Corte di Cassazione, sezione VI penale, sentenza 16 febbraio 2017, n. 7484

Escluso il peculato per il ricercatore dell’ente pubblico che si appropria di somme a titolo di compenso per la progettazione di opere dell’ingegno

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 16 febbraio 2017, n. 7484

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROTUNDO Vincenzo – Presidente

Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere

Dott. TRONCI Andrea – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI FIRENZE;

nei confronti di:

(OMISSIS), nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 01/08/2016 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE;

sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;

lette le conclusioni del PG, in persona del Sost. Dott. LUIGI BIRRITTERI, che ha chiesto farsi luogo all’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del primo agosto 2016 (depositata il giorno successivo) il Tribunale di Firenze, pronunciando ai sensi dell’articolo 324 cod. proc. pen., annullava il decreto di sequestro probatorio emesso dal locale p.m. in relazione alla provvisoria incolpazione di peculato ipotizzata a carico di (OMISSIS), nella qualita’ di dirigente dell’Istituto degli Innocenti (Azienda Pubblica di Servizi alla Persona), nonche’ di responsabile della ricerca all’interno dell’Istituto medesimo e di esperto in progettazione di arredi e giochi per l’infanzia, per essersi appropriato, in violazione di quanto previsto dal Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 65, delle somme di spettanza del succitato Istituto, pari al 30% dell’importo totale di Euro 156.621,00 incassato dal detto (OMISSIS) nel periodo compreso tra il 2007 ed il 2015, a titolo di compenso per la progettazione di opere dell’ingegno, i cui diritti di sfruttamento economico aveva ceduto alla s.r.l. (OMISSIS).

Rappresentava in proposito il Tribunale che, “a prescindere dal fatto che (OMISSIS) abbia o meno rivestito nel periodo d’interesse all’interno dell’ (OMISSIS) il ruolo di ricercatore” ed a prescindere altresi’ “dalla tipologia di diritto della proprieta’ industriale dal medesimo vantata”, in ragione della diversita’ della tutela apprestata dalla legge, nondimeno, pur ipotizzando applicabile nella vicenda l’evocato Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 65 – circostanza posta in discussione alla luce della contestazione degli elementi di cui sopra da parte della difesa egualmente sarebbe da escludere l’astratta ipotizzabilita’ del reato di peculato, per difetto dell’elemento costitutivo dell’altruita’ della res – qui il denaro oggetto di appropriazione. Cio’ in quanto “il corrispettivo pagato dal privato destinatario dell’attivita’ di ricerca e di utilizzazione del brevetto” deve ritenersi spettare unicamente, ex lege, all’esercente il pubblico servizio che riveste la qualita’ di ricercatore inventore, nei confronti del quale solo il privato e’ obbligato, il mancato riversamento della quota stabilita sui complessivi introiti a favore dell’Ente pubblico rilevando, pertanto, unicamente come forma di inadempimento del relativo obbligo contrattuale a beneficio dell’Ente medesimo da parte del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.

2. Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il p.m. presso il Tribunale di Firenze, il quale articola in proposito due motivi di doglianza: a) con il primo denuncia violazione di legge per erronea applicazione del gia’ citato Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 65, in quanto la circostanza che “la norma in esame non rimette alla liberta’ negoziale la determinazione della spettanza dell’ente, ma la regola autoritativamente, attribuendo alle universita’ e agli enti pubblici di ricerca il potere di stabilire l’importo massimo del canone legale di loro competenza”, vale a significare logicamente che detto canone, “in origine, non e’ di proprieta’ del funzionario ricercatore”;

b) con il secondo, premessa l’appartenenza al vizio di violazione di legge anche dei casi di provvedimento sorretto da un apparato argomentativo “privo dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice”, deduce, appunto, che “il Tribunale del riesame non ha minimamente motivato, come avrebbe coerentemente dovuto, in ordine alla configurabilita’ di ogni altra ipotizzabile fattispecie astratta di reato in cui sussumere la suddetta condotta illecita” – in concreto ed in ordine gradato, quella di cui all’articolo 319, ovvero all’articolo 323 cod. pen. – pur dopo aver esso stesso affermato e riconosciuto che i beni oggetto di sequestro, oltre a costituire corpo di reato o cosa pertinente al reato, rilevano al fine di “evincere la tipologia di relazioni personali esistenti tra l’indagato e coloro che hanno reso possibile la condotta illecita”, riferimento da intendersi effettuato senza dubbio “alla coindagata (OMISSIS), direttore generale dell’ (OMISSIS), indagata dei reati di cui agli articoli 323, 478 e 353 bis c.p.”.

