Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 7 aprile 2017, n. 17747

Nell’individuazione del reo attraverso il fotogramma deve essere considerato il fattore temporale. Questo perchè nel caso specifico l’identificazione era avvenuta a distanza di alcuni giorni dall’intervento sul luogo dello spaccio e non risultavano essere state descritte le fattezze fisiche degli spacciatori, così da ingenerare dubbi se i soggetti ripresi fossero i veri spacciatori

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 7 aprile 2017, n. 17747

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabriz – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la ordinanza del 27/10/2016 del Tribunale di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;

udita la relazione svolta dal consigliere Fabrizio D’Arcangelo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio;

udito il difensore, l’avv. (OMISSIS) per (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, accogliendo l’appello cautelare interposto dal Pubblico Ministero, ha adottato, ai sensi dell’articolo 310 c.p.p., la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) e degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), sottoposti ad indagini, in concorso, per il delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commesso in (OMISSIS).

2. La vicenda cautelare trae origine da una operazione di Polizia Giudiziaria finalizzata a reprimere il traffico di stupefacenti posta in essere nella zona di (OMISSIS) nota come “(OMISSIS)”; in data (OMISSIS) i Carabinieri, dopo aver osservato le consolidate modalita’ esecutive dello spaccio, intervenivano, provocando la fuga dei correi, ad eccezione di una vedetta, (OMISSIS), prontamente tratto in arresto. I soggetti datisi alla fuga risultavano, tuttavia, nell’immediato, ignoti agli inquirenti; la identificazione del (OMISSIS), quale spacciatore, e del (OMISSIS) e del (OMISSIS), quali vedette, avveniva, infatti, solo successivamente, con la annotazione del 12 maggio 2016, mediante la visione da parte degli inquirenti delle fotografie presenti agli atti dell’ufficio.

3. Il Giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS), riteneva, tuttavia, insussistenti i gravi indizi di colpevolezza nei confronti degli indagati, in quanto la attivita’ di indagine svolta non aveva consentito la verifica della correttezza della identificazione effettuata ed, in particolare, la identificazione degli indagati non era stata preceduta dalla previa descrizione delle loro fattezze fisiche.

3.1. In particolare il Giudice per le indagini preliminari rilevava che nella annotazione del 12 maggio 2016 i Carabinieri avevano precisato di aver riconosciuto direttamente (OMISSIS) nella fase di osservazione delle attivita’ criminose svoltasi il 7 maggio 2016, ma di tale riconoscimento non vi era alcuna menzione nella relativa annotazione; non vi era, peraltro, una descrizione delle fattezze fisiche del reo che consentisse di operare una comparazione tra il soggetto osservato sul teatro delle attivita’ criminose ed il (OMISSIS).

3.2. Parimenti il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) nella nota del 12 maggio 2016 erano direttamente indicati come due delle vedette osservate in data 7 maggio 2016, perche’ “gia’ note all’ufficio per pregressi controlli”, ma di tale circostanza non vi era alcuna menzione nella annotazione originaria. La metodologia investigativa utilizzata, pertanto, sottraeva ad ogni controllo la identificazione operata dagli inquirenti e, segnatamente, precludeva la possibilita’ di verificarne ex post la attendibilita’.

4. Il Tribunale di Napoli, nella ordinanza impugnata, tuttavia, nell’accogliere l’appello interposto dal Pubblico Ministero, ha stigmatizzato la valutazione del Giudice per le indagini preliminari e, richiamandosi alle emergenze probatorie riportate nell’atto di appello, ha adottato la misura coercitiva della custodia cautelare in carcere nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS) e degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS). La previa descrizione somatica degli autori del reato non era, infatti, necessaria, essendosi in presenza di un riconoscimento fotografico operato da agenti di polizia giudiziaria che, pertanto, aveva il valore di atto pubblico fidefacente.

5. I difensori del (OMISSIS), del (OMISSIS) e del (OMISSIS) ricorrono avverso tale ordinanza, chiedendone l’annullamento.

5.1. L’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia del (OMISSIS), deduce la violazione di legge e la illogicita’ della motivazione in relazione agli articoli 192 e 273 c.p.p., chiedendo l’annullamento della ordinanza impugnata. La identificazione posta in essere dagli operanti era, infatti, avvenuta a distanza di giorni dell’operazione, senza che fossero note le fotografie utilizzate per i riconoscimenti e previamente descritte le fattezze fisiche dei soggetti visti sul teatro delle attivita’ criminose. Errata era, inoltre, la valutazione in ordine alla scelta della misura cautelare. La intensita’ delle esigenze cautelari non poteva essere inferita solo dalle modalita’ del fatto o dalla asserita appartenenza delle persone sottoposte ad indagini ad un “sistema” criminale.

