LA MASSIMA

Con riferimento alle prestazioni di previdenza e assistenza, per le quali l’art. 97, quinto comma, r.d.l. n. 1827 del 1935 prevedeva – e prevede tuttora – che il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione, il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto a norma dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973, che stabilisce che la richiesta all’istituto assicuratore di una prestazione di previdenza o assistenza si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della sua presentazione, senza che l’Istituto si sia pronunciato – nonché durante il tempo in cui la domanda è improcedibile (art. 443 c.p.c.) per non essere ancora decorso, in generale, il termine di centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo ovvero, in particolare, per non essere ancora esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi, come nel caso delle prestazioni previste dall’art. 46 della legge n. 88 del 1989 (quale è, nella specie, l’indennità di maternità), che contempla il termine di 90 giorni per il ricorso al comitato provinciale e di ulteriori 90 giorni per la decisione di quest’ultimo.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE

SENTENZA 6 aprile 2012, n.5572

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia considerato che l’INPS avrebbe dovuto provvedere sulla domanda amministrativa del 30 ottobre 1997 della lavoratrice entro 90 (o 120) giorni e che, pertanto, il provvedimento negativo implicito (silenzio rifiuto) doveva datarsi 31 gennaio 1998 (o 28 febbraio 1998) e che, conseguentemente, essendo stato il ricorso amministrativo proposto il 15 gennaio 1999, il suo diritto in ogni caso non poteva considerarsi prescritto. In particolare la ricorrente invoca la giurisprudenza di questa Corte costituita dalla sentenza n. 1396 del 4 febbraio 2002 che ha affermato che il termine prescrizionale annuale del diritto all’indennità di malattia e di maternità inizia a decorrere dalla data di formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973 sulla domanda rivolta all’Inps.

Ha quindi formulato il seguente quesito di diritto: dica la Corte se, in materia di trattamento di indennità di maternità, il termine breve annuale di prescrizione, di cui all’art. 6 della legge n. 138 del 1943, inizia a decorrere dal giorno in cui può esser fatta valere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., e cioè, nel caso di silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973, dalla data di formazione dello stesso, ovvero – in caso di eventuale ricorso amministrativo contro il provvedimento negativo dell’Inps ai sensi dell’art. 46, quinto comma, legge n. 88 del 1989 – dalla comunicazione del ricorso amministrativo stesso o dalla data del ricorso amministrativo, valida per l’interruzione.

2. Il ricorso è fondato.

3. Giova premettere che con una precedente ordinanza interlocutoria del 18 luglio 2008 la sezione lavoro aveva già rimesso altra causa al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, ravvisando nella giurisprudenza della sezione lo stesso contrasto di giurisprudenza circa gli effetti sospensivi del decorso del termine di prescrizione, da riconoscersi alla domanda di prestazione previdenziale. Si era già rilevato che in alcune pronunce (cfr. Cass., sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9286; id., 15 novembre 2003, n. 21595) questa Corte aveva ritenuto l’applicabilità del disposto dell’art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935, convertito in L. n. 1155 del 1936, in base al quale ‘il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione’, siccome non modificato dalla sopravvenuta normativa in tema di ricorsi amministrativi (d.P.R. n. 639 del 1970, artt. 44, 45 e 46 dapprima; legge n. 88 del 1989, art. 46, successivamente) enunciando il principio di diritto secondo cui ‘In tema di prescrizione annuale del diritto di ottenere dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, secondo la previsione del d.lgs. n. 80 del 1992, art. 2, comma 5, la presentazione della prescritta domanda, secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, ai sensi della L. n. 88 del 1989, artt. 25 e 46, oltre a costituire atto interruttivo della prescrizione, determina l’apertura del procedimento amministrativo preordinato alla liquidazione, cosicché il decorso della prescrizione resta sospeso fino alla sua conclusione’.

Secondo invece un diverso orientamento (cfr. Cass., sez. lav., 12 aprile 2006 n. 8533; id., 28 marzo 2008, n. 8134) nessuna efficacia poteva riconoscersi alla previsione della sospensione del termine di prescrizione di cui all’art. 97 del R.D.L. n. 1827 del 1935, cit., trattandosi di disposizione -contenuta nella disciplina dei ricorsi, ivi prevista all’interno del titolo terzo (‘ricorsi e controversie’) – tacitamente abrogata per incompatibilità a seguito dell’intervenuta nuova regolamentazione dell’intera materia del ‘contenzioso amministrativo’, ad opera, dapprima, del d.P.R. n. 639 del 1970 (artt. 44 e 46, inseriti all’interno del titolo terzo ricorsi e controversie in materia di prestazioni’) e, poi, della legge n. 88 del 1989 (art. 46, intitolato ‘contenzioso in materia di prestazioni’, che al comma primo ha abrogato la precedente disciplina dettata dal d.P.R. n. 638 del 1970, artt. 44 e 47 cit.), non assumendo rilievo che, in altri procedimenti contenziosi relativi ai riconoscimento di prestazioni analoghe, la legge preveda la sospensione della prescrizione (cfr. d.P.R. n. 1124 del 1965, art. 111). Si è osservato inoltre che non rileva a tal fine la previsione di improcedibilità della domanda giudiziale prima della definizione del procedimento amministrativo e del decorso dei termini all’uopo fissati, improcedibilità che è destinata ad operare esclusivamente in relazione alla proposizione della domanda giudiziale, non potendo incidere sulla determinazione del decorso della prescrizione, atteso che il diritto agli accessori, in caso di ritardo nell’erogazione della prestazione, può essere fatto valere al centoventunesimo giorno dalla presentazione della domanda amministrativa, mentre la ‘procedimentalizzazione’ delle varie fasi attiene alle modalità di tutela dei diritto ma non costituisce un impedimento al suo esercizio.

Con decisione del 17 settembre 2009 n. 19992, queste Sezioni Unite hanno ritenuto che la questione relativa al decorso del termine di decadenza di cui all’art. 47 d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, anch’essa rimessa all’esame della Corte, costituisse autonomo fondamento della decisione impugnata e che quindi era superfluo l’esame anche dell’ulteriore questione attinente alla prescrizione.

Successivamente la sezione lavoro con ordinanza n. 5294 del 3 febbraio 2011 – 11 marzo 2011 ha rimesso la presente causa al primo presidente per l’assegnazione alle sezioni unite, che sono state nuovamente investite del medesimo contrasto giurisprudenza.

