Illegittima la custodia cautelare in carcere per il soggetto che detenga 45 grammi di hashish

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 28 ottobre 2016, n. 45694

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. CITTERIO Carlo – Consigliere
Dott. DI STEFANO Pierlui – rel. Consigliere
Dott. BASSI Alessandra – Consigliere
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 26/05/2016 del TRIB. LIBERTA’ di CATANIA;

sentita la relazione svolta dal Consigliere PIERLUIGI DI STEFANO;

sentite le conclusioni del PG ANTONIO BALSAMO che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

(OMISSIS) propone ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Catania che il 26 maggio 2016 confermava l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 73. Il Tribunale confermava la sussistenza di gravi indizi della detenzione di hashish diviso in 38 dosi per un peso complessivo lordo di circa 45 g, ritenendo che le modalita’ della condotta indicassero lo stabile inserimento del ricorrente nel traffico di stupefacenti in essere nella zona ove il fatto era accertato, “sede di una nota piazza di spaccio cittadino”, sussistendo quindi un concreto rischio di reiterazione della condotta che, tenuto altresi’ conto di un reato di evasione commesso nel quinquennio, imponeva la applicazione della custodia in carcere.

Con il primo motivo deduce la violazione di legge per la erronea qualificazione del fatto e, comunque, per la totale mancanza di motivazione sulle deduzioni della difesa al riguardo. La droga era in quantita’ tale da rientrare agevolmente nell’ambito della ipotesi dell’articolo 73, comma 5, L. cit.. Con il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, affermata con un mero ed acritico richiamo alle motivazioni del primo giudice. Inoltre non vi e’ motivazione sulla riferibilita’ della somma sequestrata ad attivita’ di spaccio. Con il terzo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione per la mancata verifica della attualita’ del pericolo di recidiva, non essendosi tenuto conto della risalenza del precedente specifico e della evasione. In ogni caso, il decorso del tempo andava valutato quale ragione di generico affievolimento delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ fondato quanto alla qualificazione giuridica del fatto.

Va rammentato che “In tema di reati concernenti gli stupefacenti, la fattispecie autonoma di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e’ configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attivita’ dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonche’ di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore – tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente – a dosi conteggiate a “decine”. (Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015 – dep. 15/04/2015, Driouech, Rv. 263068)”.

La attuale qualificazione della ipotesi del comma 5, articolo cit. come reato autonomo, affiancato a quelli del comma 1 e 2, del medesimo articolo, implica la necessita’ che, per la corretta qualificazione, venga accertato e motivato non solo il dato della detenzione illecita di stupefacente, ma anche gli ulteriori elementi che consentano di riportare tale circostanza di base nell’una o nell’altra fattispecie. Non puo’, invece, piu’ seguirsi il “vecchio” schema del rapporto tra reato base ed eventuale attenuante (quando la detenzione illecita di stupefacente rientrava comunque nelle ipotesi dell’articolo 73, comma 1 o 2, ponendosi dopo, e solo eventualmente, il tema della ricorrenza della ipotesi attenuata). Salva ovviamente la situazione in cui ci si trovi di fronte a quantita’ e/o modalita’ della condotta che riportino immediatamente il fatto in uno dei due reati, rendendo superflua una motivazione ad hoc, di norma dovra’ specificarsi quali altri elementi, a fronte del mero dato della detenzione di stupefacente in una quantita’ che sia in se’ compatibile con le due diverse ipotesi di reato, consentano di qualificare correttamente il fatto.

Nel caso di specie, invero, il solo dato della quantita’ considerato nella ordinanza (quantita’ che, per come descritta, appare la provvista per la successiva rivendita e non e’ di per se’ sola indice di maggiore disponibilita’) sarebbe maggiormente indicativo proprio della sussistenza della diversa ipotesi “lieve” invocata dal ricorrente.

L’unico ulteriore dato di fatto citato nella ordinanza, peraltro al solo fine della valutazione delle esigenze cautelari, e che potrebbe indicare la ragione per la quale si e’ ritenuto implicitamente che ricorra l’ipotesi piu’ grave tra le fattispecie di detenzione a fini di spaccio di stupefacenti, riguarda la presunta partecipazione del ricorrente ad un piu’ ampio traffico di droga.

Ma tale elemento, necessario per qualificare la condotta come estranea al “piccolo” spaccio, consiste, nel testo della ordinanza, essenzialmente in un presunto fatto notorio, ovvero l’essere il luogo di accertamento della detenzione di droga una “piazza di spaccio” (termine con il quale, plausibilmente, si intende un luogo di vendita continuativa al minuto di sostanza stupefacente sotto una unica “regia”). Poiche’, pero’, non e’ dubbio che quanto affermato nella decisione non sia certamente un “fatto notorio”, va considerato come l’ordinanza non abbia fornito alcuna indicazione e valutazione degli elementi di fatto che dimostrerebbero la circostanza ritenuta (implicitamente) determinante nella qualificazione giuridica del fatto.

Si impone quindi l’annullamento dell’ordinanza perche’, con nuovo giudizio sul punto, si accerti se vi siano elementi di fatto tali da dimostrare la collocazione della condotta del ricorrente in una attivita’ di spaccio di rilevante entita’, dandone conto con adeguata motivazione, o se gli elementi siano limitati alla prova di contemporanea detenzione per la vendita della sola droga in sequestro, dovendone in tal caso il giudice di rinvio trarne le conseguenze alla luce della sopra citata definizione del fatto tipico previsto dalla disposizione incriminatrice del comma 5 dell’articolo citato.

L’accoglimento del primo motivo comporta che sia il giudice di rinvio a rivalutare il profilo delle esigenze cautelari, oggetto degli altri motivi del ricorrente, sulla scorta delle conclusioni in tema di qualificazione giuridica del fatto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla configurabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, e alle esigenze cautelari, e rinvia al Tribunale di Catania per nuovo esame

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