Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 27 giugno 2017, n. 31598

Non sussiste il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni se l’agente usa violenza sulle cose per difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di spoglio, a condizione che tale reazione venga posta in essere nell’immediatezza dell’azione lesiva del diritto e per difendersi da un pericolo grave e imminente alla propria o altrui persona

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 27 giugno 2017, n. 31598

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. CALVANESE Ersilia – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto dalla parte civile:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

nel procedimento contro:

1. (OMISSIS), nata a (OMISSIS);

2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/11/2015 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo che sia dichiarato inammissibile;

udito il difensore della parte civile, avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso e ha presentato nota spese;

udito per gli imputati, avv. (OMISSIS), che ha concluso associandosi alle conclusioni del P.G..

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. (OMISSIS), quale parte civile, ricorre per l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe che ha confermato l’assoluzione di (OMISSIS) e (OMISSIS) dal reato di cui all’articolo 392 c.p. (costoro si sarebbero fatti arbitrariamente ragione da soli, impedendo alla loro inquilina di rientrare nell’appartamento locato).

I giudici di merito avevano ritenuto da un lato il (OMISSIS) estraneo ai fatti, dall’altro la (OMISSIS) giustificata per la legittima difesa.

Era stato accertato che la (OMISSIS), che aveva preso in affitto parte dell’appartamento in cui continuava a vivere anche la (OMISSIS), si era barricata in casa, come gia’ accaduto altre volte in precedenza, nella convinzione di poter escludere la presenza della locatrice, impedendole cosi’ di accedervi (che per tale motivo aveva patito una crisi epilettica): a questa situazione, pregiudizievole anche per la salute dell’imputata, quest’ultima aveva reagito a distanza di poche ore, chiudendo dall’interno la porta dell’abitazione, una volta uscita di casa l’inquilina.

Nell’atto di impugnazione, sono enunciati i motivi di seguito indicati nei limiti dell’articolo 173 disp. att. c.p.p.: violazione dell’articolo 52 c.p., e vizio di motivazione, in ordine alla valutazione delle risultanze processuali che avevano dimostrato la partecipazione attiva del (OMISSIS) ai fatti e l’arbitrarieta’ della condotta contestata, posto che a seguito di dissapori, era stato intimato alla (OMISSIS) di lasciare l’immobile entro un termine non rispettato; difetterebbero i presupposti del reato di cui all’articolo 392 c.p., che presuppone l’azionabilita’ in giudizio della pretesa dell’agente, nella specie non sussistente, e quindi non potrebbero essere ravvisati neppure i presupposti dell’articolo 52 c.p.; in ogni caso, mancherebbe l’immediata reazione alla condotta illecita altrui, essendosi svolta diverse ore prima la supposta azione illecita della ricorrente.

2. Il ricorso e’ inammissibile.

2.1. Va ribadito che il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di violenza privata – che ugualmente contiene l’elemento della violenza o della minaccia alla persona – non nella materialita’ del fatto che puo’ essere identica in entrambe le fattispecie, bensi’ nell’elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all’articolo 392 c.p., l’agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero di diritto realmente esistente (tra tante, Sez. 2, n. 46288 del 28/06/2016, Musa, Rv. 268362; Sez. 5, n. 23923 del 16/05/2014, Dematte’, Rv. 260584).

Va anche rammentato che, ai fini della configurabilita’ della legittima difesa, uno dei requisiti indispensabili e’ l’attualita’ del pericolo da cui deriva la necessita’ della difesa, consistente cioe’ in una concreta minaccia gia’ in corso di attuazione nel momento della reazione ovvero in una minaccia od offesa imminenti (tra le tante, Sez. 1, n. 6591 del 27/01/2010, Celeste, Rv. 246566).

Orbene, la sentenza impugnata ha fatto buon governo dei principi ora affermati e le censure della ricorrente, oltre ad essere manifestamente infondate, finiscono per sottoporre alla Corte di legittimita’ questioni di precluso merito.

La sentenza impugnata ha infatti accertato che la condotta contestata fu commessa dall’imputata (OMISSIS) al fine di conseguire l’auto-reintegrazione nel possesso dell’appartamento, a seguito di uno spoglio arbitrario ad opera della (OMISSIS) (Sez. 6, n. 10602 del 10/02/2010, Costanzo, Rv. 246409); cosi’ come ha accertato che tale reazione fu attuata quando ancora era in corso lo spoglio subito dall’imputata (che approfitto’ della momentanea assenza della (OMISSIS) per riacquistare il possesso dell’appartamento).

Quanto alla posizione del (OMISSIS), la ricorrente introduce inammissibili censure in fatto, volte a dimostrare una diversa ricostruzione della vicenda, non emergente dalla motivazione della sentenza impugnata, che ha escluso una partecipazione dell’imputato ai fatti in contestazione.

3. Alla declaratoria di inammissibilita’ segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 1.500,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della cassa delle ammende.

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