4. Centrale nell’esame dell’insorto e perdurante contrasto di giurisprudenza è il citato art. 97, quinto comma, R.D.L. n. 1827 del 1935, di cui ora si viene a dire.

Ma mette conto innanzitutto ricordare che l’art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nel prevedere l’indennità di maternità in favore delle lavoratrici madri, stabilisce che essa è corrisposta con gli stessi criteri previsti per la erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie dall’ente assicuratore di malattia presso il quale la lavoratrice è assicurata.

Trova quindi applicazione in particolare – ciò che è pacifico in causa – l’art. 6, sesto comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, che prevede che l’azione per conseguire le prestazioni, di cui alla legge medesima, si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui esse sono dovute.

L’erogazione della prestazione presuppone la domanda della lavoratrice madre all’ente previdenziale, domanda che, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973, si intende respinta quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione senza che l’istituto assicuratore si sia pronunciato (in generale la previa domanda amministrativa all’istituto condiziona la proponibilità della domanda giudiziale: Cass., sez. lav., 28 dicembre 2011, n. 29236).

Intervenuto il provvedimento negativo o formatosi il silenzio rigetto per l’inutile decorso del suddetto termine di 120 giorni, la lavoratrice madre può proporre ricorso amministrativo al comitato provinciale dell’istituto assicuratore nel termine di 90 giorni di cui all’art. 46 legge 9 marzo 1989, n. 88; disposizione questa che prevede un ulteriore termine di 90 giorni per la decisione del ricorso, in mancanza della quale, entro tale termine, il ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e l’assicurata ha la facoltà di adire l’autorità giudiziaria.

Quindi, dopo la domanda della prestazione (nella specie, dell’indennità di maternità), in mancanza di atti di messa in mora o comunque idonei ad interrompere il decorso del termine annuale di prescrizione, vi è in ogni caso il ricorso amministrativo che tale idoneità certamente ha. Cfr. Cass., sez. lav., 1 marzo 1993, n. 2509, che ha puntualizzato che la decorrenza del termine prescrizionale annuale previsto dall’art. 6, ultimo comma, L. 11 gennaio 1943 n. 138 (applicabile al diritto all’indennità giornaliera di maternità di cui all’art. 15 L. 30 dicembre 1971, n. 1204) è interrotta sia dalla domanda all’Istituto di pagamento della prestazione, sia dal ricorso amministrativo avverso il provvedimento (espresso o tacito) di rifiuto dell’erogazione, che comportano entrambi, ai sensi dell’art. 2943, quarto comma, c.c. la costituzione in mora dell’ente debitore.

In punto di fatto va poi rilevato che, al di là di alcune incertezze in ordine alle date del periodo di astensione obbligatoria della ricorrente, ciò che è certo nella specie è che dalla data della domanda dell’indennità di maternità (30 ottobre 1997) sino a quella della proposizione del ricorso amministrativo (15 gennaio 1999) è decorso più di un anno sicché rileva – ed è determinante ai fini del decidere – stabilire se il termine di prescrizione rimane sospeso (come sostiene la difesa della ricorrente nel suo unico motivo di ricorso), o no (come affermato dalla sentenza impugnata), per il periodo di tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973, che – come già rilevato – prevede che in generale, in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, la richiesta all’istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l’istituto si sia pronunciato; questione questa che si inquadra in quella più ampia concernente la sospensione, o no, del termine di prescrizione durante il procedimento amministrativo tout court, sia quello ordinario che si conclude con il provvedimento di accoglimento o di rigetto (espresso o tacito) della domanda, sia quello contenzioso che si conclude con l’accoglimento o con il rigetto (anch’esso espresso o tacito) del ricorso amministrativo.

Il contrasto di giurisprudenza, come risulterà dall’esame dei precedenti di questa corte che si viene a svolgere, riguarda questo profilo più generale, che va comunque esaminato, anche in ragione della funzione di nomofilachia assegnata a questa corte, perché costituisce il presupposto interpretativo (i.e. la premessa del sillogismo giuridico), da cui consegue, come inferenza logica, la regala iuris da applicarsi nella specie per la valutazione del vizio di violazione di legge dedotto dalla ricorrente, anche se i contrastanti orientamenti giurisprudenziali, di cui ora si dirà, appaiono in realtà, con riferimento al ‘caso particolare’ oggetto del ricorso, convergere per l’accoglimento del ricorso stesso.

5. Il panorama giurisprudenziale sul tema è variamente articolato.

Vi è un primo orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto che il termine per la formazione del silenzio – rifiuto di cui all’art. 7 della legge n. 533 del 1973 non sia computabile ai fini del decorso del termine di prescrizione, che pertanto deve ritenersi sospeso per il tempo necessario per la formazione del silenzio rifiuto (120 giorni) e che a questo periodo di sospensione occorre aggiungere un ulteriore termine di 90 giorni per la proposizione del ricorso amministrativo. In particolare Cass., sez. lav., 26 agosto 1997, n. 8042, ha affermato che il termine prescrizionale annuale del diritto all’indennità di malattia previsto dall’ultimo comma dell’art. 6 L. 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dalla data di formazione dei silenzio – rifiuto, ex art. 7 L. 11 agosto 1973, n. 533, sulla domanda rivolta all’Inps per ottenerla, salvi gli effetti dell’eventuale ricorso contro tale provvedimento a norma dell’art. 46 L. 9 marzo 1989, n. 88, la proposizione del quale implica la non computabilità, ai fini prescrizionali, del successivo periodo di novanta giorni previsto dal sesto comma della medesima disposizione, decorso il quale l’interessato ha facoltà di adire l’autorità giudiziaria.

Una conferma di tale orientamento si ha con Cass., sez. lav., 4 febbraio 2002, n. 1396, che costituisce un precedente più specifico perché riguarda proprio l’indennità di maternità. La corte – nel porsi il problema se, proposta la domanda amministrativa diretta ad ottenere la corresponsione dell’indennità di maternità, il termine di prescrizione annuale decorra dalla data della proposizione della domanda amministrativa ovvero da quella dell’inutile decorso del termine di 120 giorni di cui all’art. 7 citato – risolve la questione ritenendo la sospensione del termine prescrizionale, così prestando adesione alla precedente sentenza n. 8042 del 1998. Ed infatti ribadisce che il termine prescrizionale annuale, previsto dall’ultimo comma dell’art. 46 legge 11 gennaio 1943 n. 138, inizia a decorrere dalla data di formazione del silenzio – rifiuto, ex art. 7 legge 11 agosto 1973 n. 533, sulla domanda rivolta all’INPS per ottenerla, salvi gli effetti dell’eventuale ricorso contro il detto provvedimento a norma dell’art. 46, quinto comma, legge 9 marzo 1989 n. 88, la proposizione del quale implica la non computabilità, ai fini prescrizionali, del successivo periodo di novanta giorni previsto dal sesto comma della medesima disposizione, decorso il quale l’interessato ha facoltà di adire l’autorità giudiziaria.

