cassazione 9

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 20 marzo 2015, n. 11647

Ritenuto in fatto

1.1 Con sentenza del 24 ottobre 2013 la Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Brindisi in data 30 marzo 2012 con la quale L.M. , imputata dei reati di cui agli artt. 10 bis e 10 ter del d.lgs. 74/00 era stata ritenuta colpevole dei detti reati e condannata alla pena ritenuta di giustizia, riduceva la detta pena a mesi quattro e giorni dieci di reclusione, confermando nel resto.
1.2 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputata L.M. a mezzo del proprio difensore fiduciario, deducendo con unico articolato motivo, difetto di motivazione per contraddittorietà ed illogicità manifesta per avere la Corte territoriale confermato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, nonostante la grave crisi di liquidità che aveva impedito all’imputato di versare l’IVA dovuta e le ritenute certificate relative ai lavoratori dipendenti nei termini di legge, deponesse per la assenza di dolo e, comunque, per una situazione di necessità determinata da cause di forza maggiore.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato in parte con esclusivo riferimento alla imputazione di cui all’art. 10 ter del d.lgs. 74/00. Va premesso in punto di fatto, che alla L. erano stati contestati i reati rispettivamente previsti dall’art. 10 bis del d.lgs. 74/00 (omesso versamento delle ritenute certificate per un ammontare di Euro 62.138,04 relativamente all’anno di imposta 2006) e 10 ter stesso d.lgs. (omesso versamento nei termini di legge dell’IVA, relativamente al medesimo anno di imposta per un ammontare di Euro 86.905,00).
2. Con riferimento a quest’ultima fattispecie, va ricordata la recente pronuncia della Corte Costituzionale che, con sentenza 8 aprile 2014, n. 80, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del menzionato d.lgs. nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi antecedentemente al 18 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’IVA dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori a Euro 103.291,38, per ciascun periodo d’imposta. Da qui la necessità, rilevata dalla Corte Costituzionale di fissare la soglia di punibilità del reato in parola – limitatamente ai fatti commessi sino al (omissis) (posto che per le condotte successive la materia è stata interamente ridisegnata con la L n. 148 del 14.9.2011) – a quella prevista per la dichiarazione infedele pari ad Euro 103.291,38.
3. Per effetto di tale decisione, quindi, venendo meno l’elemento costitutivo del reato rappresentato dal mancato superamento, per quanto qui rileva, della soglia di punibilità di Euro 103.291,38, deve pervenirsi alla conclusione che il fatto contestato, alla luce della decisione della Corte Costituzionale, non può più considerarsi reato.
4. È di contro, infondato il secondo motivo relativo alla asserita insussistenza dell’elemento soggettivo del reato in riferimento alla ipotesi delittuosa di cui all’art. 10 bis del D. Lgs. 74/00.
4.1 Va premesso che il reato in parola si consuma con il mancato versamento nel termine di legge (30 settembre dell’anno di imposta successivo) per un ammontare superiore ad Euro 50.000,00 delle ritenute complessivamente risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti (Sez. Un, 28.3.2013 n. 37425 del 28/03/2013, Favellato, Rv. 255759). Trattasi di una tipica figura di reato omissivo proprio di natura istantanea il cui momento consumativo è rappresentato dal mancato compimento dell’azione dovuta, costituita dall’omesso versamento, nel termine fissato, delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti dallo stesso contribuente.
4.2 Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, necessario per la integrazione della fattispecie, è richiesto il dolo generico, consistente nella mera consapevolezza da parte del soggetto agente della condotta omissiva (così Sez. 3, 26.5.2010 n. 25875, Olivieri, Rv. 248151), senza che rilevi il fine perseguito dall’agente in quanto, a differenza di altre fattispecie, non è richiesto che il comportamento illecito sia dettato dalla scopo specifico di evadere le imposte.
5. Così delineati per sintesi i tratti essenziali della fattispecie, va detto che la situazione di colui che non versa l’imposta si risolve, di regola, in una condotta, cosciente e volontaria, la quale si articola in diverse fasi: in un primo momento si verifica il mancato accantonamento delle somme trattenute, cui segue l’omesso versamento mensile secondo le cadenze previste dalla normativa tributaria; ed, in ultimo, la prosecuzione della condotta omissiva fino al termine ultimo fissato dalla norma penale.
5.1 Gli spazi per ritenere l’assenza dell’elemento soggettivo o per integrare la fattispecie della forza maggiore, quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità, risultano estremamente ristretti, se si pone mente al fatto che il sostituto di imposta, quale debitore di una somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorché procede al versamento in favore di quest’ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (cd. ritenuta alla fonte) per, poi, versarlo all’Erario entro il sedici del mese successivo, a quello nel quale ha operato la trattenuta.