5.2.Analogamente l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia del (OMISSIS), ricorre per cassazione, deducendo “la violazione della legge penale e processuale”, in quanto l’ordinanza non aveva motivato adeguatamente in ordine alla sussistenza di tutti i presupposti necessari per adottare la misura cautelare, e chiede l’annullamento della ordinanza impugnata.

5.3. Con unico motivo (OMISSIS) ricorre personalmente avverso la predetta ordinanza e ne chiede l’annullamento, deducendo la violazione di legge e la illogicita’ della motivazione in relazione agli articoli 192 e 273 c.p.p.. L’appello del Pubblico Ministero era, infatti, fondato esclusivamente su congetture ed il rilievo della natura fidefacente dell’atto di polizia giudiziaria non giustificava alcuna acritica ricezione del valore probatorio della annotazione di polizia giudiziaria redatta in data 12 maggio 2016. Negli atti della polizia giudiziaria, infatti, dapprima si precisava che i soggetti datisi alla fuga non erano noti agli inquirenti e, di seguito, la identificazione dei medesimi era stata operata sulla base di annotazioni relative a pregressi controlli.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi devono essere accolti in quanto fondati.

2. Fondato e’, infatti, il vizio di violazione di legge denunciato dai ricorrenti in ordine alla valutazione operata in ordine ai gravi indizi di colpevolezza.

3. Nella ordinanza impugnata il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice di appello, stigmatizzando inopinatamente il sindacato dal Giudice per le indagini preliminari come “inutilmente zelante” e “soprattutto poco corretto laddove finisce con il sindacare le modalita’ di redazione dei verbali ad opera della PG atti che fanno fede fino a querela di falso”, ha ritenuto radicalmente errato il rigetto della richiesta di applicazione delle misure cautelari espresso dal Giudice per le indagini preliminari con la ordinanza emessa in data 27 giugno 2016.

4. Non si trattava, invero, di un censurabile eccesso di zelo, bensi’ dell’esercizio del doveroso controllo sulla sussistenza della gravita’ indiziaria, indefettibilmente richiesto al fine di addivenire ad una limitazione della liberta’ personale in fase cautelare, e di una valutazione legittima e non irragionevole del dato probatorio offerto alla cognizione del giudice.

5. Certamente illegittima e’, invece, la valutazione delle ricognizioni fotografiche operata dal Tribunale del riesame di Napoli.

6. Secondo la ordinanza impugnata, infatti, nel caso di riconoscimento operato direttamente dalla polizia giudiziaria non si sarebbe al cospetto di un atto posto in essere da “un qualsiasi denunciante”, ma di un atto pubblico fidefacente.

7. Tale valutazione si rivela, tuttavia, in radicale ed insanabile contrasto con il dettato normativo sia in quanto attribuisce al riconoscimento fotografico operato dagli agenti di polizia uno statuto probatorio privilegiato, invero insussistente, sia in quanto determina la abdicazione da ogni forma di sindacato giudiziale su tale atto probatorio.

8. Illegittima, in primo luogo, e’ la attribuzione al riconoscimento fotografico operato dalla polizia giudiziaria del valore di atto fidefacente.

9. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, in materia di valutazione della prova il giudice puo’ trarre il proprio convincimento da ogni elemento purche’ acquisito non in violazione di uno specifico divieto. In questa prospettiva interpretativa il riconoscimento fotografico operato in sede di indagini di polizia giudiziaria, ancorche’ non sia regolato dal codice di rito, costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio ai sensi dell’articolo 189 c.p.p. (Sez. 5, n. 6456 del 01/19/2015, Verde, Rv. 266023).

10. La certezza del riconoscimento fotografico non discende invero dal riconoscimento come strumento probatorio, ma dall’attendibilita’ accordata alla deposizione di chi si dica certo dell’individuazione (ex multis: Sez. 4, n. 16902 del 04/02/2004, Pantaleo, Rv. 228043). Pertanto, anche nelle ipotesi in cui il riconoscimento sia operato da agenti della polizia giudiziaria, il giudice non e’ esonerato dalla valutazione della efficacia dimostrativa di tale atto.

