Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 3 giugno 2014, n. 12346
Rilevato che
è stata depositata la seguente relazione ex artt. 377, 380 bis cod. proc. civ., in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 11905 del 2011:
“Rilevato che la Corte d’Appello di Ancona, confermando la pronuncia del Tribunale adito da N.C. ai sensi dell’art. 710 cod. proc. civ., del 16/10/2010, ha stabilito, per quel che ancora interessa:
a) A modifica delle condizioni della separazione consensuale omologata dal Tribunale con decreto del 13/6/2008, ha escluso l’obbligo del C. di corrispondere alla moglie un contributo per il suo mantenimento e per quello dei figli in quanto collocati presso il padre;
b) Ha rigettato le domande di modifica del regime di affidamento e di visita dei minori.
A sostegno della decisione assunta la Corte ha affermato:
a) Il Tribunale si è correttamente astenuto dal pronunciarsi in ordine all’affidamento dei minori e alla regolamentazione della permanenza di essi presso i genitori in quanto su tali profili era intervenuto il Tribunale per i minorenni adottando provvedimenti nell’interesse dei minori, al’interno di un procedimento promosso ex art. 330 cod. civ.
b) La consulenza tecnica d’ufficio svolta davanti al Tribunale per i minorenni aveva evidenziato dopo accurata anamnesi, somministrazione di test psicodiagnostici, colloquio con i minori e ascolto degli operatori che N.C. possiede le competenze adeguate a svolgere il ruolo genitoriale mentre la C., pur essendo una madre affettivamente presente e capace di accudire i minori, presenta loro una realtà distorta, screditando la figura paterna, in una condizione altamente pregiudizievole per i figli medesimi. Per queste ragioni è stato ritenuto necessario secondo la consulenza che i figli minori continuino a vivere presso l’abitazione paterna, tenuto conto del buon rapporto dei minori con la nuova compagna del padre e la correlata incapacità della C. di scindere e gestire le proprie problematiche personali dal doveroso rapporto di collaborazione con l’altro genitore.
c) La casa coniugale non può essere assegnata alla C. nuda proprietaria in quanto non affidataria né collocataria dei minori;
d) Deve essere revocato il contributo per il mantenimento dei figli minori in quanto collocati presso il padre;
e) Deve essere escluso anche il contributo per il mantenimento della C., in quanto non risulta provato il miglioramento delle condizioni economico-patrimoniali del C., dal momento che quest’ultimo gode di un reddito netto non superiore a 1500 euro mensili, in quanto tutti gli utili dell’azienda che gestisce in società sono impiegati per pagamenti o reinvestiti. Peraltro, essendo tenuto ad un maggiore onere economico dovuto alla collocazione dei figli minori, il complessivo assetto reddituale-patrimoniale non può dirsi in miglioramento. A tale riguardo la Corte ha ritenuto superfluo qualsiasi approfondimento istruttorio, attesa la natura sommaria del giudizio di reclamo, salve ulteriori valutazione all’esito dell’espletanda istruttoria. Ha infine evidenziato la piena capacità lavorativa, la giovane età della C. e la mancata prova dell’impossibilità di reperire un’occupazione.
Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione A.C., con controricorso del C., affidato ai seguenti motivi:
Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 155 cod. civ.; 38 disp. att. cod. civ. per avere la Corte d’Appello condiviso l’erronea affermazione del Tribunale secondo la quale ci si doveva astenere dall’assumere provvedimenti relativi all’affidamento dei minori e all’esercizio del diritto di visita essendo intervenuto il Tribunale per i minorenni al riguardo.
Ha osservato la ricorrente che la competenza in ordine a tali statuizione in sede di separazione personale tra i coniugi spetta in via esclusiva al Tribunale ordinario con conseguente obbligo di esaminare e decidere su tali domande.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 quater cod. civ. in ordine alla conferma dell’assegnazione della casa coniugale al coniuge, atteso che quest’ultimo non la occupa, abitando stabilmente con la nuova compagna i propri figli minori ed il figlio di quest’ultima presso un altro immobile.
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 155 cod. civ. in ordine alla revoca del contributo per il mantenimento dei figli minori, nonché violazione dell’art. 156 cod. civ. ed omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla revoca del contributo al mantenimento del coniuge.
Al riguardo osserva la ricorrente che in sede di separazione consensuale era stato stabilito in suo favore un assegno di mantenimento pari a 100 euro mensili; che l’onere della prova sulla concreta possibilità di reperire un’occupazione gravava sul coniuge; che secondo la Corte di Cassazione tale possibilità doveva rivestire i caratteri dell’effettività; che era evidente la differenza reddituale e patrimoniale tra le parti; che doveva ritenersi del tutto immotivato il diniego di assunzione dei mezzi istruttori da parte del Tribunale e della corte d’Appello, non avendo il C. neanche provveduto al deposito della documentazione fiscale cui era tenuto ex lege; che la lesione del diritto alla prova aveva carattere definitivo dal momento che non vi sarebbe stata alcuna “espletanda istruttoria” essendosi concluso il procedimento ex art. 710 cod. proc. civ.; che l’accollo del mutuo a carico del marito non determinava in suo favore alcun incremento economico, in quanto secondo gli accordi assunti in sede di separazione consensuale quest’ultimo ne otterrà la restituzione al momento della vendita della casa coniugale; che il C. ha un volume d’affari e un tenore di vita molto elevato; che la ricorrente aveva perso il lavoro
che le rendeva un reddito mensile molto modesto nel 2010; che la Corte d’Appello ha contraddetto sé stessa avendo affermato solo nel provvedimento emesso il 14 gennaio 2010, che il C. è persona abbiente e deve contribuire al mantenimento dei minori nella misura di E 250 mensili.