5.2 Con la ricordata sentenza Favellato è stato ribadito – sotto tale specifico aspetto – che, la fattispecie in parola risulta integrata con il dolo generico (ossia la consapevolezza di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato), sottolineandosi che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia della punibilità dal punto di vista economico che costituisce elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo, secondo le Sezioni Unite, è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che indica le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonché i versamenti relativi. Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ne deriva che ogni qualvolta il sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, sorge, per lo stesso l’obbligo di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.
5.3 L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
5.4 Ciò non esclude in linea di principio la possibilità che possa essere utilmente invocata la mancanza di dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, fermo restando, in simili evenienze, l’obbligo per il giudice di merito di valutare congruamente la sussistenza di tali circostanze. Perché l’agente possa invocare l’assenza di dolo o – come nella specie – la causa di forza maggiore, è necessario che sia l’agente stesso a dimostrare, nella dedotta ipotesi di una crisi di liquidità, circostanze che investano non solo l’aspetto circa la non imputabilità al sostituto di imposta della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche che detta crisi non possa essere stata adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.
5.5 Occorre, in altri termini, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo egli posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili.
5.6 Nulla di tutto ciò è, però, avvenuto nel caso di specie, posto che la ricorrente si è limitata a ribadire la crisi di liquidità conseguente alla negativa congiuntura economica nazionale ed alla crisi del settore metalmeccanico con conseguente esposizione finanziaria dell’azienda nei confronti delle banche. La ricorrente aveva anche evidenziato le conseguenze della crisi di liquidità nei riguardi del personale dipendente, a rischio di non avere corrisposti gli stipendi con incombente pericolo di fallimento, invocando perciò l’assenza del dolo e la forza maggiore.
5.7 La Corte di merito, con motivazione adeguata, ha ritenuto irrilevante, anche richiamando consolidata giurisprudenza di questa Corte, la prospettata crisi di liquidità ricordando l’obbligo, gravante sul contribuente, di accantonare le somme necessarie per il pagamento dell’imposta. Inoltre la Corte di merito ha correttamente osservato che l’opzione attuata dalla ricorrente di pagare i lavoratori per non rischiare il fallimento non potesse valere a giustificare, sotto il profilo soggettivo la condotta dell’imputata, in quanto la causa di forza maggiore di per sé esige se non l’imprevedibilità l’impossibilità di far fronte alla situazione di crisi, con la conseguenza che nel caso di specie l’assenza di dolo fosse inconfigurabile.
5.8 La ricorrente non ha pertanto osservato quegli oneri di allegazione a suo carico, in presenza dei quali invocare l’assenza dell’elemento psicologico: in particolare non è stata dimostrata la improvvisa crisi di liquidità, né è stato dimostrato che la ricorrente avesse organizzato le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria, né che si sia altrimenti attivata per assolvere l’obbligazione tributaria, essendosi, invece, appropriata delle somme che avrebbe dovuto accantonare distogliendole dalla loro specifica destinazione.
6. Va quindi ribadito il principio di diritto ripetutamente affermato da questa Corte secondo il quale “Nel reato di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D.Lgs. n. 74 del 2000), la colpevolezza del sostituto di imposta non è esclusa dalla crisi di liquidità intervenuta al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’esercizio precedente, a meno che l’imputato non dimostri che le difficoltà finanziarie non siano a lui imputabili e che le stesse, inoltre, non possano essere altrimenti fronteggiate con idonee misure anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale” (Sez. 3^ 5.12.2013 n. 5467, Mercutello, Rv. 258055; v. anche Sez. 3^ 8.4.2014 n. 20266, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190).
7. Alla stregua di tali considerazioni il ricorso va rigettato con riferimento al reato di cui all’art. 10 bis del d.lgs. 74/00, mentre si impone l’annullamento senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. 74/00 perché il fatto non sussiste e con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce quanto alla determinazione della pena per il reato residuo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. 74/00 perché il fatto non sussiste e con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce quanto alla determinazione della pena per il reato residuo.

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