11. L’attivita’ di individuazione attraverso la fotografia e’, infatti, stata sempre ritenuta dalla giurisprudenza una mera indicazione in fatto, non avente la stessa forza probante della formale ricognizione di persona, da valutare liberamente seppure con particolare attenzione (cfr., ex pluribus, Sez. 6, n. 28972 del 28/05/2013, Luongo, Rv. 257393). La sua forza dimostrativa non risiede, pertanto, nell’atto in se’ (come e’, invece, per la ricognizione formale) ma nel complesso delle necessarie valutazioni di supporto (quale esplicazione del libero convincimento del giudice) che inducano ad assumerne la sostanziale attendibilita’.

12. Acclarato che l’atto di ricognizione fotografica operato dalla polizia giudiziaria non gode di uno statuto probatorio sovraordinato rispetto a quello posto in essere da qualsiasi altro soggetto che abbia assistito al compimento di attivita’ delittuose, deve rilevarsi come il giudice debba motivare in ordine alla attendibilita’ di tale mezzo di prova anche in considerazione delle specifiche modalita’ di assunzione di tale atto. Le stesse, infatti, pur non riguardando la legalita’ di tale mezzo di prova, si riflettono sulla sua efficacia dimostrativa.

13. Secondo alcune pronunce della giurisprudenza di legittimita’ l’individuazione fotografica non deve essere preceduta dalla descrizione delle fattezze fisiche della persona indagata, trattandosi di adempimento preliminare richiesto solo per la ricognizione di persona (Sez. 2, n. 9380 del 20/02/2015, Panarese, Rv. 263302; Sez. 1, n. 47937, del 09/11/2012, Palumbo, Rv. 253885); altre pronunce rilevano, tuttavia, che le modalita’ con cui viene effettuato il riconoscimento devono avvicinarsi il piu’ possibile all’analogo mezzo di prova tipico costituito dalla ricognizione di persona (Sez. 5, n. 9505, del 24/11/2015, Coccia, Rv. 267562).

14. Invero, pur non essendo possibile pervenire, stante la atipicita’ di tale strumento probatorio, ad una compiuta tipizzazione delle cautele procedimentali che devono assistere l’assunzione di tale atto, la metodologia dell’assunzione del riconoscimento fotografico influenza la sua efficacia dimostrativa.

15. La efficacia probatoria dell’atto ricognitivo, in altri termini, e’ condizionata all’adozione di cautele che consentano alle parti ed al giudice di esercitare la necessaria verifica postuma in ordine al grado di attendibilita’ di colui che opera il riconoscimento.

16. Il grado di attendibilita’ di tale atto probatorio, infatti, pur senza addivenire a rigidi automatismi, puo’ mutare in ragione della ricezione, prima dell’atto ricognitivo, della descrizione puntuale delle fattezze dell’autore del reato e della precisazione del contesto della percezione visiva avuta del medesimo, anche nella sua durata e nelle sue modalita’, nonche’ della disponibilita’ della fotografia o del fotogramma sulla base della quale e’ operato il riconoscimento.

17. Declinando tali principi nel caso di specie, deve rilevarsi come il Tribunale di Napoli nella ordinanza impugnata abbia integralmente obliterato ogni valutazione della attendibilita’ del riconoscimento fotografico operato dagli inquirenti, senza considerare che la identificazione posta in essere dagli operanti era avvenuta a distanza di alcuni giorni dall’intervento sul luogo dello spaccio e, per quanto emerge dagli atti disponibili, non risultavano essere state descritte le fattezze fisiche degli spacciatori, ne’ indicata specificamente la fonte delle fotografie utilizzate per tale operazione e la loro datazione.

18. Fondato e’, inoltre, anche il difetto di motivazione denunciato dai ricorrenti.

19. La ordinanza impugnata, infatti, si limita a stigmatizzare la valutazione del Giudice per le indagini preliminari in punto di efficacia probatoria del riconoscimento fotografico, obliterando la delibazione di ogni ulteriore presupposto per procedere alla applicazione della richiesta misura cautelare. Nel testo della stessa e’, infatti, integralmente assente la disamina della gravita’ indiziaria e delle esigenze cautelari relativamente a ciascun indagato, la valutazione della adeguatezza e della proporzionalita’ della cautela applicata e la verifica della insussistenza delle cause ostative alla adozione della stessa.

20. Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’ tuttavia, l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione delle misure cautelari e dunque questi, qualora intenda accogliere l’impugnazione, e’ tenuto a pronunziarsi anche in ordine alla configurabilita’ delle esigenze cautelari non considerate dal primo giudice (ex plurimis: Sez. 6, n. 10032 del 03/02/2010, Picchi, Rv. 246283; Sez. 6, n. 11231 del 28/02/2001, Nardo, Rv. 218618).

21. Alla stregua di tali rilievi l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata

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