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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 15 luglio 2013, n. 30349

Ritenuto in fatto

Con sentenza resa il 10 marzo 2009 il Tribunale di Palermo, in esito al giudizio abbreviato, dichiarava la penale responsabilità di V.D. per il delitto di cui all’art. 378 cp., perché, sentito dai Carabinieri in data 30 luglio 2005, dichiarava di non voler indicare né il luogo né la persona da cui aveva, in data (omissis), acquistato sostanza stupefacente, così aiutando l’autore del reato di spaccio a eludere le investigazioni dell’Autorità, e lo condannava, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva reiterata infraquinquennale, alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione.
Su impugnazione dell’imputato, la Corte di appello di Palermo, con sentenza del 7 marzo 2013, confermava la pronuncia di primo grado.
Avverso la sentenza di appello propone ricorso il prevenuto a mezzo del difensore, deducendo che:
– il reato ex art. 378 cp. è essenzialmente un reato commissivo;
– anche volendo ammettere la possibilità di compierlo mediante condotta omissiva, dovrebbe individuarsi in capo al cittadino un obbligo di rendere dichiarazioni alla P.G., sul quale nulla ha argomentato la Corte territoriale;
– nulla in concreto ha argomentato la stessa Corte sulla specifica volontà dell’imputato di aiutare taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato.
È ormai pacifico, invero, che il reato di favoreggiamento personale può essere realizzato anche attraverso una condotta omissiva e quindi anche rispondendo in maniera consapevolmente reticente alle domande poste dalla polizia giudiziaria (v. da ultimo Sez. 6, n. 37757 del 07/10/2010, dep. 2010, Menegazzo, Rv. 248603).
Quanto all’obbligo di rispondere secondo verità alla richiesta di informazioni da parte della P.G., esso è riconosciuto dalla giurisprudenza (v. Sez. 6, n. 31436 del 18/05/2004, dep. 2004, Tuberoso, Rv. 229270, oltre alla già cit. n. 37757/2010) e deriva dal coordinato disposto degli artt. 351, 362, comma 1, e 198 cpp.
In ordine all’elemento soggettivo, per il reato in esame non è richiesto il dolo specifico, essendo sufficiente – come correttamente ritenuto dal giudice d’appello – che l’agente abbia volontariamente e consapevolmente posto in essere una condotta (nella specie, omissiva) traducentesi comunque in un aiuto a favore di colui verso il quale sono indirizzate le attività investigative (v. da ultimo Sez. 6, n. 24035 del 24/05/2011 dep. 2011, Izzo e altro, Rv. 250433).

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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