Le massime
1. Il contratto preliminare è fonte di obbligazione al pari di ogni altro contratto ed il suo particolare oggetto, cioè l’obbligo di concludere il contratto definitivo, non esclude che, ove non sia fissato un termine né in sede convenzionale, né in sede giudiziale, sia applicabile ai sensi dell’art. 1183 c.c. la regola dello immediato adempimento (quod sine die debetur, statim debetur); con la conseguenza che, a norma degli art. 2934, 2935 e 2946 c.c., l’inattività delle parti protrattasi per oltre dieci anni da quando il diritto alla stipulazione del contratto definitivo poteva essere fatto valere, comporta l’estinzione del diritto medesimo per prescrizione. Salvo che nel corso degli anni il promittente venditore non abbia posto in essere comportamenti implicanti il riconoscimento dei diritti nascenti dal preliminare in favore del promittente acquirente; nel qual caso la prescrizione è da intendersi interrotta ai sensi dell’art. 2944 c.c. per effetto del riconoscimento del diritto.
2. L’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della (normale) rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell’eccezione di prescrizione, giacché non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l’interruzione della prescrizione.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
ORDINANZA 3 aprile 2012, n.5285
Fatto e diritto
Ritenuto che ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. il relatore nominato per l’esame del ricorso ha depositato la seguente relazione:
‘Osserva in fatto:
Con due distinti atti di citazione del 15/12/1993 D.M.A. conveniva in giudizio, rispettivamente, P..M. , quale indebito occupante dell’appartamento sito in Salerno, via (omissis) e A..C. , quale indebita occupante dell’appartamento sito in (omissis) e chiedeva la loro condanna al rilascio dei suddetti immobili dei quali si proclamava proprietario.
Il M. chiamava in causa il proprio locatore, S.L. che in via riconvenzionale chiedeva pronunciarsi, nei confronti del D.M. , sentenza ex art. 2932 c.c. traslativa della proprietà dell’immobile oggetto di causa, in esecuzione del contratto preliminare dal medesimo concluso con il D.M. il 30/1/1970.
Analoga domanda riconvenzionale proponeva nell’altro giudizio C.A. , richiamando il preliminare stipulato in data 5/1/1970 tra il D.M. e il S. .
I due processi erano riuniti e con sentenza del 28/12/2006 il Tribunale di Salerno accoglieva le domande riconvenzionali, trasferiva i due immobili a S. e rigettava le domande del D.M. .
Il D.M. proponeva appello censurando, tra l’altro e per quanto qui ancora interessa, il mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto di agire per ottenere la sentenza costitutiva del trasferimento e il ritenuto adempimento, da parte del S. dell’obbligo di integrale pagamento del prezzo.
Con sentenza depositata in data 5/7/2010 la Corte di Appello di Salerno rigettava l’appello condannando l’appellante al pagamento delle spese osservando:
quanto all’eccezione di prescrizione, che il promissario acquirente può esigere l’adempimento del preliminare, nel caso in cui non sia fissato un termine per la stipula del definitivo, solo dopo il pagamento del prezzo; il S. si era assunto, quale corrispettivo, l’obbligo di pagare le rate di mutuo e la prestazione fu terminata nel 1990, sicché solo da tale anno poteva essere richiesta la stipula del definitivo e la domanda riconvenzionale (proposta nel giudizio instaurato dall’attore nel 1993) era stata proposta prima della scadenza del termine della prescrizione;
quanto all’integrale pagamento del corrispettivo, che era in atti prova documentale relativa a pagamento delle rate di mutuo scadute e degli effetti scaduti (in altra parte della sentenza si da atto che sono state esibite le quietanze liberatorie delle singole rate di mutuo).
L..D.M. , S..D.M. e G.E. qualificandosi eredi di A..D.M. propongono ricorso per Cassazione fondato su tre motivi.
Resistono con controricorso G..S. e C.A. che hanno eccepito la mancata prova, da parte dei ricorrenti della qualità di eredi della parte costituita nella fase di merito.
Non si è costituito l’intimato P..M. ”.
1. Per quanto attiene alle ‘osservazioni in diritto’, le osservazioni preliminari riguardavano la mancata prova, da parte dei ricorrenti, della loro qualità di eredi della parte A..D.M. .