Successivamente il problema è stato riesaminato funditus da Cass., sez. lav., 10 giugno 2003, n. 9286, che ha affermato che il diritto della lavoratrice agricola all’indennità di maternità – che, nella sussistenza delle condizioni legislativamente stabilite per l’acquisizione della qualità di lavoratrice agricola, nasce direttamente dalla legge, e non dagli atti amministrativi dell’Inps, che hanno mero valore ricognitivo – soggiace al medesimo regime di prescrizione stabilito per l’indennità di malattia dall’art. 6, ultimo comma, L. 11 gennaio 1943 n. 138, e perciò si prescrive in un anno dalla data della sua acquisizione, senza che sia attribuita a provvedimenti dell’istituto (quale, nella specie, la comunicazione alla richiedente della sospensione della pratica in attesa di accertamenti sulla esistenza del rapporto di lavoro subordinato e sulla validità della iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli) la idoneità a determinare la sospensione di detto termine, il quale resta invece sospeso, a norma dell’art. 97, ultimo comma, r.d.l. n. 1827 del 1935, per effetto e per tutta la durata – variabile in funzione della eventuale formazione del silenzio rifiuto sulla domanda ovvero della proposizione del ricorso amministrativo avverso il provvedimento di rigetto della domanda stessa – del procedimento in sede amministrativa. In particolare in questa pronuncia la Corte ha precisato che occorre prendere le mosse dall’art. 97, ultimo comma, r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, convertito nella legge 6 aprile 1936 n. 1155. I primi quattro commi dell’art. 97 disciplinavano invero il regime dei ricorsi amministrativi, che è stato successivamente novellato ad opera degli artt. 44, 45 e 46 del DPR 30 aprile 1970 n. 639 (emanato in forza delle deleghe conferite con gli artt. 27 e 29 della legge 30 aprile 1969 n. 153), ed ulteriormente modificato dall’art. 46 della legge 9 marzo 1989 n. 88. Ma – ha rilevato questa corte nella citata pronuncia – nessuna modifica né abrogazione è stata invece operata in relazione all’ultimo comma dell’art. 97, il quale prevede che ‘Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione’. La ratio della disposizione è quella, da un lato, di esimere l’assicurato (che non potrebbe adire il giudice, essendo l’azione improcedibile per il mancato completamento del procedimento amministrativo) dall’onere di effettuare continui atti interruttivi nel corso del procedimento medesimo, e dall’altro lato di non aggravare l’Ente previdenziale con continue sollecitazioni.

Questo ribadito orientamento giurisprudenziale è stato poi ulteriormente confermato, anche se non con riferimento alla indennità di maternità, da Cass., sez. lav., 15 novembre 2004, n. 21595, che ha affermato che, in tema di prescrizione annuale del diritto di ottenere dal fondo di garanzia gestito dall’Inps il pagamento delle retribuzioni relative agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, secondo la previsione dell’art. 2, quinto comma, d.lgs. n. 80 del 1992, la presentazione della prescritta domanda, secondo le norme che regolano il conseguimento delle prestazioni previdenziali, ai sensi degli artt. 25 e 46 L. n. 88 del 1989, oltre a costituire atto interruttivo della prescrizione, determina l’apertura del procedimento amministrativo preordinato alla liquidazione, cosicché il decorso della prescrizione resta sospeso fino alla sua conclusione (che, nel caso di silenzio dell’istituto e di mancata proposizione nei termini del ricorso amministrativo, si ha dopo duecentodieci giorni, di cui centoventi dalla domanda e novanta fissati per la proposizione del ricorso, ai sensi dell’art. 46 cit. L. n. 88 del 1989).

Ulteriore conferma di tale orientamento giurisprudenziale, con riferimento all’indennità di maternità, si rinviene in Cass., sez. lav., 14 febbraio 2004, n. 2865, che ha ulteriormente ribadito che l’indennità di maternità, di cui all’art. 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, matura di giorno in giorno e si risolve in un complesso di diritti a ratei giornalieri; l’azione per conseguire l’indennità si prescrive nel termine di un anno dal giorno in cui i ratei sono dovuti; una volta presentata tempestiva domanda amministrativa, l’obbligo di pagamento dei ratei decorre, per l’ente previdenziale, dal giorno di maturazione degli stessi, sicché il silenzio rifiuto dell’ente si perfeziona con il decorso di 120 giorni dalla data di presentazione della domanda, per i ratei maturati contestualmente o precedentemente alla stessa e tempestivamente richiesti, e dal giorno di maturazione di ciascun rateo per quelli maturati successivamente alla domanda amministrativa; avverso il provvedimento di diniego o il silenzio rifiuto l’interessato ha il termine di 90 giorni per presentare ricorso amministrativo, ricorso che si ha per respinto dopo ulteriori 90 giorni dalla sua presentazione; il procedimento in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 97, ultimo comma, del r.d.l. n. 1827 del 1935, ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione.

6. Una giurisprudenza parallela (Cass., sez. lav., 4 dicembre 2007, n. 25261; Cass., Sez. 6, 30 agosto 2011, n. 17822) si è poi formata con riferimento all’art. 111 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124, che ha previsto, con riferimento alle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, che la prescrizione rimane sospesa durante la liquidazione in via amministrativa dell’indennità; liquidazione che deve essere esaurita in periodo di tempo determinato (centocinquanta giorni, per il procedimento previsto dall’art. 104, e duecentodieci, per quello indicato nell’art. 83), trascorso il quale, senza che la liquidazione sia avvenuta, l’assicurato ha facoltà di proporre la azione giudiziaria.

7. Puoi richiamarsi altresì la giurisprudenza formatasi sull’indennità premio di servizio INADEL che parimenti, facendo applicazione dell’art. 7 legge n. 533 del 1973 cit., ha ritenuto che non decorra la prescrizione durante il termine previsto da tale disposizione per la formazione del silenzio rifiuto (cfr. Cass., sez. lav., 18 febbraio 1998, n. 1730; id., 16 ottobre 2001, n. 12618).

