Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 10 settembre 2015, n. 36669
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. CARCANO Domenico – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1370/2013 CORTE APPELLO di PALERMO, del 08/05/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/07/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F.M. Iacoviello, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) per (OMISSIS) che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
FATTO E DIRITTO
1. In parziale riforma della sentenza del 15 ottobre 2013 del Tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Cefalo, con la quale (OMISSIS) e’ stato condannato per il reato di cui all’articolo 570 c.p., comma 2, (per avere omesso il versamento della somma di 300 euro mensili stabilita dal Tribunale di Lucca per il mantenimento della figlia (OMISSIS)e della ex coniuge (OMISSIS)), con decisione del 8 maggio 2014, la Corte d’appello di Palermo, ritenuta la continuazione con i reati di cui alle sentenze pronunciate dal Tribunale di Termini Imerese il 30 marzo 2006 (irrevocabile il 5 giugno 2006) e dalla Corte d’appello di Palermo il 19 maggio 2010 (irrevocabile il 21 ottobre 2010), ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in un anno di reclusione e 750 euro di multa, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
In risposta alle doglianze mosse con l’atto d’appello, il Giudice di secondo grado ha evidenziato che, come dichiarato dalla parte lesa (OMISSIS), (OMISSIS), dopo la separazione coniugale del 2003, sebbene continuasse a svolgere l’attivita’ di carpentiere, avesse totalmente omesso di corrispondere gli importi dovuti alla ex coniuge a titolo di contribuzione per il mantenimento proprio e della figlia minore, di tal che la (OMISSIS) doveva ricorrere all’aiuto economico dei propri genitori; che le dichiarazioni della (OMISSIS) sono confermate dalla documentazione acquisita al fascicolo ed, in particolare, dalle sentenze irrevocabili; che nessun rilievo possono avere il fatto di essere stato l’imputato licenziato e sottoposto a detenzione domiciliare, trattandosi di fatti accaduti in periodi successivi a quelli oggetto di contestazione; che l’imputato non ha documentato di trovarsi nella situazione di assoluta impossibilita’ di fare fronte all’obbligo di contribuzione; che non ricorrono i presupposti per la sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria ai sensi della Legge n. 689 del 1981, articolo 53, sussistendo una delle condizioni ostative previste dall’articolo 59 della stessa legge; che ricorrono i presupposti per ravvisare la continuazione fra i reati oggetto di procedimento e quelli giudicati con le sentenze passate in giudicato sopra indicate.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’Avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), e ne ha chiesto l’annullamento per vizio di motivazione per contraddittorieta’ tra le argomentazioni della sentenza e gli atti prodotti dalla difesa nel giudizio di primo e secondo grado a dimostrazione del fatto che (OMISSIS), fin quando aveva conservato il posto di lavoro, aveva sempre provveduto a versare la somma pattuita in sede di separazione, cessando di fare fronte all’obbligo soltanto allorche’ aveva perso il lavoro ed era stato sottoposto a restrizione della liberta’ personale.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, mentre il difensore di (OMISSIS) ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
4. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
5. Sotto un primo profilo, mette conto rilevare come il ricorrente riproponga le stesse doglianze gia’ mosse con l’atto d’appello senza confrontarsi con le puntuali risposte fornite dalla Corte territoriale in merito alle specifiche doglianze mosse con l’atto d’appello. Il che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte, comporta l’inammissibilita’ del motivo, atteso che i motivi costituenti mera replica di quelli gia’ dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito non possono ritenersi specifici, ma risultano soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Cass. Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
6. Sotto diverso aspetto, il ricorrente non ha comprovato il travisamento della prova, laddove non ha allegato al ricorso i documenti attestanti il regolare versamento della somma dovuta fino al momento del licenziamento – asseritamente prodotti in udienza e che, a dire del patrono, la Corte d’appello avrebbe trascurato -, circostanza che rende inammissibile il motivo per violazione del principio di autosufficienza e dunque per genericita’.
Al riguardo, giova rammentare che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, e’ inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’impugnazione, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita’, dovendo l’atto di ricorso essere autosufficiente, e cioe’ contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (ex plurimis Cass. Sez. 2, n. 13951 del 05/02/2014, Caruso, Rv. 259704).
7. Non puo’ del resto sottacersi come la Corte d’appello abbia congruamente argomentato l’integrazione del delitto ascritto al ricorrente (v. pagine e seguenti della sentenza in verifica), ponendo in luce, per un verso, come (OMISSIS) abbia omesso di versare la somma fissata dal Giudice in sede di separazione; per altro verso, come le condizioni addotte a giustificazione dell’inosservanza degli obblighi – il licenziamento e la sottoposizione a provvedimento limitativo della liberta’ personale – siano in effetti sopravvenute rispetto alle accertate inottemperanze, di tal che non ricorrono le condizioni per configurare validamente l’esimente dell’impossibilita’ assoluta di fare fronte al pagamento dell’assegno.
8. Dalla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 1.000,00 euro.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della cassa delle ammende.
Leave a Reply