In tema di peculato, l’appropriazione si realizza con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente uti dominus nei confronti della cosa posseduta in ragione dell’ufficio, che conseguentemente viene estromessa totalmente dal patrimonio dell’avente diritto
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 30 maggio 2016, n. 22800
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 28 febbraio 2011 dal Tribunale di Lecco nei confronti di M.A. , ritenuto colpevole del delitto di peculato continuato e condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione con i doppi benefici.
Nel giudizio di merito si è accertato che il M. , agente scelto della Polizia di Stato, addetto al posto fisso presso l’ospedale (omissis) , aveva utilizzato in 13 occasioni il fax dell’ufficio per trasmettere documentazione relativa a pratiche infortunistiche allo Studio Scai con il quale collaborava insieme al suocero: la circostanza, confermata da testimoni, era stata ammessa dallo stesso imputato, che, in altre occasioni, aveva utilizzato anche la fotocopiatrice dell’ufficio per finalità estranee all’attività istituzionale.
Ritenuto che l’utilizzo di strumentazione pubblica per fini privati integra il peculato, la Corte di appello ha escluso la possibilità di ravvisare nel caso di specie il peculato d’uso, come prospettato dalla difesa dell’imputato, in quanto le energie utilizzate non potevano essere restituite; ha anche escluso la configurabilità dell’ipotesi lieve di cui all’art. 323 bis cod. pen., in quanto il modesto valore economico dei beni aveva giustificato il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., mentre la valutazione globale del fatto non consentiva di riconoscerne un disvalore minimo.
2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell’imputato, che ne chiede l’annullamento per due motivi:
– violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.: si deduce l’insussistenza del reato per mancanza di danno patrimonialmente apprezzabile, stante la modestia della condotta, consistita nell’invio di 13 fax nell’arco di due mesi, ed il salto logico della motivazione nella parte in cui ritiene che l’imputato aveva destinato l’ufficio a succursale della società privata. L’utilizzazione dei beni della pubblica amministrazione sarebbe stata episodica e non avrebbe leso la funzionalità dell’ufficio;
– violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 314, comma 2, cod. pen.: la Corte di appello avrebbe errato nel non ritenere configurabile il peculato d’uso, ravvisato nel caso di indebito utilizzo del telefono d’ufficio per la non realizzabilità della appropriazione definitiva delle energie costituite dalle onde elettromagnetiche così come della somma al cui esborso l’uso indebito espone l’ufficio né è stato chiarito perché non ricorresse nel caso di specie, stante il carattere occasionale e l’inoffensività della condotta.
Considerato in diritto
1. Il ricorso va accolto in ragione della diversa qualificazione giuridica del fatto e della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione.
Premesso che in tema di peculato l’appropriazione si realizza con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente uti dominus nei confronti della cosa posseduta in ragione dell’ufficio, che conseguentemente viene estromessa totalmente dal patrimonio dell’avente diritto, nel caso in esame non è ravvisabile il peculato, mancando la definitiva perdita del bene da parte della pubblica amministrazione, in quanto sia sul piano oggettivo che soggettivo è emerso che l’imputato ha solo fatto un uso indebito del fax dell’ufficio, distogliendolo temporaneamente dalla sua destinazione originaria per fini personali.
Nella sentenza n. 19054/13 le Sezioni Unite hanno chiarito che in caso di utilizzo del telefono d’ufficio non sono oggetto di appropriazione definitiva né il bene materiale né l’energia elettrica, necessaria ad attivare le onde elettromagnetiche, che viene in rilievo quale entità di consumo inscindibilmente legata al funzionamento dell’apparecchio e, pertanto, non può costituire l’oggetto diretto, specifico ed autonomo della condotta dell’agente, né il costo che la pubblica amministrazione sopporta per l’utilizzo indebito del bene, trattandosi di una conseguenza della condotta dell’agente infedele, il quale non ha il previo possesso delle somme corrispondenti all’onere economico che la pubblica amministrazione sostiene per effetto della sua condotta.
Chiarito, altresì, che nel caso in esame l’imputato utilizzava in modo programmaticamente momentaneo il fax dell’ufficio per scopi privati e che l’abuso del possesso del bene della pubblica amministrazione non si è tradotto nella stabile inversione in dominio, in quanto, dopo l’uso arbitrario, il bene è stato restituito alla sua destinazione pubblicistica originaria, nella fattispecie non solo va esclusa la configurabilità del peculato ma anche del peculato d’uso per mancanza di concreta offensività del fatto.
Per la rilevanza penale del fatto occorre sempre che l’uso indebito produca un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi o una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio, non ravvisabili nella fattispecie in ragione della minima entità del danno cagionato, neppure quantificato.
Tuttavia, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la condotta non è penalmente irrilevante, residuando l’abuso d’ufficio quale cornice legale nella quale sussumerla.
Infatti, come già precisato da questa Corte, mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell’appropriazione di danaro o altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio – onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell’appropriazione -, nell’abuso di ufficio – di carattere sussidiario – la condotta si identifica con l’abuso funzionale, cioè con l’esercizio delle potestà e con l’uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l’esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno (Sez. 6, sentenza n. 20094 del 04/05/2011, Rv. 250071, relativa proprio all’indebito utilizzo del fax dell’ufficio per ottenere informazioni all’Aci su autovetture immatricolate a Trieste al fine di favorire la moglie, procacciatrice di affari per conto di un’agenzia di assicurazioni).
Si è, altresì, affermato che “Integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del pubblico dipendente di indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto” (Sez. 6, n. 14978 del 13/03/2009, Rv. 243311; Sez. 6, 2.4.1992 n. 10896, Bronte, Rv. 192873; Sez. 6, 12.12.2000 n. 381, Genchi, Rv. 219086; Sez. 6, 9.4.2008 n. 31688, Cannalire, Rv. 240692) ed è indubbio, per come accertato dai giudici di merito, che il M. abbia reiteratamente utilizzato e per un discreto arco temporale il fax dell’ufficio per ricevere e trasmettere documenti ed atti, consegnatigli dai clienti proprio all’interno dell’ufficio, alla società con la quale collaborava per curare pratiche infortunistiche, destinando l’ufficio a succursale della stessa.
Oggettivo è, quindi, il reiterato indebito utilizzo del fax dell’ufficio, di norma destinato alla ricezione di comunicazioni ed atti urgenti presso il posto di polizia dell’ospedale pubblico, per scopi meramente privati in consapevole violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti ad un pubblico ufficiale: in sostanza, l’imputato ha coscientemente e volontariamente realizzato le condotte contestate, strumentalizzando ed abusando dell’ufficio e dei mezzi a sua disposizione per procurarsi l’ingiusto vantaggio di velocizzare pratiche infortunistiche, favorendo i clienti ai quali evitava il disagio di recarsi presso la sede della società e curando, parallelamente, in orario di lavoro, la propria attività privata.
L’infondatezza del ricorso ne imporrebbe il rigetto, tuttavia, sullo stesso prevale, in assenza di altri elementi suscettibili di determinare un’assoluzione nel merito del ricorrente, l’applicazione della causa sopravvenuta di estinzione del reato ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen. in quanto il reato di cui all’art. 323 cod. pen., così riqualificato il fatto, è estinto per prescrizione, essendo maturato il termine massimo di anni sette e mesi sei dalla data di consumazione (da settembre 2007 a giugno 2008) e non risultando rinvii.
Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Riqualificato il fatto come abuso d’ufficio ex art.323 c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
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