8. Alla prescrizione poi si affianca la decadenza prevista dall’art. 47 del d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639, per la quale si è parimenti affermato che non rileva la durata del procedimento amministrativo nel senso che il termine di decadenza decorre soltanto dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la pronunzia della decisione medesima. In proposito queste sezioni unite (Cass., sez. un., 29 maggio 2009, n. 12718) hanno affermato che il cit. art. 47 individua infine – nella ‘scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo’ – la soglia di trecento giorni (risultante dalla somma del termine presuntivo di centoventi giorni dalla data di presentazione della richiesta di prestazione di cui all’art. 7 della legge n. 533 del 1973, e di centottanta giorni, previsto dall’art. 46, commi quinto e sesto, della legge n. 88 del 1989), oltre la quale la presentazione di un ricorso tardivo – pur restando rilevante ai fini della procedibilità dell’azione giudiziaria – non consente lo spostamento in avanti del ‘dies a quo’ per l’inizio del computo del termine decadenziale (di tre anni o di un anno). Conf. Cass., sez. lav., 29 marzo 2010, n. 7527.

9. A fronte dell’indirizzo giurisprudenziale di cui si è detto finora deve registrarsi, nel 2006, un orientamento di segno opposto, espresso da Cass., sez. lav., 12 aprile 2006, n. 8533, e 13 aprile 2006, n. 8677 (ma in realtà anticipato da Cass., sez. lav., 1 marzo 1993, n. 2509) che ha affermato che, in tema di interessi legali e rivalutazione monetaria sui ratei pensionistici erogati successivamente al centoventunesimo giorno dalla domanda amministrativa e di prescrizione del relativo credito, il termine decennale non può rimanere sospeso in pendenza del procedimento amministrativo, per essere i casi di sospensione della prescrizione tassativamente indicati dalla legge, insuscettibili di applicazione analogica e di interpretazioni estensive. In particolare – ha affermato questa corte nella citata pronuncia – nessuna efficacia può riconoscersi alla previsione sospensiva dell’art. 97 del R.D.L. n. 1827 del 1935, trattandosi di disposizione – contenuta nella disciplina dei ricorsi, ivi prevista all’interno del titolo terzo (‘ricorsi e controversie’) – tacitamente abrogata per incompatibilità, ai sensi dell’art. 15 delle preleggi, a seguito dell’intervenuta nuova regolamentazione dell’intera materia del ‘contenzioso amministrativo’ ad opera, dapprima, del d.P.R. n. 639 del 1970 (artt. 44 – 46, inseriti all’interno del titolo terzo ‘ricorsi e controversie in materia di prestazioni’) e, poi, della legge n. 88 del 1989 (art. 46, intitolato ‘contenzioso in materia di prestazioni’, che all’ultimo comma ha abrogato la precedente disciplina dettata dagli artt. 44 – 47 del d.P.R. n.638 del 1970 cit.); né può assumere rilievo che in altri procedimenti contenziosi relativi al riconoscimento di prestazioni analoghe la legge preveda la sospensione della prescrizione (cfr. art. 111 d.P.R. n. 1124 del 1965). Invece la previsione di improcedibilità della domanda giudiziale prima della definizione del procedimento amministrativo e del decorso dei termini all’uopo fissati, è destinata ad operare esclusivamente in relazione alla proposizione della domanda giudiziale, non potendo incidere sulla determinazione del decorso della prescrizione in esame, atteso che il diritto agli accessori, in caso di ritardo nell’erogazione della prestazione, può essere fatto valere al centoventunesimo giorno dalla presentazione della domanda amministrativa, mentre la ‘procedimentalizzazione’ delle varie fasi attiene alle modalità di tutela del diritto e non costituisce un impedimento al suo esercizio.

Quindi tali pronunce del 2006, seguite in senso conforme da Cass., sez. lav., 28 marzo 2008, n. 8134, segnano un’inversione di giurisprudenza perché si pongono espressamente in contrasto, in particolare, con Cass. n. 9286 del 2003 e Cass. n. 11684 del 2005, cit., escludendo che il decorso del termine di prescrizione sia sospeso nel periodo di tempo necessario per la formazione dei silenzio rigetto del ricorso amministrativo, pur affermando nondimeno che la prescrizione (in quel caso, del diritto agli accessori) decorre dal 121 giorno dalla data di presentazione della domanda amministrativa, termine che vale per la formazione del silenzio rifiuto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973.

10. Dall’esaminato quadro giurisprudenziale emerge un indirizzo uniforme e più volte confermato, secondo cui il decorso del termine di prescrizione è sospeso durante il tempo per la formazione del silenzio rifiuto dell’Istituto a cui l’assicurato abbia domandato la prestazione di previdenza (120 giorni di cui all’art. 7 della legge n. 533 del 1906). È invece controverso, più in generale, se esso sia sospeso anche durante il tempo per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo, che condiziona la procedibilità della domanda giudiziale (art. 443 c.p.c. ed in particolare art. 46 legge n. 88 del 1989), fronteggiandosi su tale questione un orientamento che tale sospensione ha predicato (soprattutto Cass. nn. 9266 del 2003 e 21595 del 2004), contrastato da un opposto orientamento che l’ha invece esclusa (soprattutto Cass. nn. 8533 e 8677 del 2006). Il denunciato contrasto di giurisprudenza riguarda quindi questo specifico profilo nel contesto della più ampia questione dell’incidenza del decorso della prescrizione su diritti di natura previdenziale ed assistenziale nel periodo in cui l’azione giudiziaria non è procedibile ovvero (in passato) proponibile.

La questione controversa, pur formulata in questi termini più generali, si riferisce specificamente alla disciplina di settore concernente i diritti di natura previdenziale ed assistenziale, che godono della speciale protezione di cui all’art. 38 Cost.; essa si pone quindi in rapporto di specialità rispetto al contesto codicistico che, se da una parte prevede in generale (art. 2935 c.c.) che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, d’altra parte, per la sospensione del decorso di tale termine, contempla non già una norma di carattere generale, ma le ipotesi tipiche catalogate agli artt. 2941 e 2942 c.c. (per la tassatività di tali fattispecie di sospensione della prescrizione v. Cass., sez. un., 11 giugno 1992, n. 7194, con riferimento ad un’ipotesi di temporanea improponibilità della domanda; più recentemente, ex plurimis, Cass., sez. lav., 27 giugno 2011, n. 14163).

