Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 5 luglio 2016, n. 27604

Il soggetto chiamato a deporre in qualità di parte offesa o di persona informata dei fatti di un reato di cui sia rimasto vittima ovvero mero protagonista, quale mero acquirente-consumatore di stupefacenti, non lo abilita a violare l’obbligo su di lui gravante di riferire quanto di sua conoscenza, a meno che non espliciti, in maniera anche solo allusiva, ma comunque inequivocabile, di essere fatto segno, direttamente o attraverso un prossimo congiunto, di attuale minaccia o violenza ovvero di avvio di un procedimento a suo carico

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 5 luglio 2016, n. 27604

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo – Presidente
Dott. CARCANO Domenico – rel. Consigliere
Dott. VILLONI Orlando – Consigliere
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere
Dott. SCALIA Laura – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso la sentenza n. 921/2014 della CORTE APPELLO di VENEZIA, del 13/6/2014;
Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in udienza pubblica la relazione fatta dal Consigliere dott. Domenico Carcano;
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Enrico Delehaye, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e in subordine l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) impugna la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha confermato la decisione, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale il giudice di primo grado lo ha dichiarato responsabile del delitto di favoreggiamento personale a vantaggio di (OMISSIS), limitandosi a ridurre la pena inflitta.
In particolare, l’accusa formulata a carico di (OMISSIS) e’ quella di avere telefonicamente informato – dopo essere stato sentito dagli organi di polizia quale persona informata dei fatti – (OMISSIS) di dismettere immediatamente le utenze telefoniche di cui aveva la disponibilita’, riferendogli che erano in corso indagini a suo carico e, per tal motivo, era esposto a rischio di intercettazioni. Intervento, ritenuto dal giudice di primo grado, decisivo per neutralizzare l’attivita’ di intercettazione in corso nei confronti di (OMISSIS).
La Corte d’appello precisa che il giudice di primo grado ha escluso la fondatezza alla tesi difensiva secondo cui (OMISSIS) avrebbe parlato per favorire se stesso; tesi non sostenibile poiche’ l’informazione resa a (OMISSIS), non e’ intervenuta prima o durante, ma solo dopo il colloquio avuto da (OMISSIS) con gli organi di polizia.
Ad avviso dei giudici di merito, (OMISSIS), da un lato, ha mostrato di voler collaborare con gli inquirenti e, dall’altro, ha poi ostacolato le indagini nei confronti di (OMISSIS).
La Corte d’appello ha condiviso le conclusioni cui e’ giunto il giudice di primo grado, disattendendo i motivi di gravame e, in particolare, ritenendo infondata la deduzione difensiva diretta a ottenere l’applicazione dell’esimente di cui all’articolo 384 c.p., poiche’ all’epoca in cui (OMISSIS) fu sentito come persona informata dei fatti non era sottoposto ad alcuna indagine relativa a traffico di stupefacente in concorso con (OMISSIS), non essendoci elementi a suo carico; ipotesi emersa solo dopo la telefonata a (OMISSIS).
In conclusione, al momento in cui (OMISSIS) ebbe a parlare con gli inquirenti e a informare (OMISSIS) non era indagato e per tale ragione, ribadisce anche la Corte d’appello, non e’ configurabile l’esimente di cui all’articolo 384 c.p..
2. Il difensore di (OMISSIS), avvocato (OMISSIS), deduce:
– violazione di legge in punto di mancata applicazione della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 384 c.p..
Ad avviso della difesa, la telefonata di (OMISSIS) a (OMISSIS) del 27 gennaio trova spiegazione nel fatto che egli era a conoscenza che le utenze di (OMISSIS) erano sotto controllo per essere implicate in un traffico di stupefacente. Per tal motivo, egli, appena apprende delle indagini in corso, avverte (OMISSIS) di dismettere le utenze telefoniche.
La difesa dopo avere esposto i singoli argomenti riportati nella sentenza di primo grado e condivisi dal giudice d’appello, ritiene che l’interpretazione applicativa dell’articolo 384 c.p., e’ erronea poiche’ escluderebbe ab origine la invocazione dell’esimente pur in presenza di un pericolo di danno futuro.
In tal modo, l’ambito di operativita’ dell’esimente e’ limitato a soli casi in cui non vi sia piu’ pericolo e sia certa la lesione alla propria liberta’ e l’onore.
L’impostazione dei giudici di merito e’ di ritenere che l’attualita’ del pericolo avrebbe dovuto essere caratterizzata da una indagine in corso nei confronti di (OMISSIS) per traffico di stupefacenti in concorso con (OMISSIS).
Invece, cio’ che (OMISSIS) intende evitare e’ l’avvio di quella indagine dalla quale egli vuole difendersi e tutelarsi.
