iva

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 9 giugno 2014, n. 12995

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14606/2013 proposto da:
(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS), in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 48/29/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO del 15/03/2012, depositata il 20/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/04/2014 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS) (delega avvocato (OMISSIS)) difensore della ricorrente che si riporta agli scritti.
IN FATTO E IN DIRITTO
La (OMISSIS) s.r.l. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza resa dalla CTR Lombardia n.48.29.12 depositata il 20.4.2012 che ha rigettato l’appello proposto dalla stessa contro la sentenza della CTP di Lodi, la quale aveva rigettato il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento relativo alla ripresa a tassazione di IVA per l’emissione di due fatture relative ad operazioni inesistenti emesse nei confronti della (OMISSIS) spa e rinvenute presso tale societa’.
Con il primo motivo di ricorso la societa’ ricorrente prospetta la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Secondo la ricorrente la CTR aveva attribuito la natura di fatture regolarmente redatte a due documenti che non erano stati redatti dal soggetto prestatore del servizio ma dal soggetto destinatario dello stesso.
Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la nullita’ della sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima la pretesa fiscale sulla base di due fatture per operazioni inesistenti immediatamente espunte dalla contabilita’, senza determinare alcun effetto distorsivo per l’Erario.
Ha resistito in giudizio l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
La societa’ ricorrente ha depositato memoria.
Il primo motivo e’ inammissibile.
Ed infatti, la questione sulla quale la parte ricorrente incentra la doglianza relativa alla redazione delle due fatture da parte del soggetto prestatore del servizio appare espressamente superata dall’accertamento in punto di fatto compiuto dalla CTR, secondo il quale vi sarebbe stata la consegna della fattura dalla Immobiliare Il (OMISSIS).
Ed invero, la CTR, a pag. 5 della sentenza, ha acclarato che “le fatture vennero compilate e consegnate alla Societa’ (OMISSIS)”, percio’ ritenendo che tanto giustificasse l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7.
Ed e’ evidente che tale accertamento di fatto, che la parte ricorrente intende porre in discussione negando la traditio ed affermando la compilazione da parte della (OMISSIS), non poteva essere censurato con il vizio – di violazione di legge – prospettato nel primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la nullita’ della sentenza impugnata che aveva ritenuto legittima la pretesa fiscale sulla base di due fatture per operazioni inesistenti immediatamente espunte dalla contabilita’, senza determinare alcun effetto distorsivo per l’Erario.
Anche tale motivo e’ inammissibile e comunque infondato.
Ed invero, la parte ricorrente valorizza un elemento correlato alle dichiarazioni rese dal (OMISSIS) – segnatamente la “eliminazione delle fatture dalla contabilita’ della (OMISSIS)” che non trova riscontro nella motivazione della sentenza impugnata. Ne consegue che il vizio della decisione, prospettato come violazione di legge e’ mal posto. La parte ricorrente avrebbe, semmai, dovuto prospettare l’omessa valutazione di un elemento decisivo per il giudizio tale da giustificare l’esito diverso alla stregua dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Del resto, la censura e’ infondata nel merito.
Giova premettere che la disciplina di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7 – a norma del quale “se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta e’ dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura” – costituisce attuazione dell’articolo 21, paragrafo 1, lettera c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991 – al quale e’ subentrato l’articolo 203 della direttiva CE 2006/112 -, a cui tenore chiunque indichi l’IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci e’ debitore di tale imposta.
In particolare, tale soggetto e’ debitore dell’IVA indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA (v. Corte giust. 18 giugno 2009, Stadeco, C-566/07, Racc. pag. 1-5295, punto 26; Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy trans EOOD, punto 44-.
La stessa giurisprudenza della Corte Europea e’ ferma nel sottolineare che il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come un tentativo di frode fiscale e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni pecuniarie previste dal loro diritto nazionale – sent. Schmeink, cit., p.62 -.
In sintonia con i principi sopra esposti, questa Corte ha avuto modo di affermare che l’articolo 21, comma 7 cit. va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene, in realta’, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per cio’ stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’articolo 19 DPR citato; e cio’ anche perche’ l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto – Cass. 29 maggio 2001 n. 7289; Cass. n. 14337/2002-. Si e’ ancora ritenuto che l’emittente di fatture fittizie non puo’ giovarsi dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’IVA indebitamente fatturata perche’ “in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perche’ venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel secondo comma della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non gia’ del tutto inesistente. Cio’ proprio in forza dell’articolo 21, comma 7 cit. che, da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarla, e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con l’articolo 19, comma 1, e articolo 26, comma 3, dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non puo’ esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioe’ dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.”- Cass. 10 giugno 2005, n.l2353;v., pure, sul versante penale, Cass. n. 33891/2006, secondo la quale ai fini dell’integrazione del delitto di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, non e’ richiesto che le fatture per operazioni inesistenti vengano utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dei soggetti destinatari.
Orbene, la sentenza qui impugnata si e’ pienamente conformata ai principi sopra esposti, avendo correttamente valorizzato, ai fini della configurabilita’ del presupposto che determina l’insorgenza della pretesa impositiva correlata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, “…l’emissione della fattura e cio’ si attua con la consegna della stessa al destinatario. Nella fattispecie le fatture vennero compilate e consegnate alla societa’ ” (OMISSIS)”…”. Per altro verso, la stessa CTR ha specificamente valorizzato la circostanza che la (OMISSIS) fosse la proprietaria esclusiva della (OMISSIS), “…cosi’ che il rappresentante legale della controllante ben era al corrente della condotta della controllata”, in tal modo rendendo palese l’unita’ di intenti dei soggetti che avevano dato luogo alla fittizia emissione delle fatture ai fini di realizzare un risparmio fiscale – v.punto 2.1 della motivazione, ove espressamente si da atto che il (OMISSIS) aveva ammesso che le fatture erano state emesse “al fine di far lievitare il valore dell’immobile e di beneficiare di un risparmio fiscale”-.
Cio’ che rende irrilevante qualunque condotta successiva all’emissione della fattura posta in essere dalla parte contribuente.
Le superiori argomentazioni resistono alle prospettazioni difensive esposte dalla societa’ contribuente anche in memoria che nel riportarsi al contenuto di quanto esposto in ricorso, non hanno prospettato elementi idonei ad elidere la valenza delle valutazioni operate dalla CTR in ordine tanto alla matrice fraudolenta a base dell’emissione delle fatture quanto alla stretta colleganza esistente fra societa’ emittente e destinatario delle fatture stesse. Sulla base di quanto esposto il ricorso va disatteso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore dell’Agenzia nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 bis, comma 1 quater.

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