11. Ed è proprio in questa prospettiva di disciplina speciale che occorre partire dall’esame dell’art. 97 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito nella legge 6 aprile 1936, n. 1155; disposizione questa che appartiene alla prima sistematica regolamentazione della previdenza sociale con l’istituzione dell’Inps, quale ente pubblico avente come missione la gestione delle assicurazioni obbligatorie. Tale norma – che, inserita nel titolo 5 (artt. 97 -109), recante la disciplina dei ‘ricorsi’ e delle ‘controversie’, era il perno del sistema di tutela ‘contenziosa’ (ricorso amministrativo versus domanda giudiziale) del diritto dell’assicurato al conseguimento delle prestazioni di previdenza – fissava un duplice principio: da una parte (primo comma) si prevedeva che contro i provvedimenti dell’istituto concernenti le concessioni delle prestazioni assicurative previste dal regio decreto n. 1827/35 e in genere l’attuazione delle disposizioni del decreto stesso, era ammesso il ricorso in via amministrativa da parte degli assicurati (e dei datori di lavoro); d’altra parte (quarto comma) si prescriveva che non era ammesso il ricorso in via contenziosa (scilicet, innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria) prima che fosse definito il ricorso in sede amministrativa.

Mentre non era previsto alcun termine per il procedimento amministrativo ordinario che si concludeva con il provvedimento dell’Inps di accoglimento o rigetto della domanda, i tempi del procedimento amministrativo contenzioso erano regolati in modo puntuale. L’assicurato aveva un termine di 30 giorni per impugnare il provvedimento a lui sfavorevole e la decisione sul suo ricorso doveva intervenire nel termine di 60 giorni (art. 98). Dopo che era spirato tale ultimo termine, l’assicurato poteva adire il giudice ordinario e chiedere il riconoscimento del diritto che g!i era stato negato nel procedimento amministrativo, senza peraltro che la sua iniziativa giudiziaria avesse il contenuto di impugnazione degli atti del procedimento amministrativo. Però prima della definizione in sede amministrativa del suo ricorso ovvero prima dello spirare del termine di 60 giorni entro il quale sarebbe dovuta intervenire la decisione amministrativa, l’azione giudiziaria non poteva essere proposta (art. 99). Analogamente poi l’art. 460 c.p.c., nella sua originaria formulazione, prevedeva che la domanda relativa a controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie non poteva essere proposta se non quando fossero esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero non fossero decorsi i termini fissati per il compimento dei procedimenti stessi.

Ciò rispondeva a una concezione, tipica di quegli anni, che vedeva la commistione di elementi privatistici e pubblicistici. Da una parte il sistema delle assicurazioni obbligatorie di previdenza si fondava su un modulo tipicamente privatistico, quello del rapporto di assicurazione che vedeva nascere, in favore del soggetto assicurato, veri e propri diritti soggettivi e non già meri interessi legittimi. D’altra parte il riconoscimento del diritto alle prestazioni di previdenza sociale era procedimentalizzato e sfociava in un provvedimento amministrativo dell’Inps, che poteva assegnare o negare la prestazione richiesta secondo che l’istituto ne ravvisasse, o meno, i presupposti; provvedimento che, pur non degradando la situazione di diritto soggettivo in interesse legittimo (talché la giurisdizione era del giudice ordinario), era comunque (a quell’epoca) suscettibile, ove non impugnato (in sede amministrativa), di diventare definitivo precludendo così l’azionabilità in giudizio del diritto maturato fino alla domanda amministrativa. Infatti la (eventuale) tutela giurisdizionale si innestava soltanto dopo che il procedimento amministrativo si fosse concluso.

Pertanto vi erano sì diritti soggettivi, ma la loro tutela giurisdizionale era, in un certo senso, ‘differita’ all’esaurimento di un procedimento amministrativo composto da una fase non contenziosa (promossa con la domanda dell’assicurato tendente al riconoscimento della prestazione di previdenza) e da una contenziosa (attivata, di norma, dall’assicurato con l’impugnazione del provvedimento di diniego della prestazione).

Quella dell’Inps (ente pubblico non economico, appartenente alla pubblica amministrazione in senso lato) era un’attività provvedimentale, pur sempre espressione di un pubblico potere, il cui esercizio condizionava in radice la tutela dei diritti soggettivi di natura previdenziale degli assicurati.

Al fondo di questa costruzione vi era la concezione per cui l’ente pubblico era deputato al bene comune ed il giudice non entrava in campo se non quando l’attività dell’ente pubblico non si fosse pienamente estrinsecata nel procedimento amministrativo ordinario e poi contenzioso.

L’eco di questa concezione si ritrova, dopo la Costituzione, in una pronuncia della Corte costituzionale (sent. n. 47 del 1964) che affermò che ‘le norme denunziate [id est: art. 460 c.p.c. e dell’art. 97, quarto comma, del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827] pongono l’onere del procedimento preliminare nel presupposto che l’Istituto nazionale della previdenza sociale, dovendo, come pubblica Amministrazione, conformare a legalità il proprio comportamento, non rifiuterà le prestazioni la cui richiesta attui la volontà della legge, e le adempirà senza che vi sia bisogno della costrizione di una sentenza di condanna’.

L’assicurato, titolare di un diritto soggettivo di natura previdenziale, non poteva rivolgersi subito al giudice, ma inizialmente – e per un tempo non definito – doveva confidare sul buon andamento della pubblica amministrazione (alla quale apparteneva l’Inps). Potendo egli, ed anzi dovendo, proporre una domanda all’Inps, diretta ad ottenere la prestazione previdenziale alla quale egli riteneva di aver diritto, non poteva neppure dirsi che il diritto non potesse essere ‘fatto valere’ ai sensi e per gli effetti dell’art. 2935 c.c., che non richiede – e non richiedeva – l’immediata azionabilità in giudizio del diritto (Cass., sez. un., 30 ottobre 1992, n. 11847). Sicché, una volta integrati i presupposti di fatto per l’insorgenza del diritto, comunque cominciava il decorso della prescrizione, anche se inizialmente la tutela del diritto passava attraverso un procedimento amministrativo ordinario e poi contenzioso. Questo differimento della tutela giurisdizionale è stato ritenuto compatibile con l’art. 113 Cost. che assicura che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa (C. cost. n. 47 del 1964, cit.).