Nella giurisprudenza di legittimita’, la fattispecie dell’articolo 384 c.p., tipizza un pericolo, cioe’, di alta probabilita’ di realizzazione del nocumento alla liberta’ o all’onore. Ne discende che l’utilizzo delle utenze telefoniche di (OMISSIS) costituiva percolo concreto e attuale di nocumento a (OMISSIS).
In conclusione, ad avviso della difesa, vi e’ un auto-favoreggiamento mediato il cui effetto e’ che il favoreggiamento del terzo e’ anche l’unico strumento per favorire se stesso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.
Anzitutto va precisato che la causa di non punibilita’ invocata nel caso in esame e’ quella prevista dal primo comma dell’articolo 384 c.p., e non quella del secondo comma del predetto articolo che configura una diversa “tipicita’ del fatto”, applicabile solo ai reati “propri” in essa previsti nonche’ anche al delitto di favoreggiamento, in forza della sentenza n. 416 del 1996 che ha esteso la tassativita’ delle ipotesi di reato anche al favoreggiamento sempre che realizzato, al pari delle altre ipotesi delittuose indicate, mediante false o reticenti dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria. Norma, quella del secondo comma, estesa ulteriormente con sentenza n. 75 del 2009 del Giudice delle leggi mediante false o reticenti dichiarazioni fornite agli organi di polizia giudiziaria “da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente connesso a quello commesso da altri, cui le dichiarazioni si riferiscono:
Delineato il corretto ambito giuridico della vicenda, va ulteriormente precisato che anche qui si e’ in presenza di una “azione tipica” del soggetto che commette il fatto perche’ costretto al fine di evitare “un grave e inevitabile nocumento alla liberta’ o all’onore” per se’ medesimo o un prossimo congiunto.
2. I Giudici di merito hanno puntualmente ricostruito la vicenda concreta, come descritta in narrativa, escludendo correttamente la configurabilita’ degli elementi richiesti per integrare la “causa di non colpevolezza” prevista dal citato primo comma dell’articolo 384 c.p., concordando entrambi sul fatto che (OMISSIS), dopo essere stato sentito dagli organi di polizia giudiziaria, quale persona informata sui fatti, ebbe a telefonare al proprio “fornitore” di stupefacenti, (OMISSIS), “per sollecitarlo a immediatamente dismettere le utenze telefoniche”, in tal modo neutralizzando l’attivita’ di indagine svolta a carico di (OMISSIS).
In altri termini, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, e’ da escludere che (OMISSIS) avrebbe parlato per favorire se’ stesso, poiche’ l’informazione resa a (OMISSIS), non e’ intervenuta prima o durante, ma solo dopo il colloquio avuto da (OMISSIS) con gli organi di polizia nel corso del quale il predetto (OMISSIS) fu sentito come consumatore di stupefacenti su fatti riguardanti (OMISSIS).
Nella sentenza impugnata, come gia’ detto in narrativa, si afferma che (OMISSIS), da un lato, ha mostrato di voler collaborare con gli inquirenti e, dall’altro, ha poi ostacolato le indagini nei confronti di (OMISSIS).
Vi fu, dunque, favoreggiamento, poiche’ (OMISSIS) non era sottoposto ad alcuna indagine – altrimenti non avrebbe potuto essere sentito ex articolo 362 c.p.p., bensi’ con l’assistenza del proprio difensore – e aiuto’ in quel momento (OMISSIS) ad eludere le indagini di polizia giudiziaria. Ne’ rilievo alcuno puo’ avere ai fini della conclusione raggiunta la circostanza che (OMISSIS) fu poi sottoposto a procedimento penale anche per concorso nell’attivita’ di spaccio con (OMISSIS), accusa dalla quale poi fu assolto dal giudice di primo grado che ritenne invece (OMISSIS) responsabile del solo delitto di favoreggiamento.
La situazione pur suggestiva non e’ tale da incidere sulla condotta realizzata al momento in cui (OMISSIS) non era indiziato per tale reato ne’ avrebbe potuto ritenere di esserlo, come rilevato dalla Corte d’appello.
3. Il Collegio ritiene di confermare quanto gia’ affermato in precedenza da questa Corte di legittimita’ secondo cui in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, l’esimente prevista dall’articolo 384 c.p., comma 1, non puo’ essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla liberta’ o all’onore, implicando essa un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialita’ e non di semplice supposizione (ex plurimis v. Sez. 6, 2/4/15, n.19110; id. 28/3/2014, n.13086; id. 15/11/2012, n. 10271).
In conclusione, il soggetto chiamato a deporre in qualita’ di parte offesa o di persona informata dei fatti di un reato di cui sia rimasto vittima ovvero mero protagonista, quale mero acquirente-consumatore di stupefacenti, non lo abilita a violare l’obbligo su di lui gravante di riferire quanto di sua conoscenza, a meno che non espliciti, in maniera anche solo allusiva, ma comunque inequivocabile, di essere fatto segno, direttamente o attraverso un prossimo congiunto, di attuale minaccia o violenza ovvero di avvio di un procedimento a suo carico.
4. Il ricorso va, dunque, rigettato e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *