Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 6 marzo 2017, n. 10879

Punibile per rifiuto di atti d’ufficio l’amministratore di sostegno che non presenta il rendiconto finale

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 6 marzo 2017, n. 10879

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia An – rel. Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. il (OMISSIS) a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 15 dicembre 2014 della Corte di appello di Trieste;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIORDANO Emilia Anna;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CARDIA Delia, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. La Corte di appello di Trieste, con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato quella del giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Udine che, con la diminuente del rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS) alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di cui all’articolo 328 c.p., commesso in (OMISSIS) il (OMISSIS).

2. I giudici di merito hanno ritenuto (OMISSIS), nominato amministratore di sostegno del padre (OMISSIS), responsabile del reato di indebito rifiuto di un atto del suo ufficio che per ragioni giustizia doveva essere compiuto senza ritardo e, cioe’, per avere omesso di depositare il rendiconto finale dell’amministrazione di sostegno, come da ultimo richiestogli con provvedimento del giudice tutelare del 31 maggio 2010, notificatogli il (OMISSIS). A fondamento del giudizio di colpevolezza, oltre ai dati di natura documentale, la Corte di merito ha illustrato le dichiarazioni rese dai fratelli dell’imputato sull’andamento dell’amministrazione dei beni di (OMISSIS), da parte del congiunto, amministrazione alla quale residuava il pagamento della retta di degenza del genitore, nel frattempo deceduto.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, con motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il difensore dell’imputato che deduce vizio di violazione di legge in relazione all’articolo 328 c.p., comma 1, e articolo 43 c.p.. Dopo un’articolata disamina del reato di omissione di atti di ufficio, rileva che il reato di cui all’articolo 328 c.p., onde non risolversi in un inutile duplicazione di norme o regole di diritto amministrativo, non puo’ interpretarsi come reato di pericolo presunto e richiede che si accertino in concreto gli effetti dannosi del comportamento omissivo, effetti che il comportamento dell’imputato non ha procurato; che, nel caso, difetta l’urgenza sostanziale impositiva del compimento dell’atto, quindi la valutazione circa la pretesa indifferibilita’ dell’azione e le conseguenze della stessa, che non pare sussistere in base alle dichiarazioni rese in udienza. Deduce, altresi’, che la sentenza impugnata non ha dato alcuna spiegazione circa il tipo di apprezzamento che l’imputato avrebbe potuto e dovuto esperire sulla base delle sue competenze e conoscenze, a lui evidentemente non note e sulla percezione del pericolo derivante dalla sua omissione. Ne’ la sentenza motiva sull’elemento psicologico del reato. Con il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge per la mancata qualificazione del fatto come omissione prevista dall’articolo 328 c.p., comma 2 essendosi risolta la condotta dell’imputato in una forma di inerzia, a fronte della richiesta del giudice tutelare, poiche’ il discrimen tra l’ipotesi di cui al comma 1 e l’ipotesi di cui al comma 2 non e’ ravvisabile nella natura dell’interesse (pubblicistico o privato) sottostante, stante la natura plurioffensiva del reato.

3. Il ricorso e’ inammissibile per la mancanza di specificita’ e manifesta infondatezza dei motivi di ricorso.

4. Rileva il Collegio che, alla stregua di un pacifico insegnamento giurisprudenziale, la condotta tipizzata nella fattispecie normativa di cui all’articolo 328 c.p., comma 1, costituisce un reato di pericolo che si perfeziona con la semplice omissione del provvedimento di cui si sollecita la tempestiva adozione, in quanto incidente su beni di valore primario tutelati dall’ordinamento, nella specie da compiere per ragioni di giustizia e senza ritardo, indipendentemente dallo specifico atto e dal nocumento che possa derivarne (ex multis Sez. 6, n. 34066 del 04/07/2006, Rv. 235219).

A tale principio si e’ correttamente uniformata l’impugnata pronuncia, il cui iter motivazionale, linearmente ed esaustivamente argomentato, ha mostrato di condividere le conclusioni alle era gia’ pervenuto il Giudice di prime cure, offrendo piena risposta alle deduzioni ed ai rilievi difensivi, attraverso una completa ed approfondita disamina delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, in questa Sede, sotto il profilo della congruita’ e della correttezza logica. A tale riguardo, infatti, la Corte di merito ha posto in rilievo come l’imputato avesse ricevuto piu’ inviti del giudice tutelare a depositare il conto di gestione, da ultimo con la notifica, a mani dell’imputato, di un provvedimento che gliene ingiungeva il deposito entro il termine di 45 giorni, invito anche questo andato deserto e che, per la sua chiarezza, con riguardo alla redazione di un analitico inventario del patrimonio e quindi del rendiconto di gestione, non era suscettibile di fraintendimento. Il provvedimento del giudice tutelare, intervenuto in una procedura regolata dalle disposizioni del codice civile che regolano l’attivita’ dell’amministratore di sostegno ponendo a suo carico specifici obblighi, e’ pienamente idoneo ad integrare un ordine che solleciti un comportamento certo e determinato per ragioni di giustizia, non potendosi pertanto ravvisare nella condotta dell’imputato, una mera inerzia. Ai fini del dolo, e’, inoltre, necessario e sufficiente che il pubblico ufficiale abbia consapevolezza del proprio contegno omissivo, dovendo egli rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra ius, senza che il diniego di adempimento trovi alcuna plausibile giustificazione alla stregua delle norme che disciplinano il dovere di azione.

4. Correttamente, dunque, i Giudici di merito hanno ritenuto sussumibile il fatto nello schema descrittivo tipizzato nella fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 328 c.p., comma 1 ponendo in risalto il carattere indebito del rifiuto, in quanto non giustificato dalla pertinente normativa che disciplina i doveri d’ufficio dell’amministratore di sostegno, ne’ da alcuna riconoscibile situazione di impossibilita’ nell’adempimento dell’incarico attribuito al ricorrente, nella descritta qualita’.

5. Il ricorso e’ dunque inammissibile e il ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., va condannato ai pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma, che si ritiene equo determinare nella misura di Euro 500,00, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro cinquecento in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.

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