Non integra il delitto di cui all’art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria dei privato, mera espressione di sentimenti ostili, non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali.
La prospettazione di denunciare taluno all’autorità giudiziaria non costituisce, di per sé, né minaccia né oltraggio, e tanto meno diventa di contenuto oltraggioso quando ad essa si accompagna la specificazione dell’oggetto della denuncia esternata senza arroganza, ma rimanendo nei limiti della protesta espressa in termini civili, anche se risentiti.
Ai fini della configurabilità del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà di quest’ultimo la pronuncia della frase “se mi fate il verbale, poi vediamo”, proferita all’indirizzo di agenti di polizia dal conducente di motoveicolo, rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI penale
sentenza 6 luglio 2016, n. 27955
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 5 giugno 2014 la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza di assoluzione, emessa all’esito di giudizio abbreviato il 29 novembre 2012 dal Tribunale di Nicosia nei confronti di D.P., lo ha riconosciuto colpevole dei reato di minaccia a pubblico ufficiale, in esso assorbito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e, previo riconoscimento di attenuanti generiche e la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione con i doppi benefici.
In sede di merito è stato accertato che, a seguito di un controllo su strada, i carabinieri di Capizzi in data 27 novembre 2011 avevano elevato una contravvenzione al conducente dell’autovettura di proprietà di D.P., che, presentatosi in caserma alcuni giorni dopo per esibire la carta di circolazione, risultava non aver sottoposto il veicolo a revisione. Il D. aveva allora preso il telefono ed intimato al carabiniere G. di stare attento perché lo stava filmando e di non fargli il verbale, altrimenti lo avrebbe denunciato. Poiché il militare redigeva ugualmente il verbale, il D. aveva detto al G. ed al collega M. presente di sbrigarsi, in quanto doveva aprire il negozio e non poteva aspettare i loro porci comodi.
Il giudice di primo grado aveva assolto il D. per insussistenza del fatto, ritenendo non seria la minaccia, la denuncia prospettata un rimedio legittimamente esperibile per far valere la supposta lesione di un diritto e l’insussistenza del reato di oltraggio, in quanto la frase non era stata pronunciata in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Accogliendo l’appello del P.m., i giudici di secondo grado hanno ritenuto ravvisabile nella condotta dell’imputato entrambi i reati, atteso che, stante l’incontestabilità della violazione, la minaccia di sporgere denuncia non era correlata ad alcun abuso dei pubblici ufficiali, ma solo strumentale ad indurre i militari a non compiere un atto di ufficio, e, stante il carattere ingiurioso delle espressioni pronunciate dall’imputato nei confronti dei militari all’interno della caserma, luogo aperto al pubblico, era sussistente l’oltraggio, da ritenersi assorbito nel reato di cui all’art. 336 cod. pen.
2. Avverso la sentenza ricorre il difensore dell’imputato, che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
2.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di minaccia a pubblico ufficiale: la Corte ha ritenuto sussistente il reato in palese contrasto con la prova documentale prodotta nel giudizio di primo grado relativa alla dichiarata illegittimità delle sanzioni amministrative irrogate dai CC di Capizzi, risultante da due sentenze emesse dal giudice di pace di Nicosia il 20/27 febbraio 2012, dei tutto ignorata dalla Corte di appello. Pertanto, il D. era già convinto dell’illegittimità dell’operato dei militari, tant’è che propose opposizione ed ottenne ragione con annullamento del verbale di contestazione e ciò dimostra l’oggettiva illegittimità dell’atto amministrativo, che anche se solo putativa, si riflette sul dolo dei reato;
2.2 mancanza della motivazione in ordine al reato di oltraggio: la motivazione è apparente in ordine alla sussistenza dell’offesa all’onore e al decoro dei p.u., trattandosi piuttosto di frase inelegante e volgare, espressiva di mero disappunto per la fretta di recarsi al lavoro;
2.3 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 336 cod. pen. e mancanza dell’elemento oggettivo del reato: erroneamente è stata applicata la norma in mancanza dell’elemento essenziale della minaccia ovvero l’ingiustizia del danno e la Corte non ha motivato le ragioni per le quali la denuncia prospettata dall’imputato dovesse ritenersi una minaccia, tenuto conto della convinzione del D. della natura illegittima dell’atto dei p.u.; tenuto conto, peraltro, che il D. non è un giurista, l’espressione andava intesa come ricorso all’autorità giudiziaria e non come denuncia penale;