Ma già il legislatore del 1935, pur in un contesto precedente il riconoscimento del diritto alla tutela giurisdizionale da parte della Costituzione repubblicana, tenne conto dell’anomalia di un diritto soggettivo che non era esercitabile ancora davanti al giudice (ordinario), ma che intanto poteva estinguersi per il decorso del termine di prescrizione.

Di qui la norma – posta a cerniera tra immediatezza del riconoscimento del diritto soggettivo e differimento della sua tutela giurisdizionale – sulla quale è insorto il contrasto di giurisprudenza in esame (il quinto comma dell’art. 97 citato), che prevede(va): ‘Il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione’.

Seppur collocata nel titolo quinto del citato regio decreto n. 1827 del 1935, che riguardava i ‘ricorsi’ e le ‘controversie’, la norma aveva in realtà una portata più ampia perché si riferiva al ‘procedimento in sede amministrativa’ tout court, comprensivo del procedimento amministrativo ordinario e dell’eventuale successivo procedimento amministrativo contenzioso.

In sostanza il differimento della tutela giurisdizionale all’esito del procedimento amministrativo ordinario e contenzioso era bilanciato dalla previsione della sospensione del termine di prescrizione del diritto soggettivo, già sorto. Situazione questa che – una volta entrata in vigore la Costituzione repubblicana – si è ritenuta essere non di meno compatibile con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione (art. 113, primo comma, Cost.: v. Corte cost. n. 47 del 1964, citata) e della tutela giurisdizionale tout court (art. 24 Cost.: Cass., sez. lav., 17 maggio 1974, n. 1484).

Il collocamento di tale disposizione nel titolo quinto del regio decreto del 1935 non escludeva che in realtà la prevista sospensione del termine di prescrizione riguardasse soprattutto il procedimento amministrativo ordinario, che all’epoca non prevedeva un termine ultimo per il suo completamento, e solo marginalmente il procedimento amministrativo contenzioso, che per la sua conclusione già allora vedeva un termine ben preciso (60 giorni dalla data del ricorso avverso il provvedimento di diniego della prestazione previdenziale: art. 98 cit.), decorso il quale era possibile proporre la domanda al giudice ordinario.

La norma però, riferendosi all’uno (procedimento amministrativo ordinario) e all’altro (procedimento amministrativo contenzioso), era espressione di un principio di settore riconducibile alla più generale massima contra non valentem agere non currit praescriptio: quando l’assicurato, titolare di un diritto soggettivo di natura previdenziale, ha domandato la prestazione, ma non può adire il giudice (nel senso che la sua domanda sarebbe improponibile, com’era in passato, o improcedibile, com’è attualmente) perché l’iter del procedimento amministrativo non è completato, quanto meno non ‘soffre’ il decorso del termine di prescrizione, che è sospeso fin tanto che l’Istituto, che deve provvedere, non abbia provveduto ovvero non sia decorso il termine per provvedere.

12. Questo bilanciamento in chiave compensativa, che inizialmente rispondeva a una scelta discrezionale del legislatore dell’epoca, è poi divenuto essenziale ai fini della compatibilità con gli artt. 24 e 38 della Costituzione (sulla tutela giurisdizionale dei diritti di natura previdenziale) giacché sarebbe di assai dubbia legittimità costituzionale un assetto normativo secondo cui il diritto dell’assicurato, che abbia domandato la prestazione di previdenza, possa prescriversi anche per tutto il tempo in cui egli – che si è attivato domandando tempestivamente la prestazione all’istituto previdenziale – non può però adire il giudice perché la sua domanda sarebbe improcedibile (o addirittura, prima della riforma del rito del lavoro, improponibile).

Espressione di questo stesso principio nella medesima materia di diritti soggettivi di natura previdenziale è l’art. 111 del testo unico 1124 del 1965 che parimenti prevede la sospensione del termine prescrizionale durante il procedimento amministrativo per il riconoscimento delle prestazioni Inail. Per la compatibilità costituzionale di tale forma di tutela giurisdizionale differita cfr. Cass., sez. 1, 23 giugno 1972, n. 2082, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 460 c.p.c. e delle disposizioni particolari che, in materia previdenziale ed infortunistica, subordinano la proponibilità dell’azione giudiziaria al previo esperimento delle procedure amministrative. Cfr. altresì – quanto al parallelismo tra prestazioni Inps e prestazioni Inail – Corte cost. n. 23 del 1973 che – sul presupposto della piena comparabilità di tali forme di assicurazioni sociali – ha uniformato la disciplina in parte qua dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 57 della legge 30 aprile 1969, n. 153, previsto per le prestazioni delle assicurazioni gestite dall’Inps, nella parte in cui esclude dal beneficio, in esso previsto, le controversie del lavoratore nei confronti dell’INAIL.

13. L’art. 97 è rimasto immutato anche quando il legislatore è intervenuto modificando i termini nei procedimenti amministrativi per l’attuazione delle disposizioni in materia di previdenza sociale e per i relativi ricorsi all’autorità giudiziaria con la legge 5 febbraio 1957, n. 18, che ha riscritto gli artt. 98 e 99, in particolare elevando a 90 giorni sia il termine per proporre il ricorso in sede amministrativa, sia il termine entro il quale questo doveva essere deciso; termine quest’ultimo che continuava a condizionare la proponibilità della domanda davanti al giudice ordinario.

La successiva riforma del 1970 (d.p.r. 30 aprile 1970, n. 639), in attuazione della delega, in particolare, per il riordino degli organi di amministrazione dell’Inps per l’attuazione del decentramento amministrativo (art. 27 legge 30 aprile 1969, n. 153) ha ristrutturato il procedimento amministrativo contenzioso prevedendo (artt. 44 – 47) un ricorso in prima istanza al comitato provinciale ed un ricorso in seconda istanza al comitato regionale (con la limitata possibilità di ricorso diretto agli organi centrali dell’istituto). Il doppio termine per proporre il ricorso amministrativo (in prima e di seconda istanza) e per la decisione dello stesso è rimasto fissato in 90 giorni.