La prova risulta invece fornita mediante il deposito del certificato di morte di A..D.M. e della dichiarazione di successione.
L’intervenuta dichiarazione di fallimento di M.P. è irrilevante in questa sede, posto che egli è estraneo alla lite riguardante l’adempimento del preliminare, come già rilevato in motivazione dalla Corte di Appello di Salerno.
Nel merito, nella relazione il giudice relatore osserva:
‘2. Nel merito, con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione di norme in materia di interpretazione di contratti (artt. 1362 e ss. c.c.), di prescrizione e relativa decorrenza (artt. 2932, 2934, 2935 e 2946 c.c.) e di contratto preliminare, oltre al vizio di motivazione.
Si assume, in sintesi, che erroneamente il giudice avrebbe fatto decorrere il termine di prescrizione dal momento dell’integrale pagamento delle somme necessarie per l’estinzione del mutuo, mentre, non essendo stato stabilito un termine per la stipulazione del definitivo, il diritto di chiedere l’esecuzione del preliminare sorgeva immediatamente, indipendentemente dal pagamento del corrispettivo che poteva anche essere semplicemente offerto e che il promissario acquirente si era semplicemente impegnato ad accollarsi il mutuo e non ad estinguerlo così che la data di sua estinzione non assumeva rilevanza ai fini della determinazione della decorrenza della prescrizione e l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla clausola che prevedeva l’accollo del mutuo era, sotto l’evidenziato profilo, errata; per quanto riguarda il rinnovo delle cambiali, i ricorrenti rilevano che non era fornita la prova della data del rinnovo.
3. La censura è infondata in quanto non sono violati i principi regolatori del giusto processo e la decisione, pur essendo non correttamente motivata (laddove esclude che, nella fattispecie, la prescrizione possa iniziare a decorrere dalla data di conclusione del preliminare) è comunque conforme a diritto quanto al rigetto dell’eccezione di prescrizione e alla negazione della prescrizione del diritto.
Il contratto preliminare è fonte di obbligazione al pari di ogni altro contratto ed il suo particolare oggetto, cioè l’obbligo di concludere il contratto definitivo, non esclude che, ove non sia fissato un termine né in sede convenzionale, né in sede giudiziale, sia applicabile ai sensi dell’art. 1183 c.c. la regola dello immediato adempimento (‘quod sine die debetur statim debetur’); con la conseguenza che, a norma degli art. 2934, 2935 e 2946 c.c., l’inattività delle parti protrattasi per oltre dieci anni da quando il diritto alla stipulazione del contratto definitivo poteva essere fatto valere, comporta l’estinzione del diritto medesimo per prescrizione (cfr. Cass. Sez. 2, 29/7/1992 n. 9086). Tuttavia risulta ex actis, dalle stesse difese delle parti e dalla sentenza di appello che il D.M. :
ha ricevuto nel corso degli anni il corrispettivo (fino al Dicembre 90: v. sentenza di appello con riferimento al pagamento delle rate del mutuo), ha trasferito il possesso del bene al S. che ne è rimasto nel possesso senza contestazioni fino al 1993, quando ha ritenuto di chiedere, con citazione, il rilascio dei beni oggetto dei preliminari. Pertanto il promittente venditore ha posto in essere comportamenti implicanti il riconoscimento dei diritti nascenti dal preliminare in favore del promittente acquirente e idonei, quindi, ad interrompere la prescrizione ai sensi dell’art. 2944 c.c. per effetto del riconoscimento del diritto (v., in tal senso, Cass. sez 2 30/6/2011 n. 14463); ne discende che il rigetto dell’eccezione di prescrizione è conforme a diritto.
Con riferimento al rilievo di ufficio dell’evento interruttivo, le Sezioni Unite di questa Corte – componendo il contrasto giurisprudenziale in materia – hanno statuito che l’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (Cass. Sez. Unite n. 15661/2005; Cass. 4135/2007); in particolare, le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 15661/2005, dopo avere rilevato che eccezioni in senso stretto si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionatale in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale) hanno affermato il principio per il quale ‘l’eccezione di interruzione della prescrizione integra un’eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d’ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della (normale) rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell’eccezione di prescrizione, giacché non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l’interruzione della prescrizione’ (v., successivamente e in senso conforme, Cass. 6292/2007).