2.4 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 336 cod. pen. per mancanza dell’elemento oggettivo della serietà della minaccia: nel caso di specie mancava l’idoneità della minaccia a limitare o coartare la libertà morale del p.u.;
2.5 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 336 cod. pen. per mancanza dell’elemento soggettivo: la mera convinzione della illegittimità dell’atto compiuto dal p.u. esclude il dolo, a maggior ragione, stante l’accertata illegittimità, come nel caso di specie;
2.6 inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 336 e 51 cod. pen.: il prospettato esercizio di un diritto non può configurare la minaccia di male ingiusto e nel caso di specie l’esito dei contenzioso ha dato ragione all’imputato; in ogni caso, il convincimento, ancorché in ipotesi erroneo dell’imputato circa l’illegittimità dell’atto, scrimina la condotta;
2.7 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 341 bis cod. pen. per mancanza dell’elemento materiale dei reato: manca l’elemento essenziale, costituito dalla presenza di più persone, essendo emerso che, come ritenuto dal primo giudice, nessun altro era presente oltre ai due pubblici ufficiali oltraggiati;
2.8 inosservanza ed erronea applicazione dell’art.341 bis cod. pen. per mancanza dell’altro elemento materiale del reato ovvero il luogo pubblico o aperto al pubblico, non potendosi ritenere tale la caserma, come esattamente ritenuto dal primo giudice.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
Sebbene il ricorrente fornisca una lettura dell’episodio alla luce di un elemento sopravvenuto, successivo al fatto, ovvero sulla scorta della decisione favorevole ottenuta due mesi dopo in sede giudiziaria con annullamento della sanzione amministrativa irrogatagli in base alla contravvenzione elevata dai carabinieri, le modalità del fatto non consentono di ritenere integrato il reato di minaccia a pubblico ufficiale.
Ed invero, tenuto conto del contesto e della reazione dell’imputato, contrariato dal vedersi contestare un’ulteriore violazione, anziché annullare la precedente contestazione, la minaccia di riprendere con il telefonino quanto stava accadendo e di sporgere denuncia deve ritenersi in concreto inidonea a coartare il pubblico ufficiale per assenza di potenzialità costrittiva di una minaccia generica, reattiva e dettata dalla percezione dell’imputato di sentirsi vessato dai militari.
Si è, infatti, ritenuto che non integra il delitto di cui all’art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria dei privato, mera espressione di sentimenti ostili, non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell’assolvimento dei suoi compiti istituzionali (Sez. 6, n. 20320 del 07/05/2015, Rv. 263398: nella specie, questa Corte ha ritenuto non integrare l’elemento materiale del reato l’utilizzo dell’espressione “se mi fai la contravvenzione giuro che te la faccio pagare, chiamo il mio avvocato e ti querelo”).
Nella stessa linea si collocano altre decisioni nelle quali si è stabilito che la prospettazione di denunciare taluno all’autorità giudiziaria non costituisce, di per sé, né minaccia né oltraggio, e tanto meno diventa di contenuto oltraggioso quando ad essa si accompagna la specificazione dell’oggetto della denuncia esternata senza arroganza, ma rimanendo nei limiti della protesta espressa in termini civili, anche se risentiti (Sez. 6, n. 4826 del 16/03/1998, Episcopo A, Rv. 211058); ed ancora, ai fini della configurabilità del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà di quest’ultimo la pronuncia della frase “se mi fate il verbale, poi vediamo”, proferita all’indirizzo di agenti di polizia dal conducente di motoveicolo, rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà (Sez. 6, n. 18282 del 27/02/2007 Sorgente, Rv. 236446).
2. Quanto al reato di oltraggio, va evidenziato che, pur essendo la caserma luogo aperto al pubblico, perché ad essa hanno possibilità di accesso i cittadini per denunce e richieste, fondata è la censura in ordine all’insussistenza del reato per la mancanza di un elemento costitutivo ovvero la presenza di più persone, non potendo comprendersi in tale nozione la presenza dell’altro militare, in tesi d’accusa, anch’egli destinatario dell’offesa.
Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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