Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 9 marzo 2015, n. 4661

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA

sul ricorso 2100/2014 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso il proprio studio, rappresentato e difeso da se medesimo;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MARINO in persona del Vice Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

contro

(OMISSIS) in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura alle liti in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4514/2013 della CORTE DAPPELLO di ROMA del 17.4.2013, depositata il 04/09/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

udito per il controricorrente (Comune di Marino) l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
E’ stata depositata la seguente relazione:
“1. (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Consorzio (OMISSIS), chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla rottura del motore della sua vettura dovuta alla presenza sul manto stradale di una buca non segnalata, piena d’acqua a causa della forte pioggia, nella quale la vettura era sprofondata.
Si costitui’ il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda.
Fu esteso il contraddittorio nei confronti del Comune di Marino, che si costitui’ chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigetto’ la domanda, condannando l’attore al pagamento delle spese di lite.
2. Proposto appello dal soccombente, la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4 settembre 2013, ha respinto il gravame, confermando la pronuncia di primo grado e condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
3. Contro la sentenza d’appello ricorre (OMISSIS) con atto affidato ad un solo motivo.
Resistono il Comune di Marino ed il Consorzio (OMISSIS) con separati controricorsi.
4. Osserva il relatore che il ricorso puo’ essere trattato in Camera di consiglio, in applicazione degli articoli 376, 380-bis e 375 c.p.c., in quanto appare destinato ad essere rigettato.
5. Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 2051 c.c..
Va rilevato, innanzitutto, che la sentenza impugnata, con affermazione non contestata, ha chiarito che la causa e’ stata decisa dal Tribunale inquadrando la domanda nell’articolo 2043 c.c., ipotesi che differisce nettamente da quella dell’articolo 2051 c.c., in punto di oneri probatori.
Ma anche a prescindere da cio’, assume comunque decisiva rilevanza il fatto che la Corte d’appello – con valutazione di merito non sindacabile in questa sede – ha attribuito la responsabilita’ del fatto dannoso all’esclusiva colpa del (OMISSIS) riconducibile al fatto che il medesimo, pur avendo percepito l’esistenza di un’enorme massa d’acqua sulla strada, non fermo’ la marcia della propria auto, ma entro’ in quella che si rivelo’ essere una buca di grandi proporzioni. E poiche’ la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che, ai fini di cui all’articolo 2051 c.c., il caso fortuito puo’ essere integrato anche dalla colpa del danneggiato, la sentenza impugnata va comunque esente dalla prospettata censura.
Si ritiene, pertanto, che il ricorso debba essere rigettato”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In prossimita’ dell’udienza camerale il ricorrente ha depositato una memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione medesima e di doverne fare proprie le conclusioni. Le considerazioni critiche di cui alla memoria non spostano, nella sostanza, i termini del giudizio e continuano a porre l’accento su questioni che sono state gia’ affrontate nella relazione.
Non resta che aggiungere e ribadire che la sentenza impugnata ha evidenziato, innanzitutto, che la causa era stata decisa fin dal giudizio di primo grado inquadrandola nella fattispecie di cui all’articolo 2043 c.c., anziche’ in quella dell’articolo 2051 c.c. e che tale profilo non e’ stato censurato in appello; per cui, stante l’evidente diversita’ fra le due fattispecie, soprattutto per quanto concerne il riparto dell’onere della prova, invocare in questa sede l’articolo 2051 cit. ed il conseguente obbligo del custode potrebbe di per se’ tradursi in una ragione di inammissibilita’ del ricorso.
E’ appena il caso di ricordare, inoltre, che la piu’ recente giurisprudenza di questa Corte e’ andata ponendo in evidenza, sul punto in questione, due aspetti di fondamentale importanza: da un lato il concetto di prevedibilita’ dell’evento dannoso e dall’altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Questa Corte ha definito il concetto di prevedibilita’ come concreta possibilita’ per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perche’ la situazione di rischio e’ percepibile con l’ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, le quali si pongono, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato).
Ma anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l’obbligo di custodia di cui all’articolo 2051 c.c., con diverse e piu’ gravi regole probatorie a carico del danneggiante, questa Corte ha evidenziato che all’obbligo suddetto “fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”; sicche’, quando “la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potra’ allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento” (sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell’evento si veda pure la sentenza 5 dicembre 2008, n. 28811; v. pure la sentenza 26 maggio 2014, n. 11661). 2. Il ricorso, pertanto, e’ rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dei controricorrenti, liquidate in conformita’ al decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorrenti in complessivi euro 3.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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