo sottoponevano a continui e ingiustificati controlli, tra i quali l’imputato ha annoverato anche una specifica vicenda cautelare a suo carico ritenuta infondata dal Giudice, ultimo quello appena verificatosi allorquando il ricorrente stava appena uscendo dal parcheggio di un supermercato. Percezione che risulta aver alimentato la risentita reazione difensiva, tanto che – in effetti – nello stesso immediato contesto si verificò un preannunziato colloquio telefonico dei ricorrente con un soggetto indicato come suo avvocato al quale si lamentava la condotta persecutoria dei Carabinieri e si manifestava l’intenzione di voler procedere alla denuncia.
5. Pertanto, in adesione all’orientamento di legittimità richiamato, non può riconoscersi legittimità all’affermata sussistenza della condotta minacciosa e della sua idoneità coartatrice.
6. L’accoglimento dei motivo esaminato assorbe ogni altra questione e la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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