Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 9 febbraio 2017, n. 6070

Il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali. In relazione all’elemento psicologico, poi, costituisce insegnamento consolidato quello secondo cui il dolo non richiede – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, ma è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 9 febbraio 2017, n. 6070

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza emessa il 6 maggio 2016, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Palermo che aveva condannato R.G. per il delitto di maltrattamenti in famiglia commesso in danno dei genitori con lui conviventi, mediante ingiurie, minacce e percosse, aggravato dall’aver approfittato dell’età avanzata e delle precarie condizioni di salute delle vittime (artt. 572 e 61, n. 5, cod. pen.), con condotte protrattesi fino all’aprile 2015, e gli aveva irrogato la pena di anni due di reclusione, con diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe l’avvocato Enrico Bennici, nell’interesse del R., articolando tre motivi.
Con il primo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen, avendo riguardo alla sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia e dell’aggravante della minorata difesa. Si deduce che i fatti si collocano in un arco temporale ristretto e che emerge un unico episodio di violenza, sicché manca la prova sia, da un punto di vista dell’elemento oggettivo, della sistematicità della condotta di sopraffazione, sia, da un punto di vista dell’elemento soggettivo, di una volontà di sopraffazione in capo all’imputato; le condotte accertate, inoltre, possono benissimo essere lette come il risultato di incomprensioni tra i diversi familiari. Si contesta, poi, che la sola età delle persone offese possa integrare la circostanza aggravante contestata e ritenuta.
Con il secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Si deduce che non è sufficiente richiamare i precedenti penali dell’imputato e che sono state trascurate sia le condizioni di grave disagio economico e di depressione dell’imputato, sia le sue dichiarazioni di scusa verso i genitori.
Con il terzo motivo, si lamenta violazione di legge, in riferimento all’art. 541 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., avendo riguardo alla condanna alle spese in favore della parte civile. Si deduce che non vi è stata nessuna costituzione di parte civile da parte delle persone offese e che nessuna richiesta di liquidazione di spese è stata mai presentata.
3. Il ricorso è fondato limitatamente alla censura proposta con il terzo motivo, mentre è manifestamente infondato nel resto.
4. Le doglianze esposte nel primo motivo contestano sia l’affermazione di responsabilità dell’imputato tanto sotto il profilo dell’elemento oggettivo quanto sotto il profilo dell’elemento soggettivo, sia la ritenuta configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5, cod. pen..
4.1. Le censure relative all’affermazione di responsabilità sono del tutto prive di pregio.
La sentenza impugnata, con riferimento alla integrazione del fatto tipico, ha rilevato che le dichiarazioni dei due genitori, contenute nelle querele ed acquisite agli atti su consenso delle parti, e della sorella dell’imputato R.N.R. , evidenziano una condotta violenta posta in essere dal ricorrente dal settembre 2014 all’aprile 2015 con carattere di continuità e quotidianità, caratterizzata oltre che da ingiurie estremamente avvilenti, come gli sputi, anche da minacce di morte e da violente percosse, tali da ingenerare uno stato di terrore nelle vittime. La medesima decisione, poi, con riferimento alla sussistenza del dolo, ha rappresentato che la forma di colpevolezza necessaria consiste non nella deliberata programmazione unitaria delle condotte, ma nella coscienza e volontà di porre in essere fatti di sopraffazione in modo abituale, e che, nel caso di specie, tale atteggiamento psicologico è desumibile dalla quotidianità delle offese arrecate alle vittime.
Si tratta di conclusioni immuni da vizi logici e giuridici, pienamente in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato. Invero, con riguardo al fatto tipico, si è precisato che il delitto di maltrattamenti in famiglia non è integrato soltanto dalle percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche dagli atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (cfr., ad esempio, Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962). In relazione all’elemento psicologico, poi, costituisce insegnamento consolidato quello secondo cui il dolo non richiede – a differenza che nel reato continuato – la sussistenza di uno specifico programma criminoso, verso il quale la serie di condotte criminose, sin dalla loro rappresentazione iniziale, siano finalizzate, ma è invece sufficiente la consapevolezza dell’autore del reato di persistere in un’attività delittuosa, già posta in essere in precedenza, idonea a ledere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 15146 del 19/03/2014, D’A., Rv. 259677, nonché Sez. 6, n. 33106 del 14/07/2003, Miola, Rv. 226444).
4.2. Anche per quanto attiene alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5, cod. pen., premesso che di tale circostanza non si è tenuto alcun conto ai fini della concreta determinazione del trattamento sanzionatorio, la censura è del tutto destituita di fondamento: sarebbe già sufficiente considerare che il riferimento nell’imputazione all’età avanzata delle persone offese richiama un elemento specificamente preso in considerazione dall’art. 61, n. 5, cod. pen.; si può anche aggiungere che, secondo quanto formalmente contestatogli, l’imputato ha percosso la madre mentre questa era costretta a letto per motivi di salute.
5. Le doglianze esposte nel secondo motivo contestano la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche. È però incensurabile la conclusione della Corte d’appello, la quale richiama la gravità dei precedenti penali, la mitezza della pena irrogata, corrispondente al minimo edittale, e l’assenza di qualunque elemento favorevole al ricorrente.
6. È fondata la censura formulata nel terzo motivo, concernente la condanna alle spese in favore della parte civile: come osservato nel ricorso, non vi è stata nessuna costituzione di parte civile delle persone offese né risulta che questa abbiano mai presentato alcuna richiesta di liquidazione di spese.
7. In conclusione, all’accoglimento del terzo motivo di ricorso segue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in riferimento al capo relativo alle statuizioni civili.
Alla manifesta infondatezza degli altri motivi, segue la dichiarazione di inammissibilità, nel resto, del ricorso.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle statuizioni civili, che elimina.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso

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