3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 184 (nel testo vigente prima delle modifiche di cui al D.L. n. 35/2005) e 112 c.p.c. e assoluta mancanza di motivazione in merito all’affermazione del giudice di appello secondo la quale il S. avrebbe usucapito i beni essendone rimasto nel possesso sin dal 1970; si sostiene che il giudice di appello avrebbe ritenuto fondata l’eccezione di usucapione senza motivare sull’eccezione di tardività dell’eccezione, ritualmente formulata in entrambi i gradi e nel merito fondata in quanto l’eccezione era stata sollevata dopo la scadenza del termine previsto dall’art. 184 c.p.c..
4. La censura è inammissibile per irrilevanza: la decisione del giudice di appello deve essere confermata perché non è decorso il termine di prescrizione e di conseguenza il S. non ha acquistato 1 beni per usucapione ma per effetto dell’accoglimento della sua domanda di esecuzione in forma specifica dei preliminari.
5. Con il terzo motivo si deduce il vizio di motivazione in relazione all’affermazione per la quale i documenti prodotti proverebbero l’integrale pagamento da parte del S. , mentre (secondo gli odierni ricorrenti) i pagamenti sarebbero stati in prevalenza effettuati dal D.M. .
6. La censura è inammissibile perché si richiede, una valutazione su documenti che non possono essere valutati da questa Corte in quanto nel ricorso non se ne riporta il contenuto e, quindi, il motivo difetta di autosufficienza…’.
Il relatore, inoltre ipotizzava che il vizio (consistente nell’avere ritenuto che i documenti provassero pagamenti del S. mentre provavano pagamenti del D.M. ) dedotto dovesse essere fatto eventualmente valere come vizio revocarono.
Il relatore, conclusivamente riteneva che il ricorso potesse essere – trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato inammissibile.
Considerato che il ricorso è stato fissato per l’esame in camera di consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite e la comunicazione al P.C..
Vista la memoria illustrativa 26/1/2012 dei ricorrenti;
Considerato che il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore e che, con riferimento al terzo motivo di ricorso è assorbente il rilievo della mancanza di autosufficienza; Considerato che la memoria dei ricorrenti non apporta elementi atti ad inficiare la fondatezza delle argomentazioni e delle conclusioni di merito della relazione e comunque a giustificare la rimessione delle parti alla pubblica udienza; che, in particolare:
– la censura relativa al rilievo di ufficio dell’interruzione della prescrizione è infondata per le ragioni già illustrate in relazione con il richiamo alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Unite n. T5661/2005; Cass. 4135/2007; 6292/2007);
– la censura relativa all’asserita necessità di indagini di fatto per l’accertamento del fatto interruttivo e comunque per la decisione di merito è infondata in quanto, come rilevato in relazione, l’evento interruttivo, costituito dal riconoscimento dei diritti scaturenti dal preliminare, risultava ex actis e anche dalla stessa motivazione della sentenza di appello (percezione, nel corso degli anni e fino a tutto Dicembre 1990 del corrispettivo costituito dal pagamento delle rate del mutuo oggetto di accollo, immissione dei promissari acquirenti nel possesso, indisturbato fino al 1993); l’accertamento di tali condotte, incompatibili con la volontà di disconoscere la pretesa dei promissari acquirenti, assorbono e rendono ininfluenti le ulteriori censure (di cui al primo motivo di ricorso) relative all’interpretazione del contratto e all’individuazione del dies a quo per l’inizio della decorrenza della prescrizione; ad integrazione della relazione occorre osservare che, comunque, il rateale pagamento del corrispettivo della vendita, accettato dal promittente venditore è incompatibile con la volontà del promissario acquirente di dismettere il diritto di stipulare il definitivo di compravendita nascente dal preliminare ed è altresì incompatibile con la volontà del promittente venditore di volersi avvalere della prescrizione ed anzi si deve affermare che 1 diritti nascenti da un contratto non si prescrivono durante il tempo in cui al contratto viene data esecuzione; pertanto anche sotto questo diverso e prevalente profilo (coerente con l’affermazione della Corte di Appello per la quale la prescrizione non aveva neppure iniziato a decorrere) l’eccezione di prescrizione si rivela del tutto infondata;