3. Il Procuratore Generale in sede ha depositato memoria scritta, con cui, facendo proprie le teste’ illustrate argomentazioni, ha chiesto farsi luogo ad annullamento con rinvio dell’impugnato provvedimento.

4. In data 9 gennaio 2017 la difesa dell’indagato ha depositato memoria difensiva, volta a confutare il ragionamento della ricorrente parte pubblica:

a’) quanto al primo motivo, poiche’ la ratio del Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 65 sarebbe “esclusivamente quella di riservare all’Ente una quota dei canoni, ma sempre e comunque nel rispetto della liberta’ negoziale dell’inventore, il quale puo’ anche rinunciare a sfruttare economicamente la propria invenzione”, rimanendo percio’ fermo che “il terzo assume una obbligazione con l’inventore – e non con altri – ed e’ al suo diretto contraente che versa per intero il compenso pattuito per lo sfruttamento patrimoniale dell’opera”, onde il denaro entra direttamente e per intero nella sfera giuridica dell’inventore cedente, come di sua esclusiva proprieta’ (tanto senza rinunciare alle considerazioni svolte a suo tempo con la memoria 19.07.2016, a tal fine allegata al ricorso, circa l’inapplicabilita’ al caso di specie del succitato articolo 65);

b’) quanto al secondo motivo, poiche’ le deduzioni del ricorrente p.m., al di la’ della loro qualifica formale in termini di violazione di legge, in concreto si traducono in una censura di vizio di motivazione, come tale non deducibile nella presente sede, attesi i noti limiti che circoscrivono i ricorsi di legittimita’ in tema di misure reali, avendo comunque il Tribunale compiutamente dato conto delle ragioni alla base della decisione assunta, non inficiate da vizi logici o giuridici di sorta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non e’ fondato e va pertanto disatteso, alla stregua delle considerazioni che seguono.

2. Senz’altro condivisibili sono le argomentazioni, alla stregua delle quali il Tribunale – impregiudicata la pur preliminare questione inerente all’applicabilita’ nella fattispecie della disciplina indicata – e’ pervenuto alla conclusione che le somme che il ricercatore e’ tenuto a corrispondere all’Ente pubblico di cui e’ dipendente, a mente del piu’ volte citato Decreto Legislativo n. 30 del 2005, articolo 65, sono oggetto di un mero rapporto obbligatorio a carico del ricercatore medesimo, non ricorrendo quindi il requisito costitutivo dell’altruita’ della res. Il che trova positivo riscontro nel tenore dell’ultimo comma dello stesso articolo 65, a mente del quale, “Trascorsi cinque anni dalla data di rilascio del brevetto, qualora l’inventore o i suoi aventi causa non ne abbiano iniziato lo sfruttamento industriale, a meno che cio’ non derivi da cause indipendenti dalla loro volonta’, la pubblica amministrazione di cui l’inventore era dipendente al momento dell’invenzione acquisisce automaticamente un diritto gratuito, non esclusivo, di sfruttare l’invenzione e i diritti patrimoniali ad essa connessi o di farli sfruttare da terzi, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore”: a significare, cioe’, che la trasmissione ex lege del diritto di sfruttamento economico dell’invenzione, ancorche’ non in via esclusiva, solo ove ricorra la specifica situazione tratteggiata dal riprodotto comma, comporta che, in assenza di quest’ultima, non puo’ revocarsi in dubbio che il diritto medesimo spetti unicamente al ricercatore, il cui debito nei confronti dell’Ente pubblico, benche’ percentualmente stabilito direttamente dalla legge (nell’ipotesi di cui al comma 3 dell’articolo 65, qui invocata dal magistrato procedente), non esula dai confini di un semplice rapporto obbligatorio.

Risulta per l’effetto superfluo affrontare le critiche ulteriori sul punto.

3. Quanto, poi, al secondo profilo di censura, il ricorrente p.m., a ben vedere, ipotizza l’assenza di discorso giustificativo da parte del Tribunale, non gia’ rispetto ad una diversa qualificazione giuridica del fatto di reato delineato, bensi’ in rapporto alla possibilita’ che le res sottoposte a sequestro rilevino anche al fine di reati ulteriori, che tuttavia non risultano in alcun modo adombrati nei confronti del (OMISSIS) e che, di piu’, si ricollegano ad asserzioni, allo stato, del tutto congetturali (non senza rilevare l’assoluta genericita’ della doglianza quanto al nesso pertinenziale con tali reati ulteriori). Ne consegue la sicura inammissibilita’ della censura in esame.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso

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