Il primo motivo appare manifestamente infondato. Occorre evidenziare al riguardo che il provvedimento impugnato, in concreto, non ha affatto omesso di valutare le domande relative all’affidamento e ai tempi di permanenza dei figli minori presso i genitori, avendo motivatamente condiviso (pag. 8,9) la valutazione del consulente d’ufficio nel procedimento pendente davanti al Tribunale per i minorenni. In particolare, nel penultimo capoverso della pagina nove del provvedimento impugnato, viene espressamente affermato “Alla luce della complessiva situazione (…), allo stato non si deve modificare la collocazione dei figli minori”. Ne consegue l’irrilevanza delle considerazioni relative alla ripartizione delle competenze, risultando, peraltro ce il Tribunale sia stato investito della questione relativa alla decadenza o sospensione della potestà, anche in sede di adozione di provvedimenti cautelari e non delle statuizioni relative al regime di affidamento dei figli minori.
Il secondo motivo appare manifestamente infondato. L’assegnazione della casa coniugale, secondo l’unanime orientamento della giurisprudenza di legittimità, è eziologicamente ed esclusivamente connesso all’affidamento o alla collocazione dei figli minori presso uno dei genitori. (ex multis Cass. 1491 del 2011 e 2134 del 2013). Nella specie, la ricorrente non risulta né affidataria né collocataria di essi. Inoltre, risulta dal provvedimento impugnato e dallo stesso ricorso che allo stato neanche il padre, presso il quale sono collocati i minori, usufruisce della casa coniugale. Deve, in conclusione, escludersi, come condivisibilmente ritenuto dalla Corte d’Appello che il giudice della separazione anche in sede di provvedimenti modificativi richiesti ex art. 710 cod. proc. civ., sia tenuto a provvedere in ordine a tale domanda, quando la casa familiare non ha più tale destinazione funzionale. Il rigetto di questa specifica domanda è consequenziale al rigetto della richiesta modifica del regime di affidamento e collocamento dei minori.
Per quanto riguarda il terzo motivo, l’esame deve essere limitato all’esclusione di un contributo al mantenimento della C., dal momento che, rispetto ai minori, la ricorrente, non essendo né affidataria né collocataria degli stessi, non ha alcuna legittimazione a richiedere un contributo per il loro mantenimento.
In ordine all’altra domanda, deve, invece, osservarsi che la ricorrente ha indicato una modifica peggiorativa delle sue condizioni economico-patrimoniali consistente nella intervenuta perdita del lavoro a tempo determinato e parziale che svolgeva, mentre l’accertamento comparativo delle condizioni economico patrimoniali del coniuge è stato sostanzialmente omesso con una spiegazione logico giuridica errata. Il giudizio di modifica delle condizioni della separazione personale tra i coniugi non ha natura bifasica ma si svolge in forma unitaria secondo il modello camerale. Le istanze istruttorie delle parti, di conseguenza, possono esser disattese se ritenute non rilevanti ma non certo in virtù della natura “sommaria” dell’accertamento, mediante il sacrificio di approfondimenti istruttori, quali quelli relative al reddito e al patrimonio delle parti, da reputarsi essenziali nelle decisioni relative alle statuizioni economiche conseguenti alla separazione. L’istruzione necessaria si deve svolgere all’interno del procedimento, finalizzato ad ottenere una statuizione definitiva (ancorché entro i limiti della clausola rebus sic stantibus) e decisoria sulle domande di modifica delle parti. Non può, pertanto, sostenersi che gli approfondimenti istruttori richiesti sono da disattendere in virtù della natura sommaria del giudizio e che è fatta salva “ogni ulteriore valutazione all’esito dell’espletanda istruttoria” dal momento che le domande azionate ex art. 710 cod. proc. trovano la loro definitiva soluzione all’esito del procedimento e non in una successiva fase.
Inoltre, deve rammentarsi il fermo orientamento di questa Corte, secondo il quale, la capacità reddituale del coniuge richiedente un contributo al proprio mantenimento,non deve essere valutata in astratto ed in generale ma sul piano dell’effettività e della concretezza delle possibilità di occupazione, in considerazione di tutti i fattori (età, titolo di studio, competenze specifiche, mercato, collocazione geografica, etc) incidenti sulla prospettiva di una idonea collocazione lavorativa. (Cass. 7117/2006; 3502/2013). Ne consegue che la Corte d’Appello non ha fatto buon governo di tali principi, difettando nella valutazione comparativa dell’adeguatezza reddituale (e delle complessive condizioni economico patrimoniali delle medesime) delle parti, la corretta valutazione della condizione di disoccupazione attuale ed incontestata della richiedente oltre che l’approfondimento istruttorio richiesto dalla C. in ordine al profilo economico patrimoniale del C.
In conclusione ove i predetti rilievi siano condivisi, il ricorso deve essere accolto limitatamente al terzo motivo.”
Ritenuto che il collegio aderisce alla relazione, rilevando che la memoria depositata dalla parte ricorrente, riportando censure riguardanti il provvedimento di primo grado, non ne scalfisce i rilievi;
P.Q.M.
La Corte, rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo motivo e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione anche per le spese del presente procedimento.
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