– la censura sulla ritenuta (dal giudice relatore) inammissibilità per irrilevanza del secondo motivo di ricorso (riguardante l’affermazione, meramente incidentale, con la quale il giudice di appello ipotizzava un acquisto originario per usucapione) non ha pregio in quanto l’affermazione della Coorte territoriale in merito all’usucapione è meramente ipotetica e resta assorbita dall’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica dei preliminari, con statuizione che resiste ai motivi di ricorso;
– la censura delle ragioni per le quali, nella relazione, è stato ritenuto inammissibile il terzo motivo di ricorso (nel quale si è dedotto il vizio di motivazione) è infondata: siccome è stato dedotto un vizio di motivazione (che sarebbe ravvisabile nel fatto che i documenti prodotti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non fornirebbero la prova del pagamento del corrispettivo), per il principio di autosufficienza del ricorso, come correttamente rilevato in relazione, sarebbe stato onere dei ricorrenti riportare 1 documenti prodotti dal S. dai quali si dovrebbe desumere che il prezzo non sarebbe stato integralmente pagato; invece sono stati esposti in ricorso semplici prospetti elaborati dallo stesso ricorrente, che neppure risultano prodotti in appello; non ha fondamento l’argomento (addotto in memoria) per il quale in ordine agli errores in procedendo la Corte avrebbe il dovere di prendere visione degli atti di causa, perche 1 ricorrenti non hanno dedotto un error in procedendo, ma un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.; queste considerazioni assorbono e rendono del tutto irrilevante l’ulteriore argomento, utilizzato dal relatore, relativo all’ipotizzata qualificazione del vizio dedotto come vizio revocatorio, posto l’evidenziata inammissibilità del motivo assume rilevanza del tutto preliminare;
– la censura relativa alla pretesa impossibilità di procedere con il rito camerale e alla pretesa necessità, anche per la correzione della motivazione della sentenza, di procedere con udienza pubblica perche mancherebbe il presupposto della manifesta infondatezza è del tutto infondata: il secondo e il terzo motivo di ricorso, come detto, sono addirittura inammissibili e la manifesta infondatezza del primo motivo relativo al mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione, è innegabile posto che il ricorrente pretende di far decorrere la prescrizione del preliminare dal 1971, mentre, successivamente, nel corso degli anni e fino al Dicembre 1990 riceveva il corrispettivo della vendita mediante il pagamento delle rate di mutuo, come concordato e consentiva al promissario acquirente di possedere i beni oggetto del contratto così riconoscendosi tenuto al rispetto delle pattuizioni di cui al contratto e dandovi esecuzione; la censura per la quale alla correzione della motivazione non si potrebbe procedere nel giudizio camerale non trova fondamento in alcuna norma che espressamente lo vieti e, al contrario, tale facoltà è coerente con i principi della ragionevole durata del processo (art. 111 comma 2 Cost.) ai quali anche con la celerità del rito camerale di cui all’art. 380 bis c.p.c. il legislatore ha inteso dare attuazione;
– la censura per la quale ai sensi dell’art. 384 comma 2 c.p.c. la Corte, rilevando di ufficio atti interruttivi della prescrizione dovrebbe assegnare un termine per le osservazioni, non ha fondamento perché la relazione, contenenti il rilievo, è stata comunicata nei termini ai ricorrenti che, con la memoria del 26/1/2012, hanno svolto, in ordine a tale rilievo, le loro difese (ulteriormente illustrate dal difensore all’udienza camerale) e pertanto nessuna violazione del principio del contraddittorio è neppure astrattamente ipotizzatale e non sussiste la violazione dell’art. 384 c.p.c. in quanto lo scopo perseguito dalla disposizione di cui al terzo comma è stato pienamente raggiunto.
Considerato che le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, devono essere poste a carico dei ricorrenti in quanto soccombenti.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare ai controricorrenti S.G. e C.A. le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in Euro 3.800,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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