Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 8 ottobre 2015, n. 20208

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8270/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 24/2012 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di FIRENZE SEZIONE DISTACCATA di LIVORNO del 16/12/2011, depositata il 31/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.

 

FATTO E DIRITTO

 

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., e’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati;

osserva:

La CTR di Firenze ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia contro la sentenza n. 47/05/2008 della CTP di Livorno che aveva accolto il ricorso della ” (OMISSIS) srl” avverso cartella di pagamento emessa a seguito di liquidazione automatizzata Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ex articolo 36 bis, della dichiarazione relativa all’anno d’imposta 2002, cartella contenente recupero delle imposte non versate e, previo disconoscimento della compensazione con altro debito, gia’ effettuata in corso di periodo, del credito di imposta Legge n. 449 del 1997, ex articolo 11.

La predetta CTR – dopo avere dato atto che ogni dichiarazione dei redditi e’ mera dichiarazione di scienza e percio’ normalmente emendabile – evidenziava che l’omessa dichiarazione del credito di imposta consisteva in un mero errore materiale e percio’ rettificabile anche nel contraddittorio processuale.

L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato ad unico motivo.

La societa’ contribuente non si e’ difesa.

Il ricorso – ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – puo’ essere definito ai sensi dell’articolo 375 c.p.c..

Infatti, con il motivo di impugnazione (improntato alla violazione e falsa applicazione della Legge n. 449 del 1997, articolo 11, e della Legge n. 317 del 1991, articolo 11 comma 3) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto emendabile – per giunta nel corso della controversia – l’omessa tempestiva indicazione, nella dichiarazione di competenza, del credito di imposta, nonostante la legge che concede il credito di imposta di cui si tratta (per il comparto del commercio e del turismo) espressamente prescriva che il predetto credito debba essere indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta nel corso del quale il beneficio e’ concesso.

Il motivo appare fondato ed accoglibile.

Ed invero la Corte Suprema ha recentemente chiarito che: “Sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volonta’ del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione.(In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva escluso che avesse diritto all’applicazione dell’aliquota ridotta sugli utili d’impresa prodotti dai maggiori investimenti, ai sensi del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 466, articoli 1 e 3, c.d. “dual income tax”, il contribuente che, per errore, non aveva manifestato la volonta’ di beneficiarne, compilando l’apposito modulo “RC” da allegare alla dichiarazione dei redditi). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1427 del 22/01/2013, in termini analoghi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7294 del 11/05/2012; a tutt’altra fattispecie si riferisce invece Sez. 5, Sentenza n. 2277 del 31/01/2011 che e’ stata valorizzata, erroneamente, dal giudice del merito a supporto delle proprie determinazioni).

Nella specie di causa, non vi e’ dubbio che la dichiarazione nel quadro RU del credito di imposta qui in argomento fosse da considerarsi atto negoziale e non emendabile in ipotesi di omissione (salvo il termine espressamente concesso del Decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, articolo 2, per la integrazione e modificazione di dichiarazioni gia’ presentate, di cui la parte contribuente non risulta essersi avvalsa), atteso che si tratta di indicazioni volte a mutare (con rettifica in aumento) la base imponibile, e contestuale inserimento del citato credito di imposta, e percio’ inidonee a costituire oggetto di un mero errore formale (in termini Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5852 del 13/04/2012).

Non vi e’ dubbio percio’ che – in siffatta situazione – il contribuente, per far valere l’errore commesso, sarebbe stato onerato, secondo la disciplina generale dei vizi della volonta’ di cui all’articolo 1427 c.c. e ss., di fornire la prova della rilevanza dell’errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialita’ e della obiettiva riconoscibilita’, siccome qualificati dalla giurisprudenza della Corte (si veda ancora Cass. n. 7294/2012), prova che la parte contribuente neppure risulta che abbia tentato di dare. Poiche’ il giudicante non si e’ attenuto a detti principi, appare necessario cassare la pronuncia impugnata e la Corte potra’ poi provvedere anche sul merito della lite (respingendo l’impugnazione della cartella) siccome non risulta necessario l’apprezzamento di ulteriori elementi di fatto.

Pertanto, si ritiene che il ricorso puo’ essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.

Roma, 30 luglio 2014.

ritenuto inoltre:

che la relazione e’ stata notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, ne’ memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in euro 1.000,00 oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.

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