cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 13 maggio 2015, n. 9816

Svolgimento del processo

Il 30.3.2011 l’avv. C.C.A. , curatore dell’inabilitata O.M.B. , chiedeva al giudice tutelare del Tribunale di Busto Arsizio, sez. distaccata di Gallarate, la liquidazione di un’indennità ai sensi dell’art. 379 c.c. per l’importo complessivo di Euro 67.839,63, di cui 16.468,85 per compensi professionali relativi all’attività stragiudiziale svolta nell’interesse dell’inabilitata dal 23.1.2006.
Contro il decreto emesso il 3.8.2011 dal giudice tutelare, che gli aveva liquidato la somma complessiva di Euro 30.000,00, il predetto avvocato proponeva dapprima opposizione ai sensi dell’art. 170 D.P.R. n. 115/02, tuttavia non decisa, e poi reclamo ex art. 739 c.p.c, che il predetto Tribunale in composizione collegiale dichiarava inammissibile con decreto del 5.12.2011. Riteneva al riguardo il collegio che le doglianze svolte dal reclamante inerivano alla congruità della somma liquidata in relazione al patrimonio della persona inabilitata e allo sforzo profuso dal curatore; e che sotto tale profilo il provvedimento del giudice tutelare non era censurabile, non essendo configurabile in capo al curatore un diritto di ricevere l’indennità richiesta, attesa la discrezionalità nell’an e nel quantum del provvedimento reso ai sensi dell’art. 375 (recte, 379) c.c., in considerazione della sostanziale gratuità dell’ufficio di curatore.
Per la cassazione di tale decreto l’avv. C.C.A. propone ricorso affidato a due motivi.
O.M.B. e la sua curatrice speciale, avv. Raffaella Cosco, non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo di ricorso espone l’omessa, illogica e contraddittoria motivazione del decreto impugnato, lì dove in dispositivo ha respinto il reclamo qualificandolo “inammissibile”, mentre in base al contenuto della motivazione avrebbe avuto senso, semmai, una pronuncia di rigetto.
1.1. – Il motivo è manifestamente inammissibile per difetto d’interesse. Per la parte ricorrente non derivano conseguenze di sorta da un rigetto nel merito piuttosto che da uno per inammissibilità del reclamo, nell’un caso come nell’altro formandosi un identico giudicato reiettivo sulla pretesa (sul tema dell’inesistenza dell’interesse a impugnare in fattispecie simile, cfr. Cass. n. 3287/68, secondo cui è inammissibile, per difetto di interesse all’impugnazione, il ricorso con il quale si denuncia il vizio di contraddittorietà tra la motivazione ed il dispositivo della sentenza impugnata, in quanto le ragioni addotte nella motivazione sarebbero tali da legittimare la pronuncia di inammissibilità piuttosto che quella, data, di rigetto della domanda di revocazione; analogamente, v. anche per l’ipotesi inversa di motivo di ricorso diretto al solo scopo di modificare la motivazione, fermo restando il dispositivo della sentenza impugnata, Cass. n. 13010/03, che richiama altresì il potere, di cui questa Corte di cassazione dispone ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c., di correggere la motivazione in diritto).
2. – Il secondo motivo lamenta l’omessa, insufficiente ovvero apparente motivazione e la violazione dell’art. 379 c.p.c.. La decisione impugnata, sostiene parte ricorrente, confermando il provvedimento del giudice tutelare per non essere configurabile un diritto del curatore all’indennità, attesa la discrezionalità nell’an e nel quantum del potere del giudice tutelare, così come previsto dall’art. 379 c.c., integra una totale omissione dell’obbligo di motivare, confondendo la discrezionalità legittima con l’arbitrio.
Invero, prosegue parte ricorrente, l’art. 379 c.c., dopo aver al primo comma proclamato, in linea di principio, la gratuità dell’incarico, prevede al secondo comma che il giudice tutelare, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, possa assegnare al tutore o al curatore un’equa indennità. Ne consegue che gli unici parametri utilizzabili per la liquidazione sono quelli anzi detti, e non altri.
Sostiene ancora il ricorrente, che il curatore il quale rivesta, come nel caso di specie, una qualifica professionale, può svolgere in favore dell’inabilitato anche prestazioni professionali, giudiziali o stragiudiziali, che devono essere remunerate secondo il tariffario professionale di pertinenza, separatamente da quelle di tipo non professionale per le quali restano applicabili, invece, gli anzi detti parametri dell’art. 379 c.p.c..
2.1. – Il motivo è manifestamente infondato, anche se per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento impugnato, la cui motivazione va pertanto corretta ai sensi dell’art. 384, ultimo comma c.p.c..
2.1.1. – Giova premettere che nell’ipotesi in cui sulla domanda o su un capo autonomo di essa non si sia formato il giudicato interno, per effetto dell’acquiescenza espressa o tacita, deve ritenersi consentito porre in discussione, nell’ambito della impugnazione proposta contro la relativa pronuncia, le questioni concernenti l’applicabilità di una norma giuridica e l’interpretazione della norma stessa, qualunque sia stato il comportamento difensivo concretamente assunto in proposito dalla parte, nel precedente o nei precedenti gradi del giudizio. Dette questioni, infatti, sono rilevabili anche d’ufficio dal giudice dell’impugnazione, nell’esercizio del suo potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso controverso, e non sono suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione, meramente strumentale rispetto alla decisione (Cass. nn. 21561/10 e 1531/76).
Chiarito, dunque, che il giudicato non si forma mai sulla mera applicabilità di una norma, va osservato che nel caso in esame, essendo ancora sub iudice il diritto del ricorrente ad un compenso ulteriore rispetto a quanto liquidatogli dal giudice tutelare in base all’art. 379 c.c., nulla si frappone ad una rinnovata valutandone delle condizioni di applicabilità di detta previsione normativa.
2.1.2. – Al contrario di quanto parte ricorrente tenta di accreditare, l’art. 379 c.c. menziona il solo tutore del minore (del resto la norma è localizzata nella sezione relativa alla tutela di quest’ultimo); né altra disposizione ne estende l’applicazione al curatore dell’inabilitato. E non a caso.
Infatti, l’art. 424, 1 comma c.c., stabilisce che le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati. E poiché al curatore del minore emancipato non si applica l’art. 379 c.c. né altra norma prevede indennità di sorta in suo favore, ugualmente il curatore dell’inabilitato non ha diritto ad alcuna indennità, nemmeno (come osservato in dottrina) in considerazione dell’entità del patrimonio o della difficoltà dell’amministrazione, secondo quanto è previsto invece per il tutore dall’art. 379 c.c..
Ciò corrisponde alla diversità dei due istituti di protezione dell’incapace e delle funzioni svolte al riguardo, ove si consideri che il curatore, a differenza del tutore, non rappresenta né si sostituisce all’incapace, ma si limita a sostenerlo integrandone la volontà, in modo da dare vita all’esterno ad una manifestazione unitaria.
2.1.2.1. – Né l’aver, in ipotesi, svolto anche attività ulteriori e di tipo propriamente professionale, potrebbe avere rilievo alcuno in proposito, poiché il curatore è chiamato a svolgere ben altra funzione nell’interesse esclusivo dell’incapace. Se pur in buona fede ne eccede, non per questo egli ha diritto ad una remunerazione che può competere solo per contratto e non già ex lege.
3. – Il ricorso va pertanto respinto.
4. – Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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