Parimenti è rimasta la condizione di improponibilità della domanda (art. 460 c.p.c. all’epoca vigente ancora nella sua formulazione originaria) per cui l’azione davanti al giudice ordinario era proponibile soltanto una volta esauriti i ricorsi in via amministrativa, il cui iter risultava però allungato, in termini temporali, dalla previsione di un ricorso in seconda istanza per la revisione della decisione di prima istanza; sicché la proponibilità della domanda, mentre prima seguiva alla scadenza del termine di 90 giorni dalla proposizione del ricorso in sede amministrativa (l’unico previsto dall’art. 98 r.d.l. n. 1827 del 1985, come modificato dall’art. 1 legge n. 18 del 1157), successivamente, a seguito della riforma del 1970, seguiva all’esaurimento dei ricorsi amministrativi in prima e seconda istanza (previsti dall’art. 47 d.p.r. n. 369 del 1970) e quindi dopo 90 giorni dalla proposizione del ricorso in prima istanza cui andavano aggiunti 90 giorni dalla proposizione del ricorso in seconda istanza.

Questa diversa modulazione dei tempi del procedimento amministrativo contenzioso però si innestava in un contesto normativo in cui rimaneva, nell’iter complessivo del procedimento amministrativo, ordinario e poi contenzioso, un elemento di indeterminatezza costituito dalla (ancora) mancata previsione di un termine per l’Inps per provvedere sulla domanda. Rimaneva quindi anche, invariata e forse semmai accentuata in ragione dell’allungamento dei tempi del procedimento amministrativo contenzioso, l’esigenza di bilanciare l’iniziale prolungata improponibilità della domanda giudiziaria di tutela di diritti soggettivi di natura previdenziale con la previsione della sospensione del termine di prescrizione.

L’art. 59, recante disposizioni finali e transitorie, ha poi previsto l’abrogazione di ogni disposizione contraria o incompatibile con quelle di cui al medesimo d.p.r. n. 639 del 1970.

Tra le disposizioni abrogate per incompatibilità non poteva esserci in particolare – conformemente a quanto ritenuto da Cass. n. 9286 del 2003 e n. 21595 del 2004 e diversamente da quanto affermato da Cass. nn. 8533 e 8677 del 2006 – l’art. 97, quinto comma, citato, che continuava a prevedere che il procedimento in sede amministrativa aveva effetto sospensivo dei termini di prescrizione. Non solo la ristrutturazione del procedimento amministrativo contenzioso in chiave di decentramento amministrativo, con l’ampio coinvolgimento dei comitati provinciali delle decisioni dei ricorsi in prima istanza, non era affatto incompatibile con la previsione della sospensione del termine di prescrizione che tra l’altro – come già rilevato – riguardava in realtà anche e soprattutto il procedimento amministrativo ordinario (ossia pre – contenzioso) che non era oggetto della riforma del 1970. Ma anche il contenuto della delega del 1969, che riguardava di decentramento amministrativo dell’attività dell’Inps, non autorizzava il legislatore delegato a modificare tale speciale disposizione di tutela degli assicurati e di moderato riequilibrio della mancata previsione di un termine per l’Istituto di previdenza per decidere sulla domanda dell’assicurato.

Inoltre l’ipotizzata abrogazione per incompatibilità dell’art. 97, quinto comma, citato avrebbe rappresentato una regressione di tutela per gli assicurati anche rispetto al livello del 1935 e un tale assetto normativo – per cui il diritto soggettivo a una prestazione di previdenza, tempestivamente richiesta dall’assicurato all’Istituto, non fosse azionabile in giudizio per un tempo non definito (quanto alla durata del procedimento amministrativo ordinario) e fosse non di meno suscettibile di estinzione per prescrizione, onerando così l’interessato di ripetuti atti di interruzione della stessa – non sarebbe più stato compatibile con gli artt. 24 e 38 della Costituzione.

In realtà il decentramento amministrativo dell’Inps e la riforma del sistema dei ricorsi amministrativi non hanno inciso su questa norma di tutela (l’art. 97, comma quinto) per cui, una volta che l’assicurato avesse fatto tempestivamente ciò di cui egli era onerato (ossia la domanda di prestazione all’Istituto) e spettasse invece a quest’ultimo provvedere, il decorso del termine di prescrizione del diritto alla prestazione era sospeso; norma che continuava a svolgere quella funzione di bilanciamento e di riequilibrio per cui era stata originariamente concepita.

14. Solo successivamente, di lì a poco (nel 1973), con la riforma del processo del lavoro (L. n. 533 del 1973) si ha – non già l’abrogazione per incompatibilità – ma un ridimensionamento della portata dell’art. 97, quinto comma.

Si ha infatti che da una parte l’art. 7 della legge n. 533 del 1973 ha previsto che la richiesta all’istituto assicuratore si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della presentazione, senza che l’istituto si sia pronunciato. D’altra parte rileva il nuovo art. 443, primo comma, c.p.c., introdotto dalla stessa legge n. 533 del 1973, che ha previsto che la domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell’art. 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo (così superandosi ogni ipotesi di improponibilità della domanda per il mancato preventivo esperimento del procedimento amministrativo contenzioso: art. 149 disp. att. c.p.c.).

In particolare quindi il legislatore del 1973 ha introdotto, come istituto generale, il silenzio rifiuto sulla domanda dell’assicurato eliminando così quello che costituiva l’aspetto di maggiore criticità dell’effettività della tutela degli assicurati. Con la riforma del 1973 i tempi sia del procedimento amministrativo ordinario che di quello contenzioso risultano ora ben fissati in generale (salvo disposizioni speciali): 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto sulla domanda dell’assicurato diretta ad ottenere la prestazione rivendicata; 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto sul ricorso amministrativo proposto avverso il provvedimento di diniego ovvero il silenzio rifiuto.

In questo diverso contesto normativo, di elevazione del grado di tutela degli assicurati, si è avuto una corrispondente riduzione dell’area di applicabilità dell’art. 97, quinto comma, cit.. Chiamato a giocare un ruolo assai minore di bilanciamento e compensazione, limitato ormai solo al periodo di tempo in cui l’assicurato ha domandato la prestazione e l’istituto non ha provveduto nel termine di 120 giorni e successivamente ha impugnato il silenzio rifiuto (o il provvedimento negativo in ipotesi emesso prima della scadenza di tale termine) e gli organi deputati ad emettere la decisione sul ricorso amministrativo non abbiano provveduto nel prescritto termine (non superiore a quello di 180 giorni fissato dall’art. 443 c.p.c.).

Rimaneva (e rimane) quindi ancora come principio di settore, enucleabile dall’art. 97, quinto comma, citato, l’affermazione che il de corso del termine della prescrizione è sospeso in caso – e per il tempo – di inerzia giustificata (e quindi incolpevole) dell’assicurato, che abbia fatto ciò di cui egli è onerato (proposizione della domanda all’Istituto e successivamente proposizione del ricorso amministrativo) e che sia in attesa delle determinazioni dell’Istituto e degli organi preposti alla decisione dei ricorsi amministrativi, ossia in generale per il tenni ne di 120 giorni per la formazione del silenzio rifiuto ed il termine non superiore a 180 giorni per la formazione del silenzio rigetto.

Né tale principio risulta successivamente contrastato dalla legge n. 88 del 1989 di ristrutturazione dell’Inps che ha semplificato il procedimento amministrativo contenzioso con la previsione, in particolare, della definitività delle decisioni dei comitati provinciali sui ricorsi amministrativi. Neppure in questa circostanza, infatti, il legislatore ha inteso eliminare la speciale norma di tutela desumibile dall’art. 97, quinto comma, citato.

15. Si tratta di un principio di settore che si pone in termini di specialità rispetto ai principi generali desumibili dalla disciplina codicistica per cui da una parte la prescrizione comincia a decorrere solo dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e d’altra parte sono tipiche le cause di sospensione del decorso del termine di prescrizione (artt. 2941 e 2942 c.c.). Rapporto di specialità che in questa materia è simile a quello che caratterizza l’analogo principio di settore secondo cui il decorso del termine di prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore subordinato è sospeso per tutto il tempo in cui il rapporto di lavoro non è assistito dalla garanzia della cosiddetta tutela reale (ex art. 18 della legge n. 300 del 1970: Cass., sez. un., 13 febbraio 1984, n. 1073).

E talvolta anche fuori della materia del lavoro e della previdenza si rinvengono massime di giurisprudenza ispirate all’analogo rilievo, al fine della sospensione del termine di prescrizione, dell’inerzia giustificata (e quindi incolpevole) del creditore. Cfr. Cass., sez. 3, 9 aprile 2009, n. 8674 che in materia di rapporti assicurativi ha affermato che, nel caso in cui le condizioni generali di polizza demandino ad apposita perizia medica l’accertamento dell’entità delle lesioni per le quali l’assicurato chiede l’indennizzo, affinchè tale previsione contrattuale valga a paralizzare il decorso del termine di prescrizione di cui all’art. 2952, secondo comma, c.c. fino alla conclusione della perizia, occorre che il sinistro sia stato denunciato alla compagnia di assicurazioni entro Tanno dal giorno in cui si è verificato il fatto generatore di danno.

Per altro verso invece, ancorata al principio generale della tassatività delle fattispecie di sospensione del termine di prescrizione, è Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 1992, n. 11847, che in terna di risarcimento dei danni prodotti da circolazione di veicoli a motore, ha affermato che la lettera raccomandata spedita, ai sensi dell’art. 22 L. 24 dicembre 1969 n. 990, dal danneggiato all’assicuratore del danneggiante per richiedere il risarcimento dovutogli costituisce atto interruttivo della prescrizione in coincidenza con il quale inizia il decorso di un nuovo termine prescrizionale, il cui dies a quo non può essere differito alla scadenza del termine di sessanta giorni, che costituisce lo spatium deliberandi, accordato dal legislatore all’assicuratore per l’eventuale composizione bonaria della controversia, e non ha incidenza sulla disciplina ordinaria della prescrizione e della sua interruzione (attualmente l’art. 145 d.lgs. n. 209 del 2005 patimenti prevede che l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno).

16. Da ultimo non può non rilevarsi anche che la soluzione accolta, che predica la perdurante vigenza dell’art. 97, quinto comma, citato, pur con quella portata ridotta sopra precisata, risponde altresì all’esigenza che il processo interpretativo della normativa nazionale sia orientato alla maggiore conformità ai trattati internazionali (art. 111, primo comma, Cost.); ciò che postula il rispetto del principio del processo ‘equo’ posto dall’art. 6 Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in sinergia con la garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.) ed ora anche con l’art. 47 della Carta diritti fondamentali UE, che assicura il diritto a un ricorso ‘effettivo’ al giudice; sicché l’inerzia giustificata – e quindi incolpevole – nell’agire in giudizio, per essere la domanda temporaneamente improcedibile, risulterebbe sanzionata in modo ‘non equo’ con la estinzione del diritto per prescrizione o anche solo con il decorso del termine di prescrizione del diritto.

17. Questo argomentare conduce quindi – a composizione del denunciato contrasto di giurisprudenza – all’affermazione del principio di diritto seguente: con riferimento alle prestazioni di previdenza e assistenza, per le quali l’art. 97, quinto comma, r.d.l. n. 1827 del 1935 prevedeva – e prevede tuttora – che il procedimento in sede amministrativa ha effetto sospensivo dei termini di prescrizione, il decorso della prescrizione, che comincia solo se e quando il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), è sospeso durante il tempo di formazione del silenzio rifiuto a norma dell’art. 7 della legge n. 533 del 1973, che stabilisce che la richiesta all’istituto assicuratore di una prestazione di previdenza o assistenza si intende respinta, a tutti gli effetti di legge, quando siano trascorsi 120 giorni dalla data della sua presentazione, senza che l’Istituto si sia pronunciato – nonché durante il tempo in cui la domanda è improcedibile (art. 443 c.p.c.) per non essere ancora decorso, in generale, il termine di centottanta giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo ovvero, in particolare, per non essere ancora esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa ovvero decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi, come nel caso delle prestazioni previste dall’art. 46 della legge n. 88 del 1989 (quale è, nella specie, l’indennità di maternità), che contempla il termine di 90 giorni per il ricorso al comitato provinciale e di ulteriori 90 giorni per la decisione di quest’ultimo.

Nella specie, come risulta dagli atti e dalla stessa citata ordinanza della sezione lavoro, il termine annuale di prescrizione del diritto all’indennità di maternità della ricorrente, interrotto con la domanda amministrativa del 30 ottobre 1997, non è interamente spirato alla data del ricorso amministrativo proposto il 15 gennaio 1999, che ha ulteriormente interrotto tale termine, dovendo tenersi conto della sospensione della prescrizione durante il tempo (di 120 giorni) per la formazione del silenzio rifiuto dell’Istituto ai sensi dell’art. 7 legge n. 533 del 1973. È quindi affetta da vizio di violazione di legge la sentenza impugnata che ha invece escluso la sospensione del termine di prescrizione durante il tempo per la formazione del silenzio – rifiuto sulla domanda di prestazione della ricorrente.

18. In conclusione il ricorso va accolto con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma in diversa composizione.